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I sogni più veri del vero

A Trento, Bolzano e Rovereto la scrittrice Nadia Terranova presenta in questi giorni il suo libro “Addio fantasmi”, che è già un successo nazionale e internazionale.
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Foto: Nadia Terranova

Martedì 29 gennaio, prima a Trento (ore 16.00) e poi a Bolzano (ore 18.00, accompagnata da Giovanni Accardo) – in entrambi i casi presso le librerie Ubik – la scrittrice messinese Nadia Terranova incontrerà i lettori per parlare del suo ultimo ed intenso romanzo, Addio fantasmi. Il giorno dopo (30 gennaio) sarà alla libreria Arcadia di Rovereto. Il libro, che in Italia sta avendo un notevole successo di pubblico, uscirà a breve anche in Spagna, Germania, Francia, Usa, Repubblica Ceca, Slovacchia e Danimarca. Nell'intervista a salto.bz ci parla della “sicilitudine”, del suo modo di concepire il lavoro letterario e di come si possono circoscrivere gli spettri della nostalgia.

salto.bz: Rilasciando un'altra intervista, una volta lei ha citato una frase stampata su un manifesto appeso in una libreria. Si vedevano Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino e questa scritta: “I terroni, pur di non lavorare, scrivono”. Suppongo sia sempre d'accordo con quanto disse allora (“... li ho presi in parola”), ma in realtà scrivere è davvero un lavoro, anche duro. Com'è l'officina nella quale lavora Nadia Terranova?

Nadia Terranova: Non comincio se non ho accumulato materiale fino a scoppiare. Nella mia testa, intendo. Per sei mesi, un anno, quell’idea che a un certo punto è arrivata all’improvviso continua a crescere e prendere forma, è la mia stanza tutta per me: parlo con la gente, scrivo gli articoli, presento i vecchi libri, ma lei è là. La incontro la sera, oppure mentre mi distraggo. A un certo punto non ne posso più, apro un file e lei sembra svanita. Eppure ero sicura fosse tutto pronto, invece niente, pagina bianca. Lascio perdere, penso ad altro, scrivo altro – prefazioni, pezzi per i giornali. Poco dopo torna: era uno scherzetto, non se n’era mai andata. Scrivo trenta pagine in segreto. E infine lo ammetto anche a me stessa: c’è un nuovo libro. Da allora sono tormenti. Ma che bello mentre comincia a formarsi, la storia, i personaggi, e ci finisce dentro sempre più di quello che pensavo. In questa fase non smetto mai di leggere ma soprattutto rileggo, anche mille volte le stesse cose. Chiedo aiuto ai libri che amo.

Tra i libri che ama ci saranno sicuramente quelli di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino. Un altro grande scrittore siciliano è Tomasi di Lampedusa, che esprime in un certo senso la quintessenza della “sicilitudine”. A quale dei tre si sente più vicino, dovesse definire una specifica valenza “insulare” degli scrittori siciliani?

Scelgo l’asciuttezza di Sciascia, la festosità della lingua di Bufalino, il senso della Storia di Lampedusa. Le mie idee politiche sono totalmente rappresentate da Sciascia, ma nei romanzi scelgo il pathos bufaliniano e aspiro a una totalità lampedusiana. Di tutti e tre, scelgo “la luce e il lutto”, il buio dietro l’apparente sole da cartolina della nostra isola. Mi sento profondamente impastata di letteratura siciliana, è tutta colpa loro, a partire da Verga e dal ciclo dei vinti, anzi: a partire dalla tragedia greca. E non vorrei tacere Consolo e la poesia di Lucio Piccolo.

Il tema, o per meglio dire l'intreccio dei temi del suo primo romanzo ("Gli anni al contrario") differisce da quello del secondo, "Addio fantasmi". A prima vista è l'intento dell'affresco storico a mancare, come se lo sfondo sul quale si svolgono gli accadimenti si fosse risolto in una più marcata sottolineatura del mondo interiore. È una trasformazione casuale o individua qui una svolta significativa della sua poetica?

Ogni storia nasce con la sua valigia. Gli anni al contrario aveva bisogno dello spirito di quel tempo, che permeava le scelte e la vita di Giovanni. In Addio fantasmi il ceto medio, impiegatizio e intellettuale, è raccontato in modo ugualmente politico, ma più sottile. Altrettanto la politica. Non credo si tratti di una svolta, ma della scelta di usare di volta in volta ciò che serve alla storia.

"Addio fantasmi" ha in esergo una citazione di Natalia Ginzburg che parla di una perenne condizione mediana, e in particolare di una medianità che si genera a contatto con l'ambiente familiare. Il libro evoca i fantasmi, quindi in un certo senso anche la figura del medium. Ma il fantasma – il revenant, come non a caso si dice in francese – è anche una figura del ritorno, stabilisce dunque connessioni profonde tra il passato e il futuro, lambendo i territori sommersi della psicanalisi. Perché ha ritenuto importante immergersi in tali profondità?

Nei racconti di Dafne du Maurier interagiscono le energie dei morti e quelle dei vivi. È una follia pensare a un mondo in cui conta solo chi c’è, siamo fatti di chi è passato su questa terra prima di noi e anche di chi ci ha lasciato troppo presto, le assenze e le presenze vivono insieme. Da bambina ho letto di nascosto L’interpretazione dei sogni di Freud e adoravo i miti greci, erano le mie fiabe. Ciò che sogniamo è più vero del vero.

La figura del padre assente, del padre scomparso (altra suggestione psicanalitica) in quale chiave simbolica deve essere letta, oltre a costituire il centro a partire dal quale si dipana la storia?

Massimo Recalcati dice che l’assenza è costitutiva della paternità e ha ragione. Uno dei testi fondanti della nostra cultura, l’Odissea, comincia con un figlio che vaga chiedendo notizie di un padre che l’ha amato, l’ha generato e poi l’ha abbandonato. E questo padre, che è figlio a sua volta, sta vagando anche lui, non si incontrano. Per tutta la vita siamo, e riscriviamo Ulisse e Telemaco.

Ho trovato bellissimo e significativo, per lo scioglimento del finale, il ritratto del giovane “greco” che confida la sua storia personale alla protagonista, come se cifrasse la diversità di atteggiamento che noi possiamo avere rapportandoci al nostro proprio vissuto, e dunque alla costruzione della nostra identità. Si tratta di una dicotomia o semplicemente di una sfumatura?

È una dicotomia, e anche i due destini diversi, di Nikos e di Ida, dovevano essere le due opposte risposte che si possono dare all’intollerabilità di un dolore. Anche io amo molto Nikos.

Tra le pagine si sente fortissimo la luce, il profumo, persino il gusto di Messina, la sua città. Lei si è spostata dalla Sicilia a Roma, fa parte quindi di quella cospicua umanità che migra alla ricerca di nuove e più fertili possibilità di vita. “L'emigrato – ha scritto Vito Teti – diventa un doppio, un sosia, un'ombra perduta delle persone rimaste e viceversa. Egli provoca grandi mutamenti e trasformazioni. Con dolore e speranza. Non si è questo o quello. Si è questo e quello. Non si resta o si fugge. Si resta e si fugge. Non si sta fermi o si viaggia. Si sta fermi e si viaggia”. Si riconosce in queste parole?

Sì, sì e poi ancora sì. È il senso del mio finale, e di quell’espressione, “dea bifronte”. Ma come l’ha detto bene, lui.