Politik | Casapound

"Non siamo qui a chiedervi il voto"

All'urne siam fascisti! Ma in piazza Matteotti, pavesata di tricolori e testuggini, solo gli aficionados sostengono il movimento “non conforme”.

Quasi una festa di famiglia

Comparata alla piazza riempita da Matteo Salvini un anno fa, quando ancora andava di moda l'alleanza tra gli ex secessionisti padani e gli ultranazionalisti di “Sovranità”, la prima impressione è un po' desolante. Alle sei e mezzo, ora prevista per l'inizio del comizio conclusivo di Casapound, i (pochi) partecipanti sono quasi tutti sotto il Bar Romagnolo, bevono birra e si scambiano baci volitivi e maschi. Il clima è quello di un compleanno all'aperto, quasi una festa di famiglia, mentre il festeggiato sta un po' sulle sue, col bicchiere in mano, e chiede ai quattro soliti amici quanta gente verrà. Andrea Bonazza non batte la fiacca e solca lo spazio mostrando la sua collezione di tatuaggi. A un certo punto mi passa vicino, mi rovescia un po' d'acqua addosso, poi finge sbadataggine e cortesia oxoniense: “scusi”. Io intanto controllo con apprensione la suoneria del mio cellulare, anche se “Ceremony” dei New Order non dovrebbe risultare particolarmente provocatoria. L'ospite d'onore, Simone Di Stefano, vice presidente del movimento e candidato sindaco dell'VRBE, resta acquattato tra i fedelissimi. Ancora occhiate perplesse alla piazza, quando è palese che più dei centocinquanta presenti non si sarebbe potuto sperare, i tre protagonisti principali (oltre a Bonazza e Di Stefano, adesso c'è anche Maurizio Puglisi Ghizzi) guadagnano il piccolo palco tappezzato di manifesti (casapound-casapound-casapound...) che evocano un mantra: “tu sai cosa fare-tu sai cosa fare-tu sai cosa fare...”. Sono quasi le sette, si comincia.

Per un nuovo senso civico

Il primo ad arringare la (scarsa) folla è Bonazza. Rivendica subito il diritto a stare in un luogo dedicato all'antifascista Matteotti (“questa è casa mia, non ho bisogno di chiedere il permesso a nessuno”) e spara bordate contro “alcuni giornalisti, presenti anche in questa piazza, che dovrebbero invece essere cacciati a calci”. Poi comincia a spostare il suo obiettivo e indica il palazzo (definito “di merda”) dell'IPES, proprio lì a due passi: “In quel posto vengono commesse ingiustizie che noi siamo gli unici, con l'appoggio del popolo, a denunciare”. Lo schema di pensiero non è corrotto da troppe sfumature. Da una parte ci sono le istituzioni (tutte marce, tutte corrotte, tutte prostituite dai soliti partiti), dall'altra il popolo, le cui istanze possono essere interpretate solo da chi ne comprende le esigenze perché viene dal popolo, vale a dire Casapound. Qualsiasi altra mediazione è fatta letteralmente a pezzi o irrisa. “Noi non abbiamo bisogno di scendere in strada perché siamo sempre in strada. Non andiamo a fotografare le siringhe per farci belli su Facebook quando ci sono le elezioni. Noi le siringhe le togliamo ogni giorno e invitiamo tutti a farlo. Il nostro è puro e semplice senso civico e io quasi mi vergogno a chiedervi il voto”.

Non votateci, anzi votatemi

Chi invece il voto lo chiede, o almeno si vergogna un po' meno a chiederlo, è il candidato sindaco, Puglisi Ghizzi, al microfono dopo Bonazza. “Il candidato sindaco della sinistra – esordisce – ha guadagnato 300mila euro all'anno dal 2001 facendo il city-manager, non ha combinato nulla e ora vorrebbe pure che lo si votasse per cambiare Bolzano?”. La sua requisitoria tocca note prevedibili (“vogliamo una politica che sappia decidere, non un agglomerato di politici che difendono la poltrona”), eppure ha anche sprazzi di inattesa ragionevolezza (“non vogliamo una città assediata da poliziotti, telecamere o persino l'esercito: dobbiamo ridare fiducia ai cittadini”). Le contraddizioni vengono poi al pettine quando si parla dei profughi, ai quali non deve essere negata dignità chiudendo però ogni centro di accoglienza (fosse un invito suonerebbe così: “venite pure, ma restate dove siete”), soprattutto se posto in periferia (“i nostri rioni sono ormai ridotti a deserti...”). Non manca l'accenno polemico all'IPES – già in precedenza demolito da Bonazza –, il rimprovero ai giornali (“che non raccontano nulla su quanto è diventata insicura Bolzano”) e in chiusura l'appello al voto: “Vogliamo entrare in Consiglio comunale per difendere la nostra gente”.

Prima gli italiani

Per spiegare a lettere di scatola chi sia la “nostra gente” ci pensa infine Di Stefano (uno dei pochi, qui nella piazza proletaria, a indossare giacca e cravatta): “In cima ci devono stare gli interessi degli italiani!”. L'ospite venuto da Roma illustra, con accento romano, perché Casapound continua a crescere, mentre tutti i partiti tradizionali subiscono un salasso di consensi, deperendo “come piante secche”. “Ogni settimana noi apriamo una nuova sede perché siamo gli unici ad avere il coraggio di aver rimesso al centro della politica gli interessi degli italiani. In Italia c'è una disoccupazione giovanile al 50% e quindi non possiamo offrire nulla a chi viene. L'accoglienza è solo una truffa. Quelli che arrivano non scappano da posti in cui c'è la guerra, ma vogliono solo sfruttare il nostro sistema sociale, un sistema tenuto in piedi ad esclusivo vantaggio delle associazioni di sinistra, delle cooperative e di chi ha deciso di destinare i nostri soldi a chi non li merita. Nessuno vi dice che i 34 euro al giorno distribuiti ad ogni falso profugo non servono per salvare la vita ai bambini, come quello fotografato morto sulla spiaggia, ma servono per mantenere nel centro di accoglienza un senegalese alto due metri che poi vive spacciando droga”. Non ci vengano a dire che siamo razzisti e xenofobi – ammonisce Di Stefano –, il nostro è solo “buon senso”. Chiudere i confini, barricarsi all'interno della nazione, mobilitare i cittadini dei quartieri più svantaggiati contro chi è più svantaggiato di loro (avendo il non insignificante torto di non essere “italiano”), in effetti non è difficile spiegare “il successo di Casapound”. Se poi qualcuno crederà davvero alla favola del movimento fatto da gente che afferma di presentarsi alle elezioni “non chiedendo voti”, essendo comunque disposti a prenderli al pari di tutti quelli che invece li chiedono apertamente, è un altro discorso. Il 9 maggio sapremo se Bolzano avrà di nuovo un fascista del terzo millennio seduto tra i banchi del Consiglio comunale.

https://youtu.be/VMrBmm1xvso