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(Infra)strutture umane

Il Kunstforum Unterland di Egna presenta “Italy“, la prima personale altoatesina dell’artista germanica Eva Schöffel.
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Foto: Galerie Unterland

Eva Schöffel usa materiali e tecniche dall’impronta minimal. La mostra al Kunstforum presenta disegni, linoleografie, installazioni e cut outs (forme ricavate intagliando pezzi di cartone). La maggior parte delle opere è stata stampata a mano e ogni esemplare, benché seriale, è un pezzo unico. L’artista predilige l’approccio manuale, andando a interagire direttamente con la superficie del materiale prescelto. Munita di taglierini e sgorbie, Schöffel crea lavori caratterizzati da una linearità grafica che riflette la sua nitida percezione dello spazio. 

Dobbiamo sempre dare un nome allo spazio intorno a noi? 

Le opere esposte creano un’atmosfera densa di contenuti, senza che questi siano esplicitamente menzionati. L’artista separa l’essenziale dal circostante, il ritorno alla semplicità accomuna i suoi lavori sin dal tempo dell’accademia. Spesso trae ispirazione da fatti e ricordi realmente avvenuti. Ha, per esempio, realizzato un cut out raffigurante la strada in cui è cresciuta, ma anche i grattacieli di Tokyo o un posto di blocco cipriota sono da lei stati trasformati in un estetico allineamento perpendicolare.     

“Italy“ si configura come antidoto contro la dilagante abbondanza di input. Strade, negozi e uffici sono ambienti artificiali, ai quali ci siamo adattati nel corso degli ultimi decenni, evolvendoci dalla luce del sole verso l’aria filtrata dei centri commerciali. Un groviglio di luci e rumori spesso ci impedisce di riconoscere coscientemente lo spazio che ci circonda. I lavori di Eva Schöffel sono di una tale semplicità da sembrarci universalmente collocabili ovunque e, al contempo, da nessuna parte.

Un simile effetto è suscitato dalle sue “lettere“. Si tratta di fotografie che ritraggono fogli di carta recanti singole parole come “now“ oppure “me“. Non vere e proprie lettere, ma constatazioni che ognuno è libero di interpretare a suo piacimento. L’artista è affascinata dalle parole, che troviamo sparse un po' ovunque nei suoi lavori. Brevi indicazioni geografiche e/o temporali – “here“, “west“, “california“ – suggeriscono spazi indefiniti.  

Un indicazione geografica è anche il titolo della mostra: “Italy“. A questo termine polivalente l’artista associa la nostalgia, tipicamente germanica, per l’Italia, qui intesa come la ricerca di una sorta di locus amoenus. Pensando al contesto altoatesino, si tratta però anche di un titolo provocatorio; un sudtirolese di madrelingua tedesca lo assocerà diversamente rispetto a uno di madrelingua italiana, per non parlare dell’idea che se ne potrebbe fare un’artista di Monaco o un turista da settimana bianca di Roma. Dobbiamo sempre dare un nome allo spazio intorno a noi? I sentimenti e le sensazioni non si fermano di fronte a confini stabiliti a livello politico.