Kultur | Salto Afternoon

Conservare la memoria

Die Zeitschrift Kulturelemente erscheint im neuen Kleid. Salto veröffentlicht einen Text aus der Nummer, einen Gastbeitrag von Leonardo Regano.
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Foto: Foto: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin

Conservare la memoria è forse il compito principale che abbiamo affidato al Museo. Ce lo ricorda, d’altronde, la parola stessa -  “museo” - con la sua diretta attinenza alle divinità protettrici delle arti, figlie di Zeus e Mnemosýne, che della memoria è appunto la personificazione secondo gli antichi greci. Tutti i musei sono in qualche misura, quindi, luoghi della memoria. Solo alcuni, però, sono esplicitamente dedicati al ricordo di un evento specifico. Molto spesso sorgono proprio nel sito in cui questo avvenimento è accaduto; lo marcano e ce lo segnalano. Il loro numero, in continua crescita, evidenzia come oggi il ricordo sia una bisogno collettivo e come la memoria culturale non sia vissuta dalla società come un qualcosa di astratto ma come una necessità oggettiva ed evolutiva, in qualche modo, se vogliamo usare questo termine. Serbare il ricordo di qualcosa, decidere di commemorarla anziché dimenticarla non è un atto privo di conseguenze. L’azione di selezione e di conservazione della memoria di un evento è alla base della costruzione identitaria di una comunità. Il ricordo è sicuramente una necessità per chi ha vissuto un evento, specie se di natura traumatica, trovando nella partecipazione collettiva al proprio dolore l’occasione per relazionarsi allo shock subito, al torto o alla perdita, cercando di superarlo o quanto meno di convincersi a farlo. Ma anche l’occasione per autodefinirci in un sistema di relazioni umane e storiche, che creano l’entità collettiva.

Entrando nello spazio, quasi sacrale, dell’esposizione, i visitatori sono condotti in un passaggio obbligato lungo un ballatoio sopraelevato che gira per tutta la sala permettendone una visione completa, senza mai entrare in contatto diretto con gli oggetti esposti.

Il Museo della Memoria di Ustica, che ha sede a Bologna e che in Italia rappresenta un caso museografico unico nel suo genere, sicuramente si inscrive in questa analisi. Nella sua conformazione, la dimensione pubblica e privata della tragedia si combinano, creando un memoriale sui generis che sull’empatia per il dolore e per la richiesta di verità invocata dai parenti delle vittime, trova la sua ragion d’essere. Inaugurato il 27 giugno 2007, a 27 anni dall’abbattimento del volo di linea IH870 partito da Bologna e diretto a Palermo, avvenuto a largo delle coste siciliane, il Museo della Memoria di Ustica si presenta come un unico grande ambiente che al suo interno accoglie i resti del relitto del DC9 Itavia ai cui si accosta l’intervento, deferente e magnifico, di Christian Boltanski. «L’idea di dedicare un museo a questo tragico evento – racconta Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione delle Vittime per la Strage di Ustica – nasce già a partire dagli anni Novanta. Le immagini del relitto conservate a Pratica di Mare, ci colpivano e ci ponevano davanti alla questione di cosa fare con la memoria tangibile di questa nostra tragedia, che fine avrebbe fatto il relitto una volta terminata la custodia per le indagini. La sua perdita ci angosciava: quella carcassa ripescata a oltre 3500 metri di profondità era ed è per noi il simbolo di tante cose a livello personale, ma anche il simbolo della nostra battaglia per scoprire la verità». Accolto all’interno del Parco della Zucca, cuore del quartiere Bolognina e poco distante dalla Stazione Centrale, il Museo ha trovato casa all’interno di uno degli ex capannoni del trasporto pubblico cittadino, per anni deposito per i tram in disuso. Per una singolare coincidenza, la memoria del viaggio, centrale in questa tragedia, si rispecchia anche nella natura stessa del luogo che la ospita. «Coinvolte le autorità cittadine – continua il suo racconto Daria Bonfietti – l’allora sindaco della città di Bologna, Valter Vitali, ripose con molto impegno e si attivò per trovare un luogo idoneo. Nel 2001 c’è stata poi la firma del Protocollo di Intesa tra Ministero dei Beni Culturali, Ministero di Grazia e Giustizia e i tre enti locali Regione Emilia Romagna, Provincia e Città di Bologna, che hanno portato all’avvio delle pratiche burocratiche per la realizzazione del Museo».  Entrando nello spazio, quasi sacrale, dell’esposizione, i visitatori sono condotti in un passaggio obbligato lungo un ballatoio sopraelevato che gira per tutta la sala permettendone una visione completa, senza mai entrare in contatto diretto con gli oggetti esposti. L’intero percorso di visita è stato modulato dall’intervento di Christian Boltanski, che qui firma un’installazione monumentale e permanente, tra le operazioni più toccanti della sua intera carriera. Lungo il ballatoio,  ottantuno specchi neri, uno per ogni vittima della tragedia, raccontano i pensieri di quei passeggeri: le voci di uomini, donne e bambini sono trasmesse da altoparlanti nascosti dietro il vetro scuro, che ci coinvolgono in un flusso di pensieri, di momenti di una quotidianità che sarà presto interrotta. Le tracce della vita di ogni giorno sono raccolte anche all’interno nelle nove casse di legno nero che affiancano i lati della carcassa del DC9: l’artista francese vi dispone all’interno gli oggetti recuperati nelle vicinanze del relitto, che restano custoditi ma celati allo sguardo di chi li cerca. «Nel 2005, alla partenza concreta del progetto, la nostra preoccupazione era legata alla sua fruizione, alla progettazione di un luogo che fosse non un semplice passaggio, ma offrisse un momento di riflessione sentito e concreto. Non ci serviva un monumento, noi chiedevamo un luogo in cui poter ricordare. In accordo con l’architetto che ha seguito i lavori, Gian Paolo Mazzucato, abbiamo deciso quindi di aggiungere un linguaggio altro, quello dell’arte, che ci aiutasse, se così si può dire, a fare memoria di questa vicenda. Ci sembrava che il relitto in sé potesse non essere sufficiente ad alimentare questa tensione, a portare avanti questa continuità di attenzione necessaria.

L’idea di coinvolgere Boltanski nasce dopo aver visto la sua mostra al PAC, a Milano. Era il 2005. Conoscevamo già il suo lavoro, ma dopo aver visitato quella mostra abbiamo deciso che lui era l’artista con la giusta sensibilità. L’abbiamo incontrato pochi mesi dopo, in occasione di un suo intervento al Teatro Valli di Reggio Emilia. Boltanski ha mostrato subito un vivo interesse per il progetto ma con alcune ritrosie. Il suo è un lavoro che parla di vita e morte, in senso collettivo. Noi gli stavamo chiedendo un lavoro specifico, dedicato a 81 persone realmente esistite e vive nei nostri ricordi. Ma la nostra era anche una vicenda collettiva. Oltre i nostri morti, c’era una tragedia su cui lo Stato Italiano ci stava negando la conoscenza della verità. Di lì a un anno, Boltanski ci avrebbe confermato la sua partecipazione». Un rapporto, tra l’artista, il museo e la città di Bologna destinato a durare e a non essere episodico, nutrito da una profonda comunanza di intenti tanto da decidere di celebrare, lo scorso anno, l’anniversario dei dieci anni dall’intervento dell’artista francese per il Museo della Memoria di Ustica con una mostra diffusa sull’intero territorio cittadino, e con una laurea ad honoris causa che gli verrà conferita dall’Alma Mater Studiorum Università di Bologna il prossimo 21 maggio.

Salto in Zusammenarbeit mit KULTURELEMENTE