Wirtschaft | Google & Co.

Contrattare l’algoritmo

La digitalizzazione è un processo ormai irreversibile. La sfida quindi non è tentare di fermarla, ma governarla per migliorare la vita di tutti.
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Foto: Fabio Petrini

Da qualche anno siamo di fronte a un’economia e a un modo di produrre sempre più dinamici. Quello che oggi è un fattore positivo per le imprese, non lo è altrettanto per i lavoratori e per le loro famiglie, con le diseguaglianze in aumento. La crescita economica non ha migliorato le condizioni della vita di tutti i giorni di dipendenti e pensionati. Una tassazione iniqua, con troppe scappatoie addirittura legali, danneggia pure le finanze pubbliche e riduce lo stato sociale. Oggi dobbiamo definire cosa è anche eticamente sostenibile – la tecnologia non è neutra - e cosa fare per evitare che uno vinca e tutti gli altri perdano. Assistiamo, infatti, a una concentrazione di potere nel settore digitale, basta pensare a come Google fagocita la concorrenza, o ai social, che condizionano addirittura le scelte politiche delle persone. Sono aspetti da contrastare per evitare quanto scritto da Orwell in 1984 sul Grande Fratello, anche se il nostro futuro sarà, come speriamo, meno cruento. A volte basterebbe anche una diversa fiscalità per migliorare la situazione. Amazon, per esempio, cresce anche perché è in grado di sfruttare le norme fiscali molto favorevoli in certi paesi, cosa che per il commerciante sotto casa è di fatto impossibile. Anche in questa maniera si stravolge la competitività a scapito dei meno attrezzati, perché il tutto è indipendente dalla capacità imprenditoriale.

Anche il mondo del lavoro cambia a prescindere dalla volontà del singolo. Cambierà il valore del lavoro e nasceranno nuove forme di occupazione e nuove professioni. Senza regole adeguate, il precariato aumenterà e posti di lavoro oggi considerati sicuri saranno a rischio. Da una possibile maggiore autonomia nel lavoro – si potrà lavorare in molte occasioni scollegati dall’azienda e dagli orari di lavoro prefissati – cosa di per sé non negativa - senza regole nuove e concordate si potrebbe finire in forme di schiavitù digitali, dove i confini tra vita privata e lavoro si mescolano in maniera pericolosa. Il rischio di un controllo costante dei lavoratori da parte di terzi, comprese le aziende, non è solo un possibile pericolo, ma dal punto di vista tecnologico sarebbe già la realtà. Il rischio maggiore è un’ulteriore flessibilità a favore delle imprese e una disponibilità di fatto continua del dipendente, con grossi limiti per il singolo di gestirsi la propria vita.

Queste prospettive creano nelle persone spesso paure sul proprio futuro. Per questo il mondo del lavoro va preparato a queste innovazioni con metodi innovativi di formazione e istruzione. Il problema non sono i giovani di oggi, ma le persone di una certa età che inseriti nel lavoro in passato vanno formati per affrontare le nuove sfide, questione tutt’altro che semplice, viste le tante incognite e la velocità dei cambiamenti. Se non vinciamo questa sfida, avremmo una società ancora più divisa e rancorosa di quella attuale. La paura è un motore potente per il populismo soprattutto in una società dove i vincitori sono pochi e i vinti la grande maggioranza.  

Anche la rappresentanza sindacale va incontro a cambiamenti radicali. Il ruolo del sindacato sarà comunque importante. Dobbiamo riuscire a sfruttare anche noi la grande massa di dati, cioè, in parole povere, contrattare l’algoritmo per condizionare le scelte future delle aziende e della politica. Le nuove forme di comunicazione vanno sfruttate al meglio per raggiungere le persone in tempo reale, ma senza sottovalutare i rapporti umani diretti che continueranno ad avere un ruolo fondamentale per le organizzazioni dei lavoratori. Se sappiamo cogliere le sfide e governarle, cosa sicuramente fattibile, il lavoro del futuro non ci deve fare paura, ma sarà un’opportunità per noi e per le future generazioni.