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La logica “social” del terrorismo

La deontologia giornalistica, il monitoraggio dei social network, le infiltrazioni terroristiche in Alto Adige. Pintarelli: "Inutile la pornografia della violenza".

Palliativo o misura efficace?

In seguito agli ultimi atti terroristici accaduti a Nizza e a Rouen alcuni organi di informazione francesi hanno fatto sapere che non pubblicheranno più le immagini di propaganda dello Stato islamico né le foto degli attentatori per evitare “glorificazioni postume”. Lo ha annunciato in un lungo editoriale dal titolo “Resistere alla strategia dell’odio” il direttore del quotidiano Le Monde Jérôme Fenoglio, seguito a ruota dall’emittente televisiva BFM-TV, dal quotidiano cattolico La Croix e da radio Europe 1. “La battaglia contro l’odio - scrive Fenoglio - non può essere considerata solo come una questione delle forze armate, dei servizi segreti o della politica. Questa riguarda tutte le componenti della società e in primo luogo chi costituisce il nostro panorama mediatico modificato dalla rivoluzione digitale. Senza una presa di coscienza delle industrie che controllano i social network, nuovi media di massa, sarà sempre di più difficile resistere agli effetti della strategia dell’odio. I suoi migliori alleati, voci e complottismo, sono messi oggi sullo stesso piano delle informazioni affidabili e verificate”.

Nel contempo il commissario Ue agli Affari interni Dimitris Avramopoulos, in un'intervista all'Ansa, parla degli sforzi messi in campo per contrastare il terrorismo e i reclutamenti del “Califfato”: “La frammentazione è ciò che ci rende vulnerabili e la verità è che lo sforzo europeo contro il terrorismo non sarà mai davvero efficace se gli Stati membri non sono pronti a cooperare tra loro”. Avramopoulos riferisce, inoltre, di aver incontrato i rappresentanti di Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft , simulacri della comunicazione contemporanea, sottolineando che “i social media non saranno sfruttati a fini terroristici. Stanno lavorando con noi per mettere fine all'incitamento a odio e violenza online”. L’avanzata chiassosa del fondamentalismo che si esibisce sul palcoscenico dorato della rete, con i social network a fare da megafono per il proselitismo capillare.

Secondo Flavio Pintarelli, blogger bolzanino, autore dell'ebook "Su Facebook" oltre che collaboratore di Motherboard e Prismo, è necessario “distinguere tra la scelta editoriale di uno o più quotidiani, che valutano o meno se pubblicare un'informazione e il lavoro di filtro che viene fatto dalle piattaforme. Nel primo caso siamo nel territorio della deontologia professionale”. Nel secondo caso, invece, spiega Pintarelli, la questione è più spinosa “perché le piattaforme non sono o non dovrebbero, almeno formalmente, essere delle realtà editoriali e quindi dovrebbero garantire una certa neutralità rispetto ai contenuti che vengono pubblicati dai loro utenti, eppure tali piattaforme prendono costantemente decisioni su cosa vediamo e cosa non vediamo, sia in modo automatico (attraverso gli algoritmi) sia agendo in modo diretto, come nel caso degli account di Daesh che vengono sospesi, dirottati, bloccati dalla piattaforma stessa”.

Quali sono le conseguenze di questo modus operandi? In primis, chiosa il blogger, “si rischia la censura, visto che si impedisce a chi ne ha diritto di accedere a un'infrastruttura di comunicazione supposta neutrale. Poi ci sono delle implicazioni geopolitiche, perché la domanda è a chi rispondono le piattaforme, che sono società private ma hanno legami fortissimi coi governi dei paesi nei quali operano”. Dinamiche come queste potrebbero dunque dar luogo, come già sta accadendo, alla “balcanizzazione della rete, ovvero alla creazione di infrastrutture e servizi di rete che rispondono a interessi nazionali e rappresentano una minaccia alla neutralità della rete che è uno dei presupposti tecnici e concettuali che più ha permesso lo sviluppo ‘positivo’ di internet”.
 

La fenomenologia del terrorismo e le infiltrazioni in Trentino Alto Adige

Una ricerca condotta dall’istituto Demoskopika sulle infiltrazioni terroristiche (“Italian Terrorism Infiltration Index 2015”) piazza il Trentino Alto Adige all’ottavo posto (con un indice di 1,7) in classifica dietro alla Lombardia, la regione più a rischio con un valore di 10, Lazio (6,5), Emilia Romagna (4,3), Piemonte (3,5), Veneto (2,7), Toscana e Campania (2,4). Resta sotto i livelli di guardia, dunque, il pericolo di attentati terroristici in Regione eppure l’infiltrazione potenziale risulta più alta rispetto al Friuli e alle regioni del centro sud, isole comprese. La vigilanza, di conseguenza, verrà verosimilmente potenziata. Non sono passati evidentemente inosservati il caso della cellula jihadista smantellata a Merano e l’attentato a Nizza, la cui pista avrebbe ramificazioni anche a Bolzano. “Il terrorismo come metodo serve per comunicare qualcosa - spiega Pintarelli - perciò il contrasto passa anche per una strategia comunicativa. Dubito però che restringere gli spazi di libertà d'espressione come sta accadendo oggi sia una soluzione adeguata al problema e allo stesso tempo penso che una forma di assunzione di responsabilità da parte dei media sia necessaria. Non credo sia sana questa pornografia della violenza per cui si mandano in prima serata, ad esempio, i video delle decapitazioni di Daesh. Non aggiungono nulla al fatto da raccontare, se non solleticare i nostri istinti più morbosi. E rispondermi che chiunque potrebbe vederli in rete - aggiunge l'intervistato - significa far finta di non sapere che sono relativamente in pochi gli utenti del web capaci di cercare e trovare quel tipo di contenuti”.

(c) Corriere della Sera

Resta da capire quanto sia effettivamente complicato il lavoro di monitoraggio dei social al fine di impedire potenziali attacchi dei gruppi terroristici. Internet, del resto, possiede anche strumenti meno accessibili e non sempre è facile intercettare canali di comunicazione più "complessi", senza contare che l’Is ha dato indicazioni di evitare i social media e usare la crittografia nelle comunicazioni per non farsi tracciare. “Ammesso e non concesso che i terroristi pianifichino i loro attacchi sui social - sottolinea Pintarelli - oggi esistono sia i modelli che gli strumenti per la previsione di eventi (crimini, rivolte, ecc,) in base all'analisi di dati qualitativi e quantitativi raccolti via social, in Italia ad esempio sono in dotazione alla Polizia di Napoli”. Esistono poi i cosiddetti metodi di Signal Intelligence che prevedono “la pianificazione e l'esecuzione di operazioni di intelligence in base alla raccolta dei soli segnali digitali lasciati da potenziali terroristi. Una tecnica - conclude lo scrittore - che ha lacune piuttosto grandi, come dimostrano i Drone Papers, ma che viene usata in modo abbastanza massiccio. Nel post Snowden dovrebbe essere abbastanza chiaro che il potere di controllo della 'democrazie' occidentali è enorme e quindi, per quanto i terroristi possano disporre di strumenti digitali all'avanguardia per la crittografia delle loro comunicazioni, è probabile che siano sempre un passo indietro rispetto a chi dice di combatterli”.

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Marco Pagot Fr., 29.07.2016 - 10:11

Bravo Pintarelli e brava Sarah a non sconfinare. Perché l'altra faccia "social" del terrorismo é quella fatta di xenofobia e razzismo. Che quando va bene portano solo all'isteria, quando va male alla violenza.
Incollo invece, a beneficio di tutti, l'analisi di un compagno a proposito della ricerca incollata anche qui. Sempre per la serie "il giornalismo ed il terrorismo":
«Come si crea il panico con una notizia?
La lezione di oggi ce la offre il cosiddetto "Italian Terrorism Infiltration Index", ovvero il risultato di una ricerca dell'istituto Demoskopika rimbalzato da/su qualsiasi quotidiano italiano.
L'Alto Adige, come era facilmente prevedibile, si affretta subito a dire che la situazione in provincia "preoccupa" ma nessuno dei pennivendoli si sofferma sul COME è stata fatta la ricerca... e allora facciamolo noi.

Sono tre gli indicatori utilizzati:
- le intercettazioni autorizzate;
- gli attentati avvenuti in territorio italiano;
- gli stranieri residenti in Italia provenienti dai Paesi nella 'top five' del terrore dall'Institute for Economics and Peace (Iep) nello studio 'Global Terrorism Index 2014', cioè Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria.

Il primo dato indica le indagini, non le eventuali condanne o gli eventuali riscontri effettivi. E' come se si considerasse il totale dei reati in base al numero totale di persone fermate e identificate in un anno...
Per "attentati di matrice terroristica" si intendono anche quelli di stampo mafioso (ovvero il 90%).
Tralasciamo il terzo indicatore, perché è talmente idiota che non voglio nemmeno perdere tempo per smontarlo, aveva più senso contare quelli con i capelli rossi... Che senso ha esaminare quelli provenienti da 5 stati "cattivi" nel 2014? Se un nigeriano è venuto qui nel 2000 era buono ma nel 14 è diventato cattivo perché nel suo paese è scoppiato il bordello?

Infine: guardando l'immagine cosa si capisce (e cosa si vuol far capire)?
Che nel 2015 ci sono state 7000 e rotti intercettazioni e 96 attentati che hanno causato 179 morti.

Ma leggendo bene scopriamo che i dati delle intercettazioni non sono riferiti al 2015 bensì al periodo 2005-2013, quelli degli attentati dal 2000 al 2015 e le vittime, tenetevi forte, non sono persone morte in italia ma che "hanno perso la vita perché coinvolte in attacchi compiuti in dodici paesi: Usa, Afghanistan, Indonesia, Arabia Saudita, Iraq, Egitto, Inghilterra, Israele, India, Nigeria, Pakistan e Marocco".

Ecco fatto.
Riassumendo: prendete dei dati non particolarmente preoccupanti (1 morto al mese statisticamente è una boiata), serviteli in ambiente fumoso, fate i vaghi sul metodo di raccolta dei dati stessi e servite la notizia in pasto all'ansa.
Il panico è assicurato, l'opinione pubblica indirizzata.»

Fr., 29.07.2016 - 10:11 Permalink