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Dietro la curva di un verso

A Bolzano per presentare la sua ultima raccolta di versi, il poeta Valerio Magrelli ha ripercorso a volo d'uccello le tappe salienti del suo percorso creativo. Incantando i presenti.

L'incontro del quale riferiamo si è tenuto ieri (11 giugno) alla Biblioteca Civica, dove - grazie all'attenta moderazione di Giovanni Accardo – il poeta romano Valerio Magrelli ha illustrato il divenire della propria opera, adesso provvisoriamente culminata con la pubblicazione della raccolta “Il sangue amaro” (Einaudi 2014).

La poesia di Magrelli non si può ridurre ad una formula che ne condensi significato e sviluppo in poche parole. Già la peregrinazione tra stili e registri diversi -lui stesso si definisce un poligrafo - e le profonde differenze tra i suoi libri (senza contare gli scarti veri e propri verso generi letterari differenti, dal racconto al saggio critico, dal pamphlet all'editoriale), scoraggiano l'eventuale impresa. Impresa che del resto sarebbe resa superflua anche dall'andamento della discussione, caratterizzata più da variazioni ed incisi, che dall'ostinata ricerca di un unico obiettivo. Magrelli è un conversatore piacevole e avvincente, capace di utilizzare una fitta rete di rimandi, citazioni e aneddoti personali, che rendono il tessuto della sua esposizione policromo e frastagliato.

Ricordando una delle poesie contenute nella sua prima raccolta (Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980), il poeta ha risposto alla domanda su un possibile atteggiamento polemico posto al fondo della sua ricerca: “Preferisco venire dal silenzio”. “Sì, forse è giusto. Una delle letture prevalenti che all'epoca vennero date del testo è che si trattava di una sorta di rappel à l'ordre. Contestando una celebre citazione di Mallarmé, secondo il quale la distruzione è stata la nostra Beatrice, io avevo la sensazione che fosse venuto il momento di reagire davanti al cumulo di splendide macerie prodotte dall'avanguardia. Piuttosto, la distruzione è stata la nostra Perpetua, ed era venuto il tempo di ricostruire”.

Quando parla, Magrelli secerne intelligenza da ogni parola che usa. Si danno così rifrazioni impreviste, che fanno pensare. Pensiero comunque sempre mediato da immagini corpose, addirittura sensuali. “Una delle citazioni di Paul Valéry alla quale sono molto legato: Io amo il pensiero come altri amano il nudo”. E se un momento prima aveva detto che “col tempo mi accorgo di riavvicinarmi a Sanguineti, il quale una volta affermò di scrivere poesia per antipatia”, quello che invece con lui si stabilisce è un moto di calorosa simpatia. Non è un caso che le poesie di Magrelli piacciano anche a chi non fruisce abitualmente poesia. Non è un caso che dopo la conferenza, filata via per due piacevolissime ore, molti abbiano voluto proseguire la conversazione a tavola, approdo naturale di ogni convivio.

Impossibile rendere conto con un breve articolo della mole di informazioni, suggerimenti di letture, o delle schegge di bellezza donateci. Alla fine, leggendo alcune poesie da Il sangue amaro, un'involontaria dichiarazione di poetica è scaturita per contrasto dall'esame etimologico del verbo “narrare”. “Una parola latina che mi ha sempre affascinato è gnarus. Gnarus è il contrario di ignaro, ma forse anche la radice di narratore: gnarratore. Se il narratore dunque è colui che sa, il poeta permane in un cerchio di ignoranza, e per lui ogni verso scritto è intriso dalla paura di deporre sulla carta o sullo schermo del computer il successivo. Io stesso, quando mi metto a scrivere, non so quello che sto per dire. Letteralmente, brancolo. Ed è brancolando che avanzo”.

Cosa si nasconde, così, dietro la curva di un verso? Una possibile risposta viene da una poesia intitolata proprio “La curva” e ambientata in Alto Adige, terra che Magrelli conosce in quanto per molti anni è stata meta di vacanze (“Venivo con la famiglia, le prime settimane di luglio, e mi piaceva tantissimo quando pioveva”, dice, mentre fuori, proprio in quel momento, un breve temporale rinfresca Bolzano). Una piccola poesia, dedicata alla figlia, che infine allude a un deserto da attraversare con timore e tremore: sulle spalle uno zaino appesantito dalle molte letture, ma anche l'animo reso leggero dalla permanente curiosità dell'ignoto.

 

Nella curva, la stessa, in montagna,

scendendo dalla macchina,

mia figlia, piccolina,

vomitava, per strada, tutti gli anni.

 

Ormai la conoscevo

come al nostro santuario, ci fermavamo

per consolare i pianti, pulirla e passeggiare

lungo il tornante dell'alba.

 

Altre vacanze, noi vecchi, lei è cresciuta,

ma quella sosta mi rimane in mente,

cruna della nostra famiglia

nella fuga in Egitto.

 

Ogni famiglia è in fuga,

solo l'Egitto cambia.