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Gesellschaft | Avvenne domani

Il confessionale esploso

Il mese di aprile del 1968 a Bolzano e dintorni

Nel mese in cui un franco tiratore razzista uccide Martin Luther King (3 aprile) e un neonazista spara in faccia al leader degli studenti di sinistra germanici Rudi Dutschke (11 aprile), il nostro percorso tra gli avvenimenti altoatesini e non di cinquant'anni fa, tra le storie di quel terribile e meraviglioso 1968, entra con decisione nelle navate delle chiese.

Già in marzo avevamo sottolineato il puntiglioso interesse con il quale un giovane Alexander Langer commentava, su Die Brucke, di atteggiamenti di tipo politico dei vescovi italiani alla vigilia delle elezioni politiche. A Bolzano come altrove il mondo cattolico viveva sussulti di anti - autoritarismo non minori, per intensità, a quelli che scuotevano altre istituzioni come la scuola e la fabbrica.

Al mese di marzo dobbiamo tornare anche per un episodio avvenuto in una Trento ormai sconvolta dalla contestazione permanente che stanno mettendo in atto di studenti della facoltà di Sociologia. Il martedì della settimana di Passione uno studente universitario si alza in piedi durante la celebrazione della messa in Duomo e inizia a contestare vivacemente le parole del sacerdote. È il cosiddetto "controquaresimale" che prosegue anche nei giorni successivi, sul sagrato e in chiesa, con la citazione degli iscritti di celebri sacerdoti-contestatori come il fiorentino Balducci e don Milani. È lo spirito che taluni, nella Chiesa, attribuiscono al Concilio Vaticano II, ma che, spirando sotto le volte che hanno ospitato ben altro Concilio, si trasforma inevitabilmente in tempesta.

Bolzano raccoglie a modo suo il testimone di questa protesta. È tardo pomeriggio di domenica 21 aprile. In Duomo don Bruno Benedetti, sacerdote notissimo in città anche per la sua attività pubblicistica, sta apprestandosi a raggiungere l'altare per celebrare messa quando uno scoppio scuote l'interno di uno dei confessionali, una nuvola di fumo si sparge sotto le volte gotiche provocando la precipitosa fuga di alcune decine di fedeli che si erano radunati in attesa della funzione religiosa. L'ordigno esplosivo, poco più di un petardo, provoca però un effetto enorme, amplificato dal fatto che il centro della città vive già momenti di tensione per l'arrivo del Ministro dell'istruzione pubblica Luigi Gui, venuto ad aprire ufficialmente la campagna elettorale della Democrazia Cristiana in vista delle politiche di maggio. Ad attenderlo, davanti alla sala di rappresentanza del Comune un folto gruppo di studenti, ben decisi a contestargli di persona tutte le loro critiche all'istituzione della scuola e a chi la regge.

Quando il fumo provocato dall'esplosione si dirada e i timori degli astanti sono placati, gli inquirenti, grazie anche ad una pratica più che decennale maturata con il terrorismo sudtirolese, si rendono subito conto che si è trattato di un gesto dimostrativo, ma che va messo indubbiamente in relazione all'arrivo del ministro e alla contestazione nei suoi confronti. Cade subito la pista, alternativa ed inquietante, di un possibile attentato diretto contro Silvius Magnago, abituale frequentatore della chiesa ed un uso accomodarsi, scrive qualcuno, proprio sui banchi vicini al confessionale preso di mira.

Le indagini partono a spron battuto e i risultati arrivano nel giro di qualche ora. Tre giovani studenti di lingua italiana, due maturandi del Classico Carducci ed uno dello Scientifico Torricelli, vengono fermati e portati in questura. Confessano subito di essere gli autori del gesto ed ammettono di aver voluto sottolineare in modo "esplosivo" la contestazione programmata per l'arrivo di Gui. Negano e negheranno anche al processo di aver messo la bomba in un confessionale in segno di contestazione nei confronti della Chiesa e questo lascia perplessi molti osservatori. Essendo trascorsa la flagranza i giovani vengono rilasciati e giudicati, qualche giorno dopo, per direttissima. Davanti ai giudici ripetono le loro motivazioni. In loro difesa si presentano testimoniare diversi insegnanti delle due scuole. Le responsabilità sembrano equamente ripartite. Uno dei tre, quello che, frequentando lo Scientifico e ha maturato maggiori competenze nell'arte chimica, confessa di aver confezionato l'ordigno con prodotti facilmente reperibili in commercio e dimostra una tale perizia da correggere perfino, sull'argomento, l'artificiere chiamato a testimoniare in aula. Gli altri però si assumono collegialmente la responsabilità. Il tribunale li condanna equamente ad un mese e 20 giorni di reclusione ciascuno, con l'ovvia sospensione condizionale della pena. Il quotidiano Alto Adige che ovviamente ha seguito da vicino l'intera vicenda non commenta mentre il Dolomiten, che è riservato all'intera storia un'attenzione assai misurata, definisce la sentenza "mite".

La storia della bomba nei confessionale, della quale a Bolzano si parlerà per anni, visto tra l'altro che i protagonisti appartengono a famiglie molto note della città, rischia di far passare in secondo ordine un altro fatto, di importanza sicuramente maggiore, che avviene in quelle stesse ore di quella domenica 21 aprile 1968. Quella sera, si è detto, il comizio di Luigi Gui viene aspramente contestato dagli studenti assiepati fuori dalla sala dove si svolge la riunione. La polizia riesce a mantenere l'ordine, ma il clima è molto teso. Bolzano non è abituata a manifestazioni di questo tipo e la vicenda lascia uno strascico polemico che prosegue anche nei giorni successivi. Gli studenti accusano il Ministro di non aver voluto dialogare con loro. La Dc altoatesina precisa in modo secco che la disponibilità al dialogo c'era tutta ma che Gui non poteva accogliere la richiesta di chi voleva solo processarlo in piazza.

Nella sede della Democrazia Cristiana di via Isarco, però, circolano anche veleni di tutt'altra fatta. Ci si è accorti che un esponente di rilievo del partito, l'assessore provinciale all'assistenza Lidia Menapace, invece di stare all'interno della sala dove si svolgeva il comizio, assieme a tutti gli altri maggiorenti del partito, era rimasta fuori assieme agli studenti contestatori. Gli aspri giudizi che qualcuno, anche nel suo partito, le riserva per la sua vicinanza alle posizioni dell'anti autoritarismo più spinto, trovano, in questo caso, lo sbocco in un articolo del quotidiano Alto Adige che arriva ad ipotizzare addirittura una sorta di processo politico intentato nei suoi confronti. Lidia Menapace risponde da par suo, smentendo seccamente l'ipotesi di un una qualsivoglia accusa formale nei suoi confronti, ma ammettendo la scelta politica fatta schierandosi con gli studenti e definendo altamente inopportuna la scelta dei suoi colleghi di partito che hanno invitato a Bolzano, per inaugurare la campagna elettorale, proprio il ministro di una Pubblica Istruzione aspramente contestata in tutte le scuole italiane.

La vicenda trova spazio, abbastanza curiosamente, anche sulle colonne del quotidiano Dolomiten, che, in un corsivo pubblicato il 27 aprile addita Lidia Menapace, pur senza nominarla, come uno di quei personaggi che manovrano dall'esterno il movimento studentesco. Sono i "non studenti o ex studenti" contro i quali il quotidiano di lingua tedesca si scaglia a più riprese. È un accanimento che probabilmente trova le sue ragioni d'essere nel fatto che la casa editrice Athesia e il giornale che esso pubblica sono entrati anch'essi, in quelle settimane, nel mirino della contestazione globale. Nel corso di un dibattito svoltosi per iniziativa dell'associazione degli studenti sudtirolesi a Vill, vicino a Innsbruck, il direttore del Dolomiten Toni Ebner è stato contestato così pesantemente da aver potuto con difficoltà a prendere la parola. La contestazione si è ripetuta alcuni giorni dopo a Bolzano in occasione di un seminario, tra i cui relatori figura il vice presidente dell'Athesia monsignor Johann Gamberoni. In ambedue i casi l'accusa è quella di utilizzare il sostanziale monopolio della casa editrice nell'informazione in lingua tedesca per escludere o soffocare tutte le voci critiche o alternative.

Sono episodi che trovano alimento anche nei veleni di una campagna elettorale che, come sempre accade, tende ad esasperare le posizioni, ma sono contrasti che si prolungheranno nel tempo e che, specie per quanto riguarda quello tra Lidia Menapace e il suo partito, produrranno nel giro di qualche mese clamorose decisioni.

Il mese di aprile del 1968 si consuma,così,  tra avvenimenti grandi e piccoli. La protesta degli studenti e degli operai dilaga in tutto l'Occidente. In America le manifestazioni seguite all'assassinio di Luther King infiammano i ghetti della gente nera. Trentanove i morti negli scontri con la polizia. Anche in Italia il clima è pesante. Alla Marzotto di Valdagno gli operai abbattono la statua del fondatore dell'azienda.

Fa scandalo, tra i benpensanti, l'uscita nelle sale cinematografiche di un film tedesco,Helga, nel quale, pur con il taglio algido di un documentario scientifico, vengono mostrate alcune scene riprese in una sala parto. L'Italia risponde mandando sul grande schermo la prima di una serie di pellicole morbosamente tirate del regista Salvatore Samperi. Si intitola "Grazie zia".

In Italia il titolo di saggistica più venduto è "L'uomo ad una dimensione", del filosofo Herbert Marcuse. In America va in scena per la prima volta la prima opera rock, il musical Hair. Due opere dell'ingegno umano che, ciascuna a modo suo, influenzeranno in modo notevole il futuro.