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L’ambra di Caramaschi

Recensione del libro «Il sigillo d’ambra» di Renzo Caramaschi. Presentato a Bolzano.
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Foto: Foto: Salto.bz

Mentre non pochi studiosi (ma per la verità troppo pochi romanzieri di professione) si interrogano sul futuro del romanzo storico, Renzo Caramaschi prosegue nel suo lavoro certosino e certamente non intellettualistico di ripercorrere la Storia attraverso la narrazione, la spigolatura, l’arricchimento fantasioso e talvolta meraviglioso (da meraviglia) di personaggi realmente esistiti ma poco (o troppo) conosciuti.

Operazione coraggiosa e anche un po’ “licenziosa”, ovvero libertina, libera, felicemente fuori dagli schemi, quella di Caramaschi. Il quale nelle note di copertina (e ieri a Bolzano, durante una presentazione pubblica del romanzo) così parla del libro: “L'ambra è bella come i sogni, dà luce. Capisci? Non serve a nulla. Ci nutre forse? No! Noi lo sappiamo e di questo noi viviamo. Simon di Siviglia, giovane ebreo convertito, vittima delle invidie di corte, viene mandato al servizio dell'Impero e inviato a Innsbruck come consigliere del Signore di Salamanca, nuovo ministro delle finanze dell'arciduca Ferdinando, fratello minore dell'imperatore Carlo V. Dal cuore dell'Europa Simon assiste al disfacimento dell'Impero, mentre la parola di Lutero accende gli animi di un popolo piegato dalla fame e dalle ingiustizie per il quale l'ebreo dell'imperatore prova a chiedere giustizia….”.

Ebbene sì. Ecco un romanzo storico che porta il lettore nel cuore dell'Europa del Cinquecento, dalla Spagna alle Repubbliche baltiche, tra mercanti d'ambra, cortigiani infidi e corrotti, monarchi incapaci e povera gente a cui resta solo la speranza.

Renzo Caramaschi, manager pubblico di lungo corso, sindaco in carica di Bolzano (e giustamente critico verso la proposta raffazzonata e improvvisata della azienda di soggiorno bolzanina di una ruota da lunapark, poi giustamente bocciata per il mercatino di Natale) non è al primo romanzo. E scorrendo “Il sigillo di ambra” (edizioni Mursia, euro 16.50) si afferra che il suo stile, il suo lessico, l’equilibrio tra personaggi e paesaggi vengono da lontano.

Non da notti insonni (che pure ci sono state e non poche) di attesa della cosiddetta “ispirazione”, del turbamento pre-scrittura e cose del genere. Caramaschi ha due frecce al suo arco, anzi tre. Sa scrivere, poi limare, poi tagliare, poi riscrivere e risolvere situazioni concave e convesse nelle sue storie. Poi, il suo venir da lontano abbraccia dichiaratamente anche i suoi esordi come curatore di guide paesaggistiche, che spesso sono una buona scuola. Infine, come è noto, l’autore del libro ha un amico – romanziere, poeta e scrittore teatrale di altissimo rango - al quale sottopone il manoscritto prima che gli editor di Mursia intervengano a loro volta.

E che si tratti di un piccolo, affascinante e legittimo mistero (o invece di notizia nota), ebbene non saremo noi a svelare alcunché. Sicuri come siamo che un parere su un libro ancora in fieri sia certo utile e talvolta necessario: ma convinti anche che il lavoro elegantemente artigianale di Caramaschi sia comunque di qualità, risulti insomma comunque convincente.

Già, ma come si va trasformando il romanzo storico? E in quali direzione va il cantiere di chi lo vorrebbe più de-strutturato sul piano storico ma più granitico e uniforme sul piano linguistico? Risposta non facile anche perché – per dirlo senza citazioni, pratica che noi attribuiamo solo ai poveri di spirito, di letture e di conoscenza non nozionistica - ciascuna letteratura europea di questi ultimissimi anni appare (e probabilmente è) sovranista. I francesi vorrebbero, ad esempio, più personaggi (e belle fanciulle da sedurre), gli inglesi minori concessioni alla storia delle religioni (basti pensare all’Irlanda), i tedeschi più attenzione alle date, ai luoghi, persino alle stagioni.

Un caleidoscopio sul quale torneremo. Intanto, Caramaschi va per la sua strada con esprit, bravura e (non falsa) modestia. Un po’ come fanno il bravissimo Kurt Lanthaler, poi il grande romanziere “misterioso” al quale accennavano più sopra e la sapida ed intensissima Sabine Gruber.

Teniamoceli stretti: perché questa terra sudtirolese e trentina proprio non ha partorito altri romanzieri di alto lignaggio da almeno cinquant’anni.