Society | Palestina

Gli occhi sulla Cisgiordania

La testimonianza di F., attivista dell’International Solidarity Movement, accende i riflettori sulla situazione delle comunità palestinesi nei Territori occupati, che da anni resistono contro i soprusi e le violenze dei coloni e dell’esercito israeliano.
Cisgiordania
Foto: wikimedia
  • L’International Solidarity Movement (ISM) è una rete di attivisti internazionali fondata nel 2001 con l’obiettivo di sostenere con mezzi nonviolenti la resistenza civile palestinese nei Territori palestinesi occupati. La sua azione si basa sulla presenza diretta e sulla testimonianza internazionale come forme di protezione e pressione politica. I volontari dell’ISM operano al servizio delle comunità locali per documentare le violazioni dei diritti umani ed episodi di violenza da parte di coloni e forze militari israeliane, accompagnare contadini e studenti nei percorsi quotidiani verso i campi e le scuole, monitorare demolizioni, arresti e incursioni. F., attivista altoatesina, è una delle centinaia di persone provenienti da tutto il mondo che negli anni hanno scelto di impegnarsi in questo contesto. Rientrata da qualche mese dalla Cisgiordania, racconta a SALTO la sua esperienza. 

    SALTO: Come hai maturato la decisione di partire con l’International Solidarity Movement e cosa ti ha spinto a tornare a più riprese in Cisgiordania?

    F.: Già tra i banchi di scuola ero motivata a capire meglio la questione israelo-palestinese, che nei libri di testo mi sembrava spiegata in modo molto superficiale. Sono stati poi gli articoli di Vittorio Arrigoni, un compagno dell’International Solidarity Movement – ucciso a Gaza nel 2011 – a permettermi di comprendere la reale situazione in Palestina. Inizialmente avevo paura di partire, ma poi nel 2018 la spinta per passare all’azione e fare qualcosa in cui credo fortemente ha avuto la meglio. Così ho scritto una email all’ISM, che mi ha messo in contatto con dei compagni della rete italiana. Dopo una fase preparatoria, mi sono quindi unita alla resistenza popolare nonviolenta in Palestina. Quella del 2018 è stata la mia prima esperienza e negli anni sono tornata più volte.  Quando vedi con i tuoi occhi quello che accade in Cisgiordania, non li puoi più chiudere. 

     

    Rachel Corrie, Tom Hurndall e Aysenur Eygi sono gli altri attivisti dell’ISM uccisi dall’esercito israeliano dal 2003.

     

    In cosa consiste la fase di preparazione che precede il lavoro sul campo?

    La fase di preparazione serve innanzitutto a conoscere a fondo il contesto in cui si andrà a operare, così da poter fare una scelta consapevole e comprendere i rischi a cui si può andare incontro. Viene quindi spiegato come riconoscere le varie armi che i soldati israeliani possono utilizzare e come reagire in modo sicuro a lacrimogeni o granate stordenti. SI affrontano, inoltre, anche aspetti culturali per evitare di offendere le comunità locali, in particolare nei villaggi beduini più tradizionalisti. Infine, vengono fornite indicazioni su come muoversi sul territorio, documentare in modo efficace quanto accade e salvare i dati raccolti in maniera sicura, per non mettere nessuno in una situazione di pericolo. 

    Quali attività hai svolto durante la tua permanenza in Cisgiordania?

    Noi attivisti internazionali lavoriamo sotto guida delle comunità palestinesi. Abbiamo delle basi nelle città principali della Cisgiordania e ci spostiamo a seconda di dove viene richiesto il nostro supporto. Tra le altre cose, ci dedichiamo alla “presenza protettiva”, che si traduce in un’interposizione pacifica tra i coloni e i soldati che attaccano i palestinesi. Per via del passaporto occidentale, la presenza degli internazionali dovrebbe fungere da deterrente contro la costante violenza dei soldati israeliani e dei coloni, ma non sempre le cose vanno così, anzi. Un’altra attività a cui ci dedichiamo è la cosiddetta “school run”, che consiste nell’accompagnare i bambini palestinesi lungo il tragitto da casa a scuola e viceversa. È un’azione necessaria, perché i bambini palestinesi vengono costantemente aggrediti e molestati dai coloni. Durante la stagione di raccolta delle olive, inoltre, accompagniamo gli agricoltori nei loro campi, per esempio nel villaggio di Kufr Qaddum. Gran parte dell’economia palestinese di queste aree si basa su questa attività, ma il sostentamento delle comunità è costantemente messo in pericolo dai raid dei coloni e dell’esercito. I primi rubano le olive, danno fuoco agli uliveti e picchiano i contadini, i secondi rincarano la dose bendandoli e arrestandoli. 

  • L'insediamento israeliano di Neve Daniel nel 2016. Foto: wikimedia
  • Stare sul campo vi dà quindi anche la possibilità di testimoniare le violenze dei coloni e dell’esercito. 

    Esatto ed è nostro compito restituire la realtà nella maniera più chiara possibile. Per questo documentiamo tutto ciò che accade. Tra i volontari di ISM ci sono anche giornalisti e fotoreporter e insieme cerchiamo di bucare la cortina di silenzio che da sempre avvolge la Palestina – la Striscia di Gaza e, in misura ancora maggiore, la Cisgiordania – e il destino del popolo palestinese. 

    Hai menzionato la complicità dell’esercito israeliano. Qual è il suo ruolo in questo scenario?

    Formalmente il ruolo dell’esercito è difendere i coloni. Di fatto, però, i soldati israeliani agiscono in insieme a loro, contribuendo alle violenze, picchiando e arrestando arbitrariamente i palestinesi. Riassumendo in una frase, si può affermare che l’esercito è al servizio dei coloni e al totale disservizio delle comunità palestinesi. 

    Rispetto alla tua prima esperienza, com’è cambiata la situazione in Cisgiordania dopo il 7 ottobre 2023?

    I fatti di cui sono stata testimone nel 2018 o nel 2022 non si discostano molto dalla situazione attuale. Il piano genocidiario dello Stato di Israele allora era già iniziato. Va detto, tuttavia, che da ottobre 2023 in Cisgiordania si assiste a un’ulteriore escalation di violenze nei confronti della popolazione palestinese. Ed è una violenza che resta sempre più impunita. In questi due anni si sono moltiplicati esponenzialmente i casi di palestinesi uccisi. Un’ulteriore novità è la figura dei coloni-soldato, ovvero coloni a cui è consentito indossare la divisa e che vengono dotati anche di fucili d’assalto M-16. Inoltre, la geografia del territorio muta continuamente: da un lato con l’installazione di nuovi checkpoint e l’introduzione dei “checkpoint volanti” – posti di blocco improvvisati e mobili istituiti dalle forze israeliane senza preavviso –, dall’altro con l’interdizione ai palestinesi di determinate strade. È il caso, per esempio, della strada che collega il villaggio di Kufr Qaddum con Nablus, ora a uso esclusivo dei coloni. La libertà di circolazione della popolazione palestinese, già molto precaria, viene così ulteriormente compromessa. Poi vorrei citare anche la situazione di Tulkarem e Nur Shams, dove sorgono due campi profughi costantemente bombardati dopo il 7 ottobre 2023.

     

    Da ottobre 2023, oltre 1.000 palestinesi sono stati uccisi e almeno 3.400 sono stati sfollati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est dai coloni e dai soldati israeliani. (fonte: Al Jazeera)

     

    Puoi raccontare alcune delle violenze di cui sei stata diretta testimone?

    La violenza accompagna come un’ombra la vita quotidiana delle comunità palestinesi in Cisgiordania. È normale pascolare le pecore e vedere i coloni, armati di pistole e bastoni, uccidere gli animali e picchiare i pastori. Oppure il venerdì, giorno di preghiera, quando le comunità palestinesi organizzano le marce di protesta e l’esercito spara ad altezza uomo, lasciando a terra vittime. Anche i lacrimogeni possono avere un effetto letale se lanciati – come capita spesso – in uno spazio chiuso contro bambini e persone che soffrono di una patologia medica. Per l’esercito e i coloni, poi, è prassi bloccare l’accesso ai villaggi delle ambulanze della Mezzaluna Rossa, impedendo di fatto il soccorso dei feriti, che in molti casi muoiono dissanguati. Queste brutalità sono all’ordine del giorno. 

    Ricordi invece un episodio particolare in cui la vostra azione ha avuto un esito positivo?

    Sicuramente l’azione di resistenza a difesa della “scuola di gomme” di Khan al-Ahmar, nel cuore dell’Area C della Cisgiordania (vedi infobox), rientra tra questi. Per evitarne la demolizione ci siamo incatenati l’uno all’altra di fronte al bulldozer pronto a entrare in azione. In quell’occasione la nostra interposizione nonviolenta ha avuto la meglio e le autorità israeliane sono state costrette a rinunciare. Conservo il ricordo dei festeggiamenti di quella sera insieme alla comunità palestinese come uno dei momenti più belli della mia vita. In generale, in questo contesto di morte e distruzione posso dire di aver visto con i miei occhi anche il lato migliore dell’umanità. Le persone accanto a me nella linea del fuoco e, ancora di più i palestinesi, mi hanno insegnato tanto. La calma, la superiorità morale e la forza che consentono loro di affrontare a testa alta i soprusi e le violenze è l’essenza stessa della resistenza. E, infine, in Cisgiordania ho percepito la chiara sensazione di trovarmi nel posto giusto a fare la cosa giusta, allineando le mie azioni ai miei ideali. 

  • Torrette di sorveglianza israeliane e muro al checkpoint del campo profughi palestinese di Qalandia, nella Cisgiordania occupata, 2014. Foto: wikimedia
  • A tuo avviso quali forme può assumere la solidarietà internazionale per contribuire in maniera efficace al sostegno del popolo palestinese? 

    Sono convinta che il boicottaggio sia l'arma non violenta più potente che abbiamo a disposizione. Il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) nel corso degli anni ha già vinto molte battaglie. Questo strumento funziona perché colpisce gli interessi economici e politici alla base della macchina di guerra perenne di Israele. Oggi i cittadini possono utilizzare diverse app, come Boycat, che permettono di scansionare il codice a barre di un prodotto e verificare se il marchio o l’azienda sono collegati ad attività legate all’occupazione della Palestina. In alternativa si può operare un boicottaggio mirato seguendo le campagne promosse dal BDS. Inoltre, è possibile agire attraverso il mail bombing contro le aziende complici o manifestare davanti alle loro sedi. E poi tutti noi abbiamo naturalmente la possibilità di continuare a parlare delle Palestina, partecipando agli incontri pubblici e alle manifestazioni, così da mantenere alta l'attenzione sul genocidio. 

     

    *il nome dell’intervistata è stato anonimizzato a tutela della sua privacy e sicurezza.

  • La Cisgiordania, territorio occupato da Israele dal 1967, è oggi frammentata in una divisione amministrativa definita dagli Accordi di Oslo del 1993:

    • Area A: sotto controllo civile e di sicurezza palestinese (circa il 18% del territorio);
    • Area B: a controllo civile palestinese, sicurezza sotto controllo israeliano (22%);
    • Area C: sotto pieno controllo israeliano. Qui si concentrano colonie israeliane, strade riservate ai coloni, basi militari e zone interamente interdette ai palestinesi (circa il 60% del territorio).

    Negli ultimi anni, la crescita delle colonie israeliane e la restrizione della libertà di movimento hanno ulteriormente frammentato la Cisgiordania, rendendo sempre più difficile la vita quotidiana dei palestinesi. Attualmente in questo territorio vivono poco più di due milioni di palestinesi e circa 750mila coloni israeliani. Secondo il Diritto Internazionale, tutte le colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sono illegali indipendentemente dall’area in cui si trovano.