Gesellschaft | Alzheimertag 2016

Cantare contro la vergogna

Un contributo alla Giornata Internazionale dell'Alzheimer
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Molti problemi pone l’Alzheimer. Uno di questi è la vergogna. Si vergogna la persona malata, delle sue dimenticanze, delle sue insufficienze, della sua perdita del controllo. Si vergognano i parenti, si vergogna forse tutta la società, di una malattia che mette sottosopra tutte le sue certezze e gerarchie.

Vorrei parlare della vergogna, perché possa diminuire. Perché è necessario che diminuisca.

Per questo vorrei condividere il momento in cui io ho vinto la vergogna.

Prima di ammalarsi, per oltre 50 anni mia mamma aveva cantato nel coro della parrocchia. Era uno splendido soprano, molto amata da tutti per la sua indole gentile e generosa. Forse anche per questo, quando iniziò ad avere dei disturbi, il coro decise di aiutarla perché potesse continuare a farne parte il più a lungo possibile. Adorava cantare, cantava sempre. Per molti anni ancora, già malata, era lei a intonare le canzoni alla messa delle sette del mattino.

Ma arrivò il giorno in cui gestire la sua presenza era praticamente impossibile. Era troppo lenta e confusa con gli spartiti, non era più affidabile. Fu terribile per mia mamma prenderne atto. In più dimenticava sempre che non poteva più andare alle prove, glielo si doveva ricordare tutte le settimane, e ogni volta la sofferenza ripartiva da zero.

In quella fase, un sabato pomeriggio il coro cantava in chiesa. Avevano preparato un concerto con tutte “Marienlieder”, canzoni dedicate alla Madonna, particolarmente amate da mia mamma. Anche lei portava il nome di Maria e aveva una devozione particolare per la Madonna. La chiamava Himmelmamma, la mamma del cielo. Quel pomeriggio la assistevo io: era nervosissima, perché “doveva andare a cantare al concerto”. Provai a distrarla, a dissuaderla, ma niente da fare. Si era vestita bene e con una testardaggine che prima non aveva mai saputo esternare, si impuntò. Non potei fare altro che rassegnarmi e accompagnarla in chiesa.

Eravamo le prime. La chiesa era ancora vuota. Intorno all’altare il coro faceva i suoi ultimi esercizi vocali. Convinsi a fatica mia mamma a sederci in fondo alla chiesa. Per lei era devastante, ma si arrese. Pian piano la chiesa si riempì. La faccia di mia mamma era talmente addolorata che io mi misi a piangere. Piansi per quello che sentiva lei, per quello che stava, che stavamo perdendo.

Poi iniziò i concerto. Il coro cantava benissimo. E improvvisamente si alzò una voce, accanto a me: mia mamma si era alzata in piedi e si era messa a cantare.

Le ha cantate tutte, le canzoni alla Madonna, quel pomeriggio. All’inizio volevo sparire per la vergogna. Avrei voluto zittirla. Poi però sentii la sua voce morbida e calda risuonare nelle volte della chiesa e completare perfettamente il canto del coro. Non sbagliò una sola nota, la mia mamma. E così la vergogna svanì: ero così orgogliosa della mia mamma così brava e piena di coraggio. Capii che non aveva senso vergognarsi e che potevo invece imparare da lei.

Che seguire la voce interiore è meglio. Che puoi dare il tuo contributo comunque e in ogni caso. E che quando proprio senti che stai per cedere alla disperazione, allora è meglio cantare.