Gesellschaft | Il ritratto

Vita (e pensieri) da Bergtierarzt

Cronaca di una giornata col veterinario ‘italiano’, che da decenni cura gli animali nei masi di Sarentino e Renon. “I pregiudizi? Sono solo nella testa degli 'altri'".

La storia di Paolo Ciavatta è stata già raccontata 14 anni fa, quando il veterinario di Sarentino e del Renon fu protagonista di un cortometraggio, realizzato da Mirella Benetti e Siegfried Kollmann e presentato al Filmfestival della montagna di Trento, dove tra l’altro vinse nella sua categoria. 

Con Ciavatta già prendere l’appuntamento è un’avventura. Il primo incontro concordato viene infatti disdetto all’ultimo momento, perché il veterinario viene chiamato per un’emergenza che dà giusto la dimensione di come si svolge la vita di un medico d’animali in montagna. Ciavatta per una giornata intera, coadiuvato da alcuni collaboratori, è infatti chiamato ad inseguire e catturare un toro imbizzarrito, disperso nei pressi di Collalbo.
Il giorno dopo riusciamo finalmente ad incontrare il veterinario, iniziando una lunga giornata in sua compagnia tra un maso e l’altro sull’altipiano del Renon

Ciavatta ci tiene a mettere subito in chiaro i termini della questione: “io sono nato a Bolzano, sono altoatesino, i miei bisnonni erano arrivati dalla Val di Non già all’inizio del novecento”. Insomma: Ciavatta è allergico in partenza alla storia dell’italiano originalmente immerso nel mondo di lingua tedesca ed ‘amorevolmente accolto’. 

“Lavoro qui da tanti anni, sono di madrelingua italiana, ma quando parlo in tedesco penso anche in tedesco”

Ciavatta è nato a Bolzano nel 1960, ha frequentato il liceo classico Carducci e poi è andato a studiare veterinaria a Pisa.
Ma - una volta finiti gli studi - quando gli è capitato di scegliere di andare a lavorare in montagna, anziché restare in città a curare cani, gatti e criceti?

In realtà all’inizio per qualche settimana ho sostituito il collega Gallmetzer a Bolzano proprio con i piccoli animali e all'epoca la realtà di montagna non la conoscevo”, racconta Ciavatta. Dicendo però di essersi subito reso conto che il lavoro negli ambulatori di città non lo soddisfaceva. Subito dopo il veterinario ha avuto l’occasione di agganciare una convenzione nell’Oltradige Bassa Atesina, che ha subito accettato. Da lì però subito si è spostato verso un’altra ‘convenzione’ che si era liberata in Val Sarentino, dove è andato finalmente a svolgere la sua ‘vera’ professione. 

In sintesi: 30 anni di lavoro in montagna. Giornate di 12 ore di lavoro con rari fine settimana liberi. I suoi clienti (e i loro animali) in pratica sono diventati la sua famiglia. 

Noi siamo sempre stati liberi professionisti e alcuni di noi appunto convenzionati con l’ASL”, precisa Ciavatta. Ricordando però che proprio con il 1 gennaio 2016 è stato deciso di assegnare i veterinari agli animali, come come accade per i medici di famiglia ai pazienti
La convenzione in sostanza per anni è stata un patto con il quale il veterinario garantiva la reperibilità 24 ore su 24, regime che Ciavatta ha mantenuto fino ad oggi, diventando molto più che un punto di riferimento nell’ampio territorio che va da Sarentino al Renon. 

Cos’è cambiato nella professione rispetto a 30 anni fa?
Beh, sicuramente la logistica: una volta avevo 50 masi da raggiungere a piedi ed ora invece per ognuno c’è un’autostrada” risponde Ciavatta. Aggiungendo che sia allevamento che produzioni oggi sono molto migliorate. 

“L’agricoltura gode ancora di un certo sostegno, ma i contributi sono molto diminuiti rispetto al passato. Agricoltura di montagna e allevamento sono strettamente connessi.”

La conversazione si interrompe perché siamo giunti in un maso in cui Ciavatta deve provvedere all’inseminazione artificiale di una mucca. Lo seguiamo all’interno della stalla. 

Nella stalla in cui ci troviamo la mungitura è automatizzata. “Perché il proprietario in realtà è un imprenditore edile e non ha il tempo di stare qui”, ci spiega il veterinario. Aggiungendo che il maso di cui siamo ospiti in realtà "è uno di quei rari casi in cui la struttura è comunque presidiata dal vecchio contadino, il 'nonno'".  

La fertilità delle bovine è un grande problema e oggi c’è un ritorno all’uso dei tori da monta, ce ne sono addirittura di itineranti”, ci dice Ciavatta. Chiediamo: gli animalisti sono contenti? “Da noi gli animalisti sono gli stessi allevatori che fondamentalmente amano i propri animali”, risponde Ciavatta, un po’ meravigliato. Aggiungendo che, probabilmentem ad essere contente sono le mucche. 

La visita al primo maso si conclude con la medicazione alla zampa di un’altra vacca della stalla. Possiamo così riprendere a sfrecciare sulle stradine dell’altipiano del Renon con l’auto del veterinario. 

La tradizione del maso chiuso non è più così rigida come in passato”, ci dice Ciavatta riprendendo il discorso. E spiegandoci che “oggi non necessariamente il maso viene affidato al figlio più vecchio e che l’eredità non è sempre ambita per via delle energie da profondere e per l’esiguità degli introiti”. 

“Negli ultimi anni insieme al mondo è cambiato qualcosa anche nei masi di montagna”

Il veterinario Ciavatta spiega poi che il grande cambiamento nello specifico dell’allevamento bovino riguarda il latte. “Una volta ci si concentrava sulla quantità, oggi invece con la liberalizzazione delle quote a prevalere è l’attenzione alla qualità”, osserva. “L’aumento della performance zootecnica è andato a discapito della robustezza genetica, soprattutto alle articolazioni”, aggiunge il veterinario. Confermando che oggi nella zootecnia in generale si sta cercando di recuperare un po' rispetto al passato, da questo punto di vista. 

“Un tempo la mucca aveva una triplice attitudine: latte, carne e lavoro. La quantità del latte però era inferiore. Allora per aumentare il latte sono state perse le altre caratteristiche. E un’esagerata produzione di latte ha provocato importanti modificazioni metaboliche. Di per sé la mucca con i suoi 4 stomaci è un laboratorio biochimico incredibile. A tutte le latitudini la bovina riesce a produrre energia partendo anche dalla fibra più povera e in qualunque condizione ambientale. E’ un vero miracolo della natura.”

Ci fermiamo a mangiare. E il veterinario quindi sceglie di raccontarci un po’ anche del sua visione del Sudtirolo e dl ’processo di integrazione’ da lui vissuto nel mondo contadino sudtirolese

“La pacificazione dopo gli anni del terrorismo ha portato anche ad una certa gratificazione economica della gente. Per lungo tempo c’è stata un’elargizione di contributi molto sostenuta. La congiuntura di oggi però ha portato ad una diminuzione, mentre si cerca comunque di aiutare l’agricoltura di montagna, anche a causa dei rischi di dissesto idrogeologico.” 

Ciavatta non ha dubbi: “io ai miei clienti e ai loro animali dò tutto me stesso”. Ma che ne è dei pregiudizi che spesso hanno gli italiani di città nei confronti dei contadini tedeschi di montagna? La risposta del veterinario è molto interessante e in parte inaspettata.

“Io ho avuto la fortuna di iniziare alla fine degli anni ’80. Ho incontrato una generazione di mezzo che non voleva avere più a che fare con terrorismo, discriminazioni, pregiudizi, politica e discorso etnico. Erano stufi anche perché i loro genitori invece avevano affrontato duri anni di guerra. Io intanto capivo la falsità del problema e di tutta la demagogia che c’era dietro. 
Poi hanno dovuto accettarmi per quello che ero: non avevano alternativa, c’ero solo io. Ma io non ho mai approfittato di questo. E loro mi gratificano ancora oggi che abbiamo questo nuovo sistema di lavoro come per il medico di base: ogni allevatore in pratica sceglie il suo veterinario.”

Tutto ok allora oggi?
La risposta di Ciavatta anche in questo caso è secca: “no”. 
E il veterinario spiega: “le nuove generazioni purtroppo secondo me hanno fatto dei passi indietro”. 
Anche nei confronti degli ‘italiani’? “Sì, nei confronti di tutti”, risponde Ciavatta.

“Una parte della politica, quella tanto legata alla teoria delle contrapposizioni, tenta di non morire”

Insomma: la contrapposizione etnica pare pagare sempre in Alto Adige...
E il veterinario italiano di Sarentino e Renon come vive le sue relazioni con gli altri ‘italiani’ altoatesini? Ha occasione di riportare le esperienze maturate nel suo mondo?
Ho davvero pochi contatti con gli italiani, al di là di qualche turista che si porta dietro il cane in vacanza”, dice Ciavatta. 

“Ma comunque il luogo comune del turista italiano che non viene servito sotto i Portici non esiste”

E come vede Ciavatta l’attuale politica altoatesina?

“L’Alto Adige in passato ha vissuto la sua autonomia, ma oggi mi sento molto più più fatalista. Purtroppo una certa politica nazionalistica italiana non ha contribuito a migliorare le cose. Se non a cercare di ritagliarsi un tornaconto economico legato al consenso elettorale."

Dopo di che Ciavatta ci tiene a mettere in chiaro quella che considera l'essenza del suo lavoro e quindi, in definitiva, della sua vita.

“La cosa più bella del mio lavoro è la libertà. E il veterinario di montagna è un animale solitario. Si sente re e suddito di sé stesso. E talvolta anche fuori da certe logiche e certe realtà.”

Il veterinario però ci tiene a tornare sul tema dei pregiudizi: “per me l’idea dell’italiano che va a vivere e viene accolto a Sarentino è dello stesso tipo di quella dello stupore per il primo matrimonio omosessuale a Sarentino”. “I pregiudizi spesso nascono solo nella testa di coloro che non sono protagonisti delle storie”, osserva un po’ paradossalmente Paolo Ciavatta. Concludendo la nostra conversazione con una considerazione dal retrogusto amaro.

“Il pregiudizio è solo uno dei tanti difetti umani. La gente è quasi sempre molto più ‘semplice’. Dalle nostre parti i pregiudizi però vengono ancora e anacronisticamente sfruttati politicamente. Ma probabilmente solo per dirottare decisioni e risorse da una ‘parte’, piuttosto che dall’altra. Questo fa parte e della natura umana, purtroppo, a tutte le latitudini. Certo che di fronte ai flussi migratori di cui in questi tempi abbiamo visto solo una piccolissima avanguardia, ormai la paura di un’invasione del Sudtirolo da parte degli italiani non potrà che diventare - in futuro non lontano - un dolce, romantico e nostalgico ricordo. Mentre suscita tenerezza chi ancora oggi, quasi ignaro della realtà contingente, considera magari pericolosi dei bassorilievi.”