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Politik | Avvenne domani

A che titolo?

Vecchie e nuove formulette per esorcizzare un'alleanza politica.

Da che mondo è mondo le giunte provinciali in Alto Adige hanno i tempi di maturazione di certi tipi di agrumi. Se non finiscono direttamente sotto l'albero di Natale, vedono la luce qualche giorno dopo l'Epifania. Con le elezioni fissate invariabilmente tra la fine d'ottobre il mese di novembre, ci vogliono perlomeno quattro o cinque settimane per distillare, dall'esito del voto, quel tanto di scelte politiche che servono a mettere assieme un governo capace di reggere durante i cinque anni successivi. Ingeneroso e improprio il confronto, che taluni fanno, anche in questi giorni, con la vicina Trento dove la giunta è già bell'e confezionata e si appresta ad iniziare il suo lavoro. Laggiù vige, anche se troppi se lo dimenticano, un diverso sistema elettorale, basato sull'elezione diretta del Presidente, che, a seconda del livello dei consensi ottenuti dalla sua coalizione, si porta a casa un premio di maggioranza che gli consente di non dover aprire trattative. L'unica fatica, affrontata anche dal leghista Fugatti, è stata dunque quella di distribuire i posti da assessore tra i partiti della coalizione.

In Alto Adige, visto che così vuole lo Statuto per garanzia della rappresentanza etnica, si vota invece col vecchio sistema proporzionale. I partiti procedono ognuno per conto suo e la maggioranza va combinata all'indomani del voto. E alla luce di questa realtà che vanno lette le manovre di acrobazia dialettica con le quali, in questi giorni, ci si prepara al varo del nuovo governo provinciale. A Bolzano avviene esattamente quello che è avvenuto per tutte le giunte provinciali dal 1948 in poi. Dei partiti che si sono presentati agli elettori con programmi a volte anche pesantemente divergenti, provano adesso a comporre un'intesa che consenta di governare assieme.

È più la propaganda che la sostanza, dunque, ad aver indotto le varie parti politiche ad escogitare, nel corso del tempo, delle formulette tese a mascherare in qualche modo la cruda realtà delle cose. Proviamo a ricordarne alcune.

Partecipazione a titolo etnico. Siamo quasi all'archeologia politica. L'idea nacque nei partiti di maggioranza di lingua italiana negli anni 70, in una fase particolarmente cruda del confronto politico, con il gruppo italiano, in incipiente rivolta per gli effetti dell'applicazione degli istituti più contestati della nuova autonomia: proporzionale e bilinguismo soprattutto. Gli assessori di lingua italiana entrarono così a far parte del governo provinciale guidato da Silvius  Magnago senza firmare il patto di coalizione con la SVP. Rispetto alla prassi consolidata cambiava ben poco. Le attribuzione di competenze restavano quelle consuete e si procedeva anche a scelte politiche di fondo. La cosa poi rientrò rapidamente anche perché ci si rese conto che l'escamotage aveva avuto ben poca presa sull'elettorato. Da allora l'ipotesi è stata evocata più volte ma mai presa seriamente in considerazione. Essa, va ricordato, prende comunque le mosse dal dettato dell'articolo 50 dello Statuto che impone, all'interno della giunta provinciale, una rappresentanza etnica proporzionale alla consistenza dei gruppi linguistici in consiglio. L'indicazione si completa con l'obbligo di assicurare la presenza di un assessore ladino e con quello, più recente, che impone una rappresentanza di genere, anch'essa proporzionale alla consistenza della presenza femminile nell'assemblea provinciale. Se si tiene conto, infine, che la legge provinciale 19 settembre 2017 ha previsto anche che gli assessori non possono essere meno di otto e più di dieci, si vede come la strada per formare un nuovo governo provinciale diventi una sorta di percorso ad ostacoli, nel quale quello che dovrebbe essere il problema principale, il raggiungimento di un'intesa politica, finisce per essere l'ultimo punto all'ordine del giorno. Ci si allea con questo o quel partito non tanto e non solo in funzione di ciò che esso propone, ma perché ha tra i suoi rappresentanti in consiglio anche il giusto mix di dichiarazioni linguistiche e di rappresentanza di genere.

Accordo tecnico: questa, invece, è una "new entry" del panorama politico altoatesino ma in realtà, a ben guardare, si tratta solamente di una filiazione locale del famoso "contratto" in base al quale è stato formato il governo giallo-verde a Roma. Si vuole, in un caso nell'altro, a rimarcare la mancanza assoluta di una vera e propria alleanza politica, sostituita da una sorta di intesa su una serie specifica di punti che ci si impegna ad attuare. In realtà questi contratti o accordi tecnici non sono altro che una versione abilmente mascherata per esigenze di propaganda delle vecchie intese tra partiti che hanno dominato la scena durante tutta la famigerata prima repubblica. Quando si vota con il proporzionale, infatti, ogni forza politica si presenta con un suo programma, con le sue idee, con i suoi valori. All'indomani del voto, qualora nessuno abbia la maggioranza assoluta, occorre sedersi attorno a un tavolo e cercare la formula per formare un governo, nazionale o locale che sia, in grado di ottenere la maggioranza e di poter operare. È assolutamente chiaro che in questa fase ciascuno dei contraenti deve rinunciare ad alcune delle proprie posizioni oppure accettare, obtorto collo, quelle dei partner. Il fatto che poi l'intesa raggiunta venga esplicitata in un chilometrico documento che spazia su tutto lo scibile umano oppure in un paio di frasette che illuminano solo alcuni specifici problemi non cambia assolutamente nulla. Si tratta di un compromesso politico tra forze diverse. Alleanza di governo era e alleanza di governo resta, come avviene dalla notte dei tempi. Il fatto di inserire nel programma solo alcune questioni può servire, ammesso che qualcuno ci creda, a smentire l'esistenza di un vero rapporto di colleganza politica tra due partiti, ma non cambia la realtà delle cose.

Così a Roma, così, forse, a Bolzano. Ci sarà una giunta provinciale che, collegialmente come prevede lo Statuto, governerà globalmente tutto l'Alto Adige. Alcune questioni saranno risolte in base ai patti firmati e molte altre saranno decise di volta in volta. La SVP potrà far valere la sua netta maggioranza in giunta, ma dovrà pur sempre fare i conti poi con la necessità di trovare i voti sufficienti per fare passare le leggi in consiglio. Per le questioni squisitamente etniche hanno offerto il loro non disinteressato sostegno i due partiti della destra sudtirolese, ma su tutto il resto la quadra dovrà essere trovata principalmente tra gli alleati di giunta. Riesce difficile, francamente, capire cosa cambi rispetto al passato.

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Karl Gudauner So., 18.11.2018 - 00:19

I programmi elettorali sono da una parte espressione dei valori portanti dei partiti ed una sintesi degli ambiti politici, dove intendono intervenire. Non sempre sono indicati anche gli interventi concreti con cui affrontare problemi e sfide. Più una questione è controversa e complicata, meno troverà spazio nel libro delle promesse. Dall'altra i programmi elettorali servono per vincere le elezioni. Bisogna, quindi, presentarsi come esperti nel management dell'interesse generale e confezionare messaggi appropriati per i diversi target dell'elettorato. Questo i politici navigati lo sanno ed i consulenti di marketing li aiutano a redarre un testo stringato in cui mettere a fuoco ciò che si ritiene possa servire nel contesto specifico della tornata elettorale.

È stupefacente che il dibattito dell'opinione pubblica si concentri tutto sui programmi dei partiti, sul famoso "contratto" o accordo di coalizione tra i partiti del governo. L'incarico che scaturisce dal successo elettorale non è quello di realizzare quello che loro hanno scritto nei programmi elettorali o quello che loro e solo loro, sulla base di trattative segrete nel camerino ritengono prioritario. Il loro compito è quello di lavorare per il bene pubblico, affrontando con serietà, competenza e lungimiranza tutto il ventaglio di problemi che si presenta. Per questo dovranno valutare le priorità, trovare percorsi strutturali coerenti e scendere a compromessi a prescindere dalle loro aspettative e dai loro cavalli di battaglia.

In questo momento manca in modo palese e plateale la voce della società e della collettività nelle sue sfaccettature che rivendichi la propria visione su come garantire sviluppo, benesssere ed equità. I media sono focalizzati soltanto sul confronto politico. Pare che avessero dimenticato completamente la società civile e le sue legittime pretese. La programmazione politica, almeno secondo me che sono un convinto sostenitore del dialogo sociale e della democrazia partecipativa, andrebbe sviluppata dalla coalizione di governo assieme agli stakeholder sociali, dalle associazioni datoriali ai sindacati ed alle associazioni sociali e culturali. E questa programmazione politica dovrebbe essere una scelta strategica con ricorrenti momenti di confronto che possano dare un indirizzo politico (in termini di valori, di strategie ed interventi) all'attività legislativa a prescindere dalle tornate elettorali. In questo modo la società civile ha più possibilità di determinare il corso delle politiche e di evitare continui ribaltoni nelle strategie di sviluppo del paese. E grazie ad un legame più stretto tra programmazione ed azione di governo riesce a gestire i tentativi di eterno rinvio delle decisioni scomode e di insabbiamento burocratico di riforme ottime sulla carta nonché a contrastare gli impulsi di fantapolitica controproducente. Cioè ciò che avviene spesso, lasciando mano libera ai partiti su tutto. Anche a livello locale c'è da augurarsi che il nuovo governo continui sulla strada del dialogo, già imboccata nella legislatura precedente. Per addivenire ad una programmazione condivisa con la società civile bisogna rendere il dialogo strutturale e fondarlo su una maggiore attenzione all'equità ed alla coesione sociale.

So., 18.11.2018 - 00:19 Permalink
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Massimo Mollica Mo., 19.11.2018 - 08:33

Mi piace tantissimo la riflessione del Sig. Gudauner! Anche se mi permetto di esprimere qualche appunto.
Credo che il problema maggiore sia una mancanza di visione (dei partiti in generale). Visione che dovrebbe generare un programma politico. In realtà, fatte le debite eccezioni, la visione manca e il programma è mero marketing! 80€ o reddito di cittadinanza, ma anche flat tax o aboliamo la fornero sono solo slogan propagandistici! Non vi è alcuna visione! E mancando essa ci si può alleare con chichessia. Stipuli un programma e puoi farlo con Lega, Verdi, Casapaound etc. Se poi manca pure la serietà allora la cosa è maggiormente grave.
Quello però che mi lascia perplesso è la fiducia riposta dalla cosiddetta società civile! Non vi è dubbio che questa debba essere interessata e ascoltata ma non riesco proprio a capire il senso della frase "della società e della collettività nelle sue sfaccettature che rivendichi la propria visione su come garantire sviluppo". Credo che il "marcio" presente nella politica sia solo la rappresentanza del male presente appunto nella società! Credo anche che vi sia bisogno di competenza e di persone che facciano il bene della colletività e non d'interessi personali. Quindi massimo ascolto a tutti, in primis i più deboli, ma poi sintesi di chi governa.

Mo., 19.11.2018 - 08:33 Permalink
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Karl Gudauner Mo., 19.11.2018 - 10:20

Antwort auf von Massimo Mollica

Mi riferivo ai cosiddetti corpi intermedi, cioè le parti sociali, ma anche altre associazioni e forme di aggregazione di interessi della cittadinanza, la cui importanza è stata sottolineata tra gli altri dal politologo Paolo Feltrin. Per quanto siano deboli e bisognosi di riforme i sindacati, sono comunque loro che, grazie alla loro tradizione radicata nei valori dell'equità sociale e della lotta per il rispetto della dignità del lavoro e dei lavoratori nonché grazie alla loro presenza capillare sul territorio sono in grado di rispecchiare gli interessi di lavoratori e gruppi socialmente deboli. Ci sono, poi, associazioni del mondo sociale e della solidarietà ed altre più nuove espressioni della società civile, in primis quelle impegnate sulle questioni ambientali e nella tutela dei consumatori, ma anche le iniziative attente all'evolversi della partecipazione, il cui contributo andrebbe valorizzato dai media ed in generale nella costruzione della società del futuro. Forme troppo rigide di concertazione possono bloccare i meccanismi della legislazione e vanificare riforme necessarie. Ma un dialogo strutturato tra governo, parlamento e cittadinanza è indispensabile: garantisce il flusso di informazioni su bisogni, visioni e soluzioni e modula il processo delle decisioni tenendo conto di interessi forti ed interessi deboli.

Mo., 19.11.2018 - 10:20 Permalink
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Massimo Mollica Mo., 19.11.2018 - 11:09

Antwort auf von Karl Gudauner

Sottoscrivo in pieno! Tanto che alle ultime elezioni sono stati i sindacati a porre i veri quesiti a cui i politici avrebbero dovuto rispondere, ma non lo hanno fatto per limitate capacità! E perché invece ha prevalso altro, e per altro intendo tanti slogan e un vuoto di idee? Perché purtroppo anche i sindacati, come tante realtà della società civile , sono "deboli e bisognosi di riforme". Il muro di Berlino è caduto da un pezzo e noi abbiamo ancora 3 (+ 1 in Südtirol) sigle sindacali che non si capisce perché esistano! Il bisogno dei lavoratori è apolitico e apartitico! Ci dovrebbe essere un solo soggetto, nel nostro caso bilingue, a rappresentare tutti in tutti i settori. Magari concorrendo al profitto dell'azienda, come avviene a volte in Germania. E invece? Invece viviamo di rendita anche qui! E' un sindacato che non mi rappresenta! E va riformato, più democratico, più forte, unico. Per il bene di tutta la società!

Mo., 19.11.2018 - 11:09 Permalink