Chronik | Violenza sulle donne

Serve un cambiamento radicale

Nonostante le molte campagne contro la violenza sulle donne non si intravedono segnali di miglioramento. Alcune riflessioni di Alfred Ebner.
Hinweis: Dies ist ein Partner-Artikel und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.
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Foto: Fabio Petrini

Il ruolo della donna, troppo spesso legato ancora a molti stereotipi del passato, a fattori culturali, alla scarsità di aiuti in caso di difficoltà di coppia, ma anche a fattori legati alla psiche umana spesso imperscrutabile, sono le principali cause di un problema, che non si riesce a sconfiggere. A questo spesso si aggiungono fenomeni nuovi, ma spesso sottovalutati, che sono le persecuzioni che si manifestano sempre più frequentemente sui social media e che nella larga parte dei casi hanno come obiettivo proprio le donne. Sono diversi gli episodi in cui ragazze si sono tolte la vita per la vergogna a causa della pubblicazione di momenti di intimità, messi in rete. Questa nuova forma di ricatto o di violenza, che tra l’altro è anche difficile da combattere, è una violenza psicologica.

Altro fattore negativo può essere la dipendenza economica delle donne. Su questa si può intervenire riducendo le disparità legate alle condizioni sul mercato del lavoro e su salari e stipendi. Un lavoro e un salario adeguato sono una forma importante di prevenzione perché riducendo la dipendenza economica delle donne dal loro partner si aprono spazi nuovi per ribellarsi a un partner violento o patologicamente geloso. Purtroppo dai dati sui redditi da lavoro delle donne emergono condizioni spesso anche contradittorie e che hanno bisogno di una attenta lettura. Se in Europa la differenza salariale è pari al 16,2%, in Italia si aggira attorno al 5,3%. Questa apparentemente è una buona notizia. La verità invece è un’altra, che è legata al mercato del lavoro. In Italia il differenziale tra uomini e donne occupate è quasi del 20% contro una media europea dell’11,5%. Da noi le donne con una scarsa formazione o soggette a un salario basso sono poi di solito escluse dal mercato del lavoro. Questo porta ovviamente a risultati e indicatori sfalsati. Esiste poi un divario consistente tra lavoro pubblico e privato, ove il differenziale nel privato è ai livelli medi europei ovvero quasi al 18%.

Con l’età inoltre la differenza che esiste già nel momento di entrata sul lavoro, si allarga. Se la differenza iniziale dipende probabilmente dal tipo di occupazione delle donne, che ha sovente caratteristiche professionali inferiori a quelle dei colleghi maschili, con il tempo il divario si allarga per motivi ben noti: la maternità, il lavoro di cura e la difficile conciliazione tra lavoro e famiglia favoriscono gli uomini nella prosecuzione della carriera e nella formazione professionale. Qui si evidenzia la necessità di un cambiamento radicale sul ruolo della donna nella società, perché la legge da sola non è riuscita a modificare in profondità questa situazione. La maternità non deve essere un fattore di discriminazione sul lavoro e neppure una possibile gravidanza futura può diventare motivo per negare un’occupazione o per avanzare sul proprio posto di lavoro. Spesso le donne si trovano addirittura di fronte a veri e propri abusi come le dimissioni in bianco che hanno costretto il legislatore a intervenire. La precarizzazione del lavoro ha dato poi una impennata a questa situazione.

Spesso in caso di maternità le donne si devono licenziare per la mancanza di servizi. In questa maniera un figlio rischia di incidere pesantemente sul bilancio familiare. Così un evento normalmente da vivere con gioia rischia di trasformarsi in un incubo e diventare oggetto di conflitto e di dipendenza economica. Credo che questi fattori non vadano sottovalutati perché se oltre alla dipendenza psicologica, sulla quale è difficile intervenire, si aggiunge pure quella economica, la soglia di sofferenza verso forme di violenza psicologica e fisica si alza e produce spesso risultati catastrofici.

Il problema ovviamente non è quello di fare le dovute analisi, o semplicemente denunciare questa forma di diseguaglianza che riguarda sostanzialmente la metà della popolazione, ma trovare soluzioni per raddrizzare questo squilibrio. Servono le leggi, che nella sostanza esistono già e che possono essere rivendicate. Ma nella nostra società è ancora molto radicata la divisione dei ruoli: la donna che si cura della famiglia, dei figli e della cura, l’uomo che porta a casa le risorse necessarie. Questo è un primo punto sul quale lavorare. Serve sicuramente tempo e un’educazione mirata a partire dalle madri stesse, che troppo spesso educano i loro figli sin dalla prima infanzia secondo gli schemi del passato, che assegnavano ai due sessi ruoli ben definiti. I padri devono prendersi anche in ambito familiare la responsabilità che gli compete nell’educazione della prole. Lo Stato deve poi creare le condizioni ottimali, anche con incentivi, per assolvere a questo compito con il potenziamento del congedo parentale per gli uomini. Purtroppo, in questo ambito, i segnali che vengono dalla politica sono di tono inverso. Un ruolo centrale rivestono comunque i servizi per le famiglie, che solo attraverso un’offerta adeguata possono realmente fare le scelte senza costrizioni. Nei contratti collettivi di lavoro va posta una particolare attenzione sul tema degli orari per conciliare al meglio il lavoro con i compiti familiari senza distinzione di sesso. Ovviamente questo è solo una parte del problema della violenza sulla donna, che va integrato con altri provvedimenti.

Serve una legislazione ad hoc che permetta alle forze pubbliche e alla magistratura di intervenire meglio in maniera preventiva e non quando il danno è fatto. Vanno potenziati i servizi psicologici e di aiuto alle coppie per tentare di comporre i problemi esistenti. La legge deve infine, di fronte alla evidenza, permettere alla magistratura, a prescindere da una denuncia circostanziata, di poter allontanare il coniuge violento e tutelare la persona soggetta a soprusi. So di toccare un tasto delicato, dove serve molta sensibilità da parte di chi deve intervenire, in quanto si entra in meccanismi che fanno parte della sfera più intima delle persone. Ma a volte servono decisioni anche difficili e non sempre comprese dai soggetti coinvolti, ma se vogliamo fermare la strage di donne degli ultimi anni non vedo molte alternative.

 

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Christoph Moar Mi., 28.11.2018 - 11:10

take it easy. work in progress.

Doch, die Gefahr sind (aktuell) Spammer. Wenn die Community ihre eigenen Kommentare nicht mehr "sieht", weil Salto in minuten Dutzende von Spam-Artikeln kriegt, dann finde ich das als Leser inakzeptabel. Kurzfristige Reaktionen darauf sind gewiss nicht immer final.

Das Wertungshindernis finde ich persönlich notwendig. #votebrigading ist auf Salto tatsächlich ein Problem., wie jeder nachvollziehen kann, der kurz mal schaut, wie selten und bedacht upvotes gegeben werden, und mit welcher Effizient ganze Reihen von downvotes hingeknallt werden. Wenns nach mir ginge, könnte man auf votes komplett verzichten, oder nur upvotes stehenlassen, die real existierende Asymmetrie bei der Vergabe führt sowieso dazu, dass up- und downvotes nicht vergleichbar sind.

Mi., 28.11.2018 - 11:10 Permalink
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Benno Kusstatscher Do., 29.11.2018 - 15:23

Antwort auf von Christoph Moar

Hier klingt durch, dass aus ständigem Herumnörgeln ein Gewohnheitsrecht ersessesn würde und dass deswegen Salto einen Service gefälligst zu bieten hätte. Ich schließe mich Christoph an: Wer Beiträge, Kommentare oder Meinungen anderer schlechtwertet, kann das ruhig mit offenem Visier tun. Das darf schon die Mühe eines erklärenden Kommentars wert seit. Wer innerhalb weniger Sekunden gleich mehrere Kommentare schlechtwerten will, hat meiner Meinung nach sowieso ein übersteigertes Urteilsbedürfnis, oder aber gehört zur Lobby oder Horde Dritter und macht bestimmte Kommentator*innen systematisch runter, wie zuletzt auch hier verstärkt zu beobachten. Was soll daran bitte unterstützenswert sein?

Do., 29.11.2018 - 15:23 Permalink
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Profil für Benutzer Christoph Moar
Christoph Moar Mi., 28.11.2018 - 12:32

Du beobachtest schlecht.
Uplikes werden mit äußerstem Bedacht gegeben. Einzeln und wohldosiert. Es dauert lange, bis unter einem Artikel 1-2-3 Likes erscheinen.
Downvotes gehen (gingen) immer in Massen ein. Ein einzelner Kommentator streicht mit einem Abwasch 7 Upvotes weg, die von fünf verschiedenen Kommentatoren über Tage entstanden sind.

Ceterum censeo sind die beiden Dinge prinzipiell nicht gegeneinander abzuwägen. Ein Ansatz wie Facebook ist realistischer, es gibt kein dislike. Sondern nur unterschiedliche Sorten von Likes.

Mi., 28.11.2018 - 12:32 Permalink