Wirtschaft | Globalizzazione

Al centro gli interessi delle persone

La globalizzazione è uno strumento del commercio internazionale, ma anche un motore delle disuguaglianze e delle pratiche di evasione fiscale.
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Foto: Fabio Petrini

E il sindacato è preoccupato dalla pressione competitiva in termini di condizioni di lavoro e di sito produttivo. Da almeno 30 anni il sindacato si è confrontato con il tema della globalizzazione. A partire dagli anni 80 il settore tessile ha spostato la produzione dei beni quasi totalmente nei paesi più poveri, poi sono seguite altre produzioni a basso contenuto tecnologico. Non a caso in alcuni paesi, a partire dalla Cina, si ha tutt'ora una crescita del Pil molto elevata.

Dal punto di vista politico si assiste da tempo a un'inversione di tendenza, che non può lasciare indifferenti. Alle preoccupazioni sul proprio futuro del ceto medio, e all'allargamento delle fasce di popolazione a rischio di povertà, le forze politiche tradizionali non sono state in grado di fornire risposte credibili. Invece di affermare la preminenza della politica sul mercato anche la sinistra europea si è illusa di poter governare la globalizzazione senza mettere dei paletti alla logica del mercato. Populismo, nazionalismo, sovranismo, egoismi territoriali e forme di autoritarismo nuove sono i risultati ormai ben visibili. Di fronte a questi sviluppi difendere la globalizzazione come antidoto al crescente populismo equivale a un suicidio politico. E' proprio la globalizzazione neoliberale che ha provocato insicurezza e disuguaglianze, aspetti che, come dimostra la storia, aiutano la destra a crescere.

Non c'è stato il miglioramento della situazione materiale promessa a suo tempo per i paesi più poveri del mondo, principalmente in Africa, ma anche per la classe media meno abbiente in Occidente. Questo ha semmai accelerato il processo di migrazione e aumentato la rabbia di chi in Occidente si sente escluso o minacciato nelle sue condizioni di vita, soprattutto per lo spostamento di potere a favore delle imprese internazionali e della finanza che dà ai cittadini il senso di un forte disequilibrio di potere tra quest'ultimi e la politica.
Che effetti provoca tutto questo sulla nostra democrazia? Tra pochi mesi si vota in Europa e la politica economica e commerciale dell'Ue è sempre più nell'occhio del ciclone. L'abbattimento delle frontiere e il libero scambio avevano inizialmente come obiettivo quello di migliorare la competizione transnazionale, smantellare forme di protezionismo locale, abbassare le tariffe. Purtroppo strada facendo sono entrati nel mirino anche norme e leggi che sinora hanno tutelato il mercato del lavoro e la protezione sociale. Non per ultimo il sistema economico attuale privilegia gli interessi degli investitori e limita le capacità di intervento degli stati e in ultimo dei cittadini. Così alcuni servizi pubblici ritenuti indispensabili, o alcune leggi di tutela come quelle a favore dei lavoratori, potrebbero essere impugnate in sedi di arbitrato internazionale come contrarie agli interessi di chi vuole mettere al sicuro i suoi investimenti.

La Commissione europea purtroppo non riesce a dare risposte a questi temi di primaria importanza per le sorti dell'Ue. Si continua invece a puntare sulla crescita delle esportazioni, l'apertura del mercato e la deregolamentazione, soprattutto quella del lavoro e welfare. La domanda allora che si pone è se esistano politiche alternative al pensiero economico oggi dominante, o se dobbiamo subire passivamente il declino di una grande idea che doveva garantire alle future generazioni pace e benessere. La Cgil è del parere che basta capire gli obiettivi delle future scelte di politica economica e considerare il libero mercato un mezzo per raggiungerli. Nelle future scelte bisogna concentrarsi sugli interessi della società per ottenere migliori condizioni di vita per tutti piuttosto che per pochi.

Invece di un impegno a favore del libero scambio, l'attenzione dovrebbe quindi concentrarsi sul recupero del margine di azione politica e sul rafforzamento della partecipazione democratica. Serve una lotta contro le disuguaglianze e nuove forme di solidarietà, queste si globali.

L'obiettivo deve essere quello di porre in futuro gli interessi delle persone e della natura al centro della politica e di realizzare una vita dignitosa per tutti. L'economia deve essere solo il mezzo per raggiungere questo fine e non il fine in sé. Per questo serve una globalizzazione regolamentata.

Si potrebbe incominciare a stabilire seriamente norme minime per le merci vendute sul mercato europeo, sia per la qualità dei prodotti, ma anche per condizioni ambientali e di lavoro e in base a controlli veri e più rigidi. Va rivista anche la politica commerciale volta principalmente ad aumentare le esportazioni anche verso i paesi terzi. Si rischia di rovinare l'economia locale in quei paesi e di incrementare ulteriormente la fuga verso i paesi più ricchi. La domanda interna, invece, deve continuare a svolgere un ruolo molto più importante. Per l'Ue nel suo complesso, nel 2016 l'88,9% della domanda totale di beni e servizi interni all'Unione era prodotta all'interno e solo l'11,1% veniva da paesi terzi.

Alla luce di ciò, è difficile immaginare se i benefici del mercato libero e globale possano effettivamente superare i "costi" potenzialmente elevati per la società, ad esempio attraverso l'armonizzazione verso il basso delle norme del lavoro e delle sue tutele.