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Politik | Avvenne domani

Senatores boni viri

Piccolo riassunto delle puntate precedenti della storia del terzo senatore altoatesino.

Un politico che ha lasciato il segno delle vicende altoatesine del novecento, usava sempre dire che tutti i problemi, in provincia di Bolzano, uniscono alla loro naturale complessità quella ulteriore dovuta alla questione etnica. È una constatazione che riaffiora in questi giorni davanti alla contemplazione delle secche in cui rischia di incagliarsi la navigazione, che sembrava veloce e sicura, della navicella SVP-Lega in vista della formazione della nuova giunta provinciale. All'enunciato di cui sopra si potrebbe poi aggiungere un corollario secondo il quale ci sono ben poche questioni etniche che possono definitivamente considerarsi risolte e che non rischiano di tornare periodicamente alla ribalta.

È il caso, evidentemente, della questione esplosa negli ultimi giorni e relativa alla ripartizione dei collegi senatoriali in Alto Adige. Un problema antico quanto l'autonomia stessa.

Occorre infatti tornare addirittura al 1948 per capirne le caratteristiche fondamentali. In quell'anno si vota, anche in Alto Adige e per la prima volta, per l'elezione del primo Parlamento repubblicano. Si vota per la Camera e si vota per il Senato della Repubblica. In questo caso si tratta veramente di una "prima volta" in assoluto, dato che per tutto il periodo dell'Italia retta dallo Statuto, il Senato aveva conservato le sue caratteristiche di organo composto solamente da nominati dal Sovrano.

Nel 1948, invece, sono gli elettori ad essere chiamati alle urne per eleggere, con il loro voto, 237 senatori, cui se ne aggiungeranno, ma solo per la prima legislatura repubblicana, altri 106 in base alle disposizioni transitorie della Costituzione.

Per quel che riguarda il Trentino Alto Adige il nuovo sistema elettorale prevedeva la suddivisione del territorio regionale in sei collegi, quattro dei quali situati nel Trentino e due in Alto Adige. La disparità di trattamento tra le due province era dovuta sostanzialmente ad un calcolo relativo numero degli elettori. Nel Trentino, per il Senato, erano chiamati alle urne oltre 210.000 elettori, mentre in Alto Adige le schede elettorali distribuite non andavano oltre le 170.000. Una disparità dovuta, più che a ragioni di tipo demografico, ad un fattore storico politico ben preciso. In provincia di Bolzano, in quelle elezioni, furono ancora esclusi dal voto molti i sudtirolesi che avevano optato per la Germania nel 1939 e che solo successivamente avrebbero riacquistato completamente i diritti politici. Nelle tornate elettorali successive la differenza andò progressivamente riducendosi, ma senza mai essere del tutto eliminata. Lo scalino del numero di elettori non era comunque più tale da poter giustificare una ripartizione dei collegi così ineguale e la questione entrò a far parte delle rivendicazioni avanzate in sede di revisione dello Statuto di autonomia. Così, quando alla fine degli anni 60 si mise mano al cosiddetto Pacchetto, una delle 137 misure previste, quella contrassegnata dal numero 111, prevedeva testualmente la "modifica delle circoscrizioni elettorali per le elezioni del Senato, allo scopo di favorire la partecipazione al Parlamento dei rappresentanti dei gruppi linguistici italiano e tedesco della provincia di Bolzano, in proporzione alla consistenza dei gruppi stessi". La formula utilizzata si dice che, oltre ad una mera ripartizione matematica dei collegi senatoriali, lo scopo era anche quello di assicurare, per quanto possibile, una rappresentanza a Palazzo Madama anche al gruppo italiano dell'Alto Adige. Dal 1948 in poi, infatti, la Suedtiroler Volkspartei si era aggiudicata senza alcuno sforzo la vittoria nei due collegi esistenti, quello di Merano, comprendente Bolzano e tutta la parte occidentale della provincia, è quello di Bressanone, che invece conglobava la parte orientale. In quest'ultimo collegio, la SVP riuscì regolarmente, unico caso in Italia, a far scattare il meccanismo previsto dalla legge elettorale e in base al quale il partito che otteneva più del 65% dei voti azzerava i risultati delle altre forze politiche.

La cosiddetta misura 111, a differenza di molte altre previste nel Pacchetto, doveva essere attuata con leggi ordinaria anziché con un Decreto governativo. Rimase lettera morta quasi fino alla fine del lungo processo di attuazione dell'autonomia. La questione fu affrontata dal Parlamento solo alla fine degli anni 80 e sul disegno di legge predisposto dai parlamentari SVP venne ingaggiata una furibonda battaglia della quale faccio cenno, tra l'altro, nel mio libro "Dibattiti e dinamite" sulla storia parlamentare della questione altoatesina. Tra gli aspetti più contestati della norma la delimitazione del nuovo collegio senatoriale, chiamato da subito Bolzano-Bassa Atesina nella cui estensione furono compresi numerosi comuni a maggioranza tedesca. In questo modo, si obiettò, diventava più complicato assicurare l'elezione di un parlamentare italiano. La legge fu comunque approvata, con diverse modifiche rispetto al testo originale nel dicembre 1991, poche settimane prima che la fase di attuazione della nuova autonomia e con essa la vertenza internazionale tra Austria e Italia fossero dichiarate concluse.

I timori di chi riteneva che l'obiettivo di garantire l'elezione di un senatore italiano dell'Alto Adige non fosse affatto garantito dalla nuova legge si rivelarono più che fondati quando, in quelle stesse settimane, si andò al voto per le politiche del 5 aprile 1992, le ultime della cosiddetta prima Repubblica. Nel nuovo collegio di Bolzano a trionfare fu il candidato della Suedtiroler Volkspartei Karl Ferrari che non ebbe troppi fastidi da parte di un elettorato italiano frammentato in una decina i partiti diversi. Le cose non andarono diversamente due anni dopo, in un quadro politico che pure si era ricomposto dei due schieramenti di centro-destra e centro-sinistra. Perché le cose prendessero una piega diversa fu necessario attendere il 1996, quando il centrodestra italiano riuscì a mandare a Palazzo Madama, sempre ovviamente per i collegio di Bolzano, Adriana Pasquali. In quel caso la vittoria del Polo delle Libertà fu resa possibile dal fatto che il centro sinistra e la SVP si erano presentati divisi. Fu l'ultima volta. Dalla votazione successiva e sino a quella del 4 marzo scorso, l'alleanza tra queste due forze politiche ha funzionato come ipoteca sul risultato della votazione. Per tre volte consecutive è stato eletto l'esponente SVP Oskar Peterlini che, nel 2013 ha lasciato il posto a Francesco Palermo, sostenuto anche da una più vasta aggregazione di forze di sinistra. L'elezione di Gianclaudio Bressa, il 4 marzo scorso, è cronaca recente. In sostanza da quando il terzo collegio entrato a far parte della struttura elettorale altoatesina, la Suedtiroler Volkspartei vi ha eletto un suo esponente per cinque volte su otto votazioni.

Sin qui le puntate precedenti della vicenda, tornata improvvisamente di attualità quando, sulla base di un disegno di legge predisposto dal leghista Calderoli e che prevede la drastica diminuzione di senatori e deputati, la rappresentanza senatoriale altoatesina, come quelle di tutte le altre circoscrizioni è stata sforbiciata. Secondo la proposta leghista i collegi tornerebbero ad essere due anziché tre.

A questo punto è arrivata la reazione a dir poco decisa della Suedtiroler Volkspartei che ha immediatamente attivato la tutela austriaca e minaccia di bloccare le trattative per la nuova giunta provinciale con il Carroccio.

È evidente che la questione più ancora che di sostanza è di forma e di metodo. Se effettivamente passasse un progetto di riduzione di un terzo della rappresentanza parlamentare, ben difficilmente ci si potrebbe arroccare sulla questione della rappresentanza delle minoranze, che verrebbe comunque garantita, per conservare all'Alto Adige un livello di rappresentatività superiore a quello di tutto il resto del paese.

Il vero problema, come hanno fatto notare subito gli esponenti SVP, nasce dal fatto che la proposta, che va di fatto ad intaccare una delle normative previste esplicitamente nel Pacchetto, è stata presa e portata avanti senza cercare alcuna intesa preventiva con la SVP stessa e con Vienna. In via Brennero, a Bolzano, questo viene evidentemente considerato come un precedente pericolosissimo proprio perché arriva da un governo di recente insediamento, che tende a muoversi con piglio decisionista, ignorando le intese e le prassi politica del passato.

Il fatto poi che l'iniziativa arrivi proprio da quella Lega con la quale la Suedtiroler Volkspartei sta per stringere un patto di legislatura a Bolzano e, con ogni probabilità, un'alleanza in campo regionale e che l'artefice primo dell'operazione sia proprio quel Calderoli che in casa Volkspartei viene da sempre considerato come uno degli interlocutori più sicuri e affidabili in campo nazionale, non fa che generare ulteriore sconcerto e creare un clima confuso, nel quale, all'interno della Sammelpartei, si confrontano e si scontrano evidentemente coloro che sperano di utilizzare questa vicenda per mandare a monte ogni forma di collaborazione con i leghisti e coloro che invece all'alleanza con il Carroccio tengono molto e quindi cercano di minimizzare la portata di tutta la controversia.

E così il terzo senatore, dopo settant'anni, fa ancora discutere.