Preti
Foto: Gerhard Haderer
Gesellschaft | Chiesa e pedofilia

Pedofilia cattolica

Le dimensioni immani di uno scandalo senza fine e la complicità delle gerarchie ecclesiastiche.

Nel 2002 The Boston Globe avviò l’inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica americana (qualcuno ricorderà Il caso Spotlight) che portò alla luce un fenomeno di proporzioni devastanti le cui cifre ufficiali (John Jay Report, City University of New York) parlano di 6.700 accuse convalidate di abusi sessuali su minori da parte di 4.392 sacerdoti cattolici, vale a dire il 4 % dei quasi 110.000 in servizio negli Stati Uniti dal 1950 al 2002. Da allora, casi analoghi o affini sono emersi in numerosi altri paesi di tutto il mondo e sempre evidenziando corresponsabilità e connivenze delle gerarchie ecclesiastiche nella copertura dei responsabili.

Tra gli ultimi in ordine cronologico ricordiamo il caso dell’indagine commissionata alle università di Gießen, Heidelberg e Mannheim e pubblicata in versione integrale il 24 settembre del 2018 da cui emergono 3.677 casi di abusi su minori in Germania dal 1946 al 2014. Le conclusioni del rapporto sottolineano che si tratta di una stima per difetto perché ai ricercatori non è stato consentito di accedere alla documentazione originale in possesso delle diocesi (si fa riferimento anche a casi di documenti riguardanti gli accusati manomessi o distrutti), il rapporto si basa quindi soltanto sui documenti che le diocesi stesse hanno messo a disposizione.

Sulla stessa falsariga, ma quantitativamente più esteso, il caso irlandese. Nel 2009 il rapporto della Commissione Ryan istituita dal governo irlandese portò alla luce maltrattamenti e violenze sessuali diffusi perpetrati su minori nelle cosiddette scuole industriali gestite dalla congregazione cattolica Fratelli Cristiani. 11.337 casi documentati, con successivi risarcimenti tra i 65.000 e i 300.000 Euro. Appena 6 mesi dopo uscì il rapporto della Commissione Murphy che dimostrò come i colpevoli degli abusi venivano sistematicamente coperti dalle autorità ecclesiastiche, spostando i prelati da una parrocchia all’altra e costringendo le vittime al silenzio. Poi nel 2011 il caso della diocesi di Cloyne e del vescovo Magee poi costretto a dimettersi, e si potrebbe continuare.

Papa Francesco aveva annunciato tolleranza zero verso la piaga della pedofilia nella Chiesa suscitando grandi speranze nel mondo cattolico e non solo. L’accentramento in Vaticano di tutte le indagini sui casi più gravi, l’inasprimento delle pene per i responsabili degli abusi e la rimozione dai loro incarichi sembravano andare in quella direzione. La realtà, purtroppo, è un’altra.

Come già evidenziato in un precedente articolo, i casi di violenza contro i minori nella Chiesa sono tuttora regolamentati dall’Istruzione Crimen sollicitationis del 1962 e dalla lettera del 18 maggio 2001 De delictis gravioribus del cardinale Josef Ratzinger, allora capo della Congregazione per la dottrina della fede, in cui è stabilito il principio di assoluta riservatezza dei processi interni alla Chiesa per i casi di pedofilia, ma soprattutto l’estensione del vincolo di segretezza della confessione anche fuori dall’ambito specifico della confessione stessa. Secondo questo principio, tutto ciò che accade nell’ambito della relazione personale tra il prete e il minore è vincolato dal sigillo sacramentale della confessione, che si applica a entrambi. Quindi, anche la vittima che subisce violenza è comunque obbligata al silenzio e non può rivolgersi alla giustizia secolare, pena la scomunica.

Formalismi? Il fresco vento riformista del nuovo pontificato non ha ancora compenetrato le incrostazioni più venefiche del diritto canonico? E allora perché nel 2014 la Santa Sede ha rifiutato di fornire al Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e al Comitato ONU contro la tortura la lista dei nomi di circa 900 sacerdoti pedofili che negli ultimi 10 anni sono stati ridotti allo stato laicale? Alcuni di loro avevano confessato più di 200 stupri. Perché la richiesta del Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza di chiudere i pre-seminari e i seminari minori gestiti da ordini e congregazioni religiose (è dimostrato che gran parte delle violenze avviene in questi istituti) è stata respinta? E perché i suggerimenti che il 5 febbraio 2014 lo stesso Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza aveva formulato per garantire l’incolumità dei minori che frequentano chiese, parrocchie, seminari e scuole cattoliche sono caduti nel vuoto? Il 1° settembre 2017 la Santa Sede avrebbe dovuto presentare a Ginevra il dossier per dimostrare di averli tramutati in legge e non lo ha mai fatto.

Come ben si vede, l’atteggiamento omertoso se non complice delle gerarchie ecclesiastiche di fronte al fenomeno della pedofilia non è riducibile all’opacità di comportamento di singole persone. Esso ha cause strutturali che nemmeno Bergoglio ha minimamente intaccato. Pertanto non è difficile immaginare che moltissime vittime, sotto il peso indicibile del trauma subito e al cospetto di una Chiesa che non solo protegge i carnefici da magistrati e tribunali ma minaccia con la scomunica chi ad essi si rivolge, ancora oggi scelgono di tacere. Ciò significa che i numeri già di per sé spaventosi dei documenti ufficiali sono, in tutta evidenza, fortemente sottostimati. Di quanto? Nessuno può dirlo con esattezza. Certo disgusta osservare come la Chiesa Cattolica, così proterva quando si tratta di imporre agli altri i propri valori, nasconda la macchia d’infamia di un crimine di tali proporzioni dietro la foglia di fico di una falsa rivoluzione.