Lettera da Rovereto (via San Martin de Tor)
Caro Val,
mi chiedi un’opinione sullo stato della letteratura in lingua italiana in Sudtirolo, ma visto da Rovereto – benché siano solo poche decine di chilometri – il paesaggio è troppo lontano per farsene un’idea precisa. Tanto più che, a dispetto della morfologia alpina, in questo campo mancano le vette. Peraltro ti confesso che, per quanto mi sforzi di acuire lo sguardo, non riesco a liberarmi di quell’impressione di autoreferenzialità che ormai quasi vent’anni fa m’indusse a lasciare Bolzano per finire dalla padella altoatesina nella brace trentina, dove il Tirtln diventa tortel e non sa più di niente. Insomma, dopotutto sai bene anche tu che ogni volta che posso cerco un po’ di respiro e rifugio nella mia cameretta berlinese. Ma se amo a tal punto l’aria della grande città è perché in fondo sono ancor sempre un provinciale e il mio cosmopolitismo, se c’è, non è altro che l’abito da passeggio della mia insoddisfazione cronica.
Nondimeno, lo ammetto con qualche resistenza, non riesco neppure a ignorare ciò che di apprezzabile accade in Alto Adige. Avrai notato ad esempio, rispetto a ciò che mi chiedi, quel che fa la casa editrice alphabeta. Da qualche anno sta portando avanti una politica culturale ambiziosa e, vista da qui, sembra essere diventata il principale punto di riferimento editoriale per la letteratura locale in lingua italiana – e non solo: con le loro pubblicazioni Aldo Mazza e compagni stanno dando voce come mai prima alla presenza italofona in Alto Adige, ripercorrendone le vicende storiche e valorizzando quelli che loro considerano probabilmente i più notevoli fra i nuovi fermenti intellettuali. Anzi, forse è più che altro questa la loro ambizione, poiché sul piano estetico le loro scelte – se posso permettermi – non sempre mi appaiono riuscite. Pure, come sai, ho fatto anch’io la mia parte con la traduzione di un paio di titoli dal tedesco, e in effetti del loro progetto la parte che a me piace di più è proprio questa, la promozione di traduzioni letterarie dall’italiano al tedesco e viceversa, un’idea che alphabeta condivide e sta cercando di sviluppare assieme a Folio e Raetia, le migliori case editrici sudtirolesi di lingua tedesca. C’è da sperare, a questo proposito, che le istituzioni si rivelino sensibili, poiché tradurre letteratura non è solo importante come coronamento culturale della convivenza e del plurilinguismo quotidiani, ma è anche costoso, e un piccolo editore che lavora con tirature limitate non è in grado quasi mai di pagarsi le traduzioni da solo.
Il Trentino, da questo punto di vista, se la passa diversamente. Non meglio: diversamente. Qui i maggiori editori di letteratura, Keller e Zandonai, hanno un respiro decisamente sovralocale, i loro cataloghi vantano titoli stranieri di calibro internazionale quasi sempre molto buoni e tradotti per lo più grazie al sostegno di enti pubblici appartenenti ai paesi di provenienza degli autori. (Fra le varie occasioni in cui ho potuto collaborare con loro, nulla mi rende più fiero di aver contribuito alla mediazione che l’anno scorso ha portato alla stampa presso Keller de Ai margini della ferita di Sepp Mall, la cui ottima traduzione della meranese Sonia Sulzer è stata sostenuta, indovina un po’, dal governo austriaco.) Dal canto suo il terzo fra i maggiori editori trentini, Il Margine, si muove nella saggistica con ragionato equilibrio fra dimensione regionale e sovranazionale. Tutto ciò è possibile non soltanto grazie ai talenti che hanno costruito questi progetti editoriali, ma anche in virtù di una storia locale completamente diversa, tutt’altro che conflittuale al suo interno e anzi compatta e pacificata a tal punto da non premiare abbastanza chi, come gli editori appena nominati, si sforza di essere qualcosa di più di un semplice fiore all’occhiello della trentinità.
Lo stesso discorso si potrebbe fare per la letteratura contemporanea in Trentino: fra gli scrittori altoatesini di cui sono a conoscenza, solo il solito Alessandro Banda mi sembra paragonabile per bravura e importanza a Giacomo Sartori, Franco Stelzer o Alessandro Tamburini, e neanche penne meno raffinate e più popolari come Carmine Abate o Mariapia Veladiano hanno ancora trovato un pendant nella provincia sorella. O mi sbaglio? Nel thread di un articolo apparso due anni fa su franzmagazine mi si rimproverò di non aver menzionato G.L. D’Andrea e i suoi romanzi fantasy: potrei farlo oggi, in ritardo, pur non condividendo un simile uso dell’immaginazione e dello stile. Tuttavia, a parità di presunzione e pseudonimia preferisco Quit the doner, bolognese d’adozione ma altoatesino d’origine, i cui testi da blogger poi raccolti nel libro Quitaly sono la prova di un talento in formazione che, secondo me, darà i suoi frutti migliori e più dirompenti quando avrà scoperto le virtù ispirative dell’umiltà: fra poco, non chissà quando.
Ma è sulla traduzione che vorrei tornare, perché è in questo ambito che proprio di recente ho potuto saggiare il miglior potenziale che cova in Sudtirolo. Fra l’11 e il 13 dicembre si è svolto a San Martino in Badia, grazie all’iniziativa congiunta degli Uffici cultura ladino e tedesco e dell’editore Folio, un workshop di traduzione letteraria da e verso il ladino. Hanno partecipato varie personalità della cultura locale – Rut Bernardi, Ingrid Runggaldier, Alma Valazza, Roland Verra, per citare le più note – e attori di calibro internazionale come il traduttore scozzese Iain Galbraith e il poeta e traduttore anglo-austriaco Peter Waterhouse. Alcuni allievi di quest’ultimo, membri fondatori di un laboratorio di traduzione con sede a Vienna, hanno presentato versioni in tedesco di varie liriche di Roberta Dapunt, la più nota poetessa ladina vivente, vera protagonista dell’evento. Avresti dovuto vederla, caro Val, attorniata e accerchiata da una squadra di traduttori e traduttrici che, saltando indistintamente dal tedesco all’italiano all’inglese, passavano al microscopio, sviscerandole in ogni sfumatura, ogni parola e ogni sillaba dei suoi componimenti: non so chi sudasse di più. Tutto questo mentre in altri spazi dell’istituto Micurà de Rü un altro gruppo traduceva in tedesco il breve romanzo L nost di Frida Piazza e un altro ancora volgeva in ladino sonetti di Shakespeare. Personalmente, oltre ad aver condiviso con sommo diletto gli umori sparsi sui versi di Roberta, ho provato autentico godimento nel tradurre assieme a Tobia Moroder e Claudia Rubatscher due poesie dell’artista Josef Kostner, che non conoscevo ma i cui versi caustici e spartani mi sono subito apparsi meritevoli di una diffusione al di là dei suoi confini territoriali e linguistici. Bene anche che il venerdì sera nella biblioteca dell’istituto abbia avuto luogo un evento pubblico in cui sono stati presentati alcuni esiti del nostro lavoro, poiché è giusto che la cittadinanza sia resa partecipe di ciò che si fa con i soldi pubblici. Una cosa simile fino ad ora l’avevo vissuta soltanto nella casa per traduttori di Straelen, vicino a Düsseldorf, quando nel 2009 fui invitato assieme ad altri sedici traduttori di un romanzo di Ingo Schulze per lavorare insieme, per una settimana, alle sue diverse versioni. Voglio dire che ho trovato qui da noi, durante quei tre giorni, la stessa volontà, la stessa apertura, la stessa lungimiranza e la stessa eccellenza che ho sperimentato più volte in varie istituzioni culturali d’Oltralpe.
Mi spiace, d’altro canto, scoprirmi in ciò riconfermato nella mia tedescofilia, perché non solo in Italia non si fa nulla del genere e non esiste una rete di sostegno alle traduzioni verso le altre lingue, ma la stessa comunità italofona altoatesina non sembra troppo interessata alla questione (a dispetto del proprio discutibile bilinguismo): quando nel 2011 organizzai un incontro sulla traduzione a Bolzano nell’ambito dell’evento “Spazio lib(e)ro”, teste di serie come Umberto Gandini e Silvia Bortoli si trovarono a parlare in una sala semivuota. Pochi mesi prima ero stato chiamato a parlare dello stesso tema al Filmclub davanti a un pubblico tedesco che in seguito avrebbe assistito a un documentario sulla traduttrice tedesca dei romanzi di Dostoevskij, e nella sala la gente era assiepata persino sulle scalinate. Che fosse dipeso da una diversa promozione dei due eventi? O dall’abbinamento del discorso con un film? Non lo so, mi limito a prendere atto della differenza.
Come vedi, caro Val, sulla letteratura italiana in Sudtirolo ho veramente poco da dirti, forse perché i miei interessi travalicano senza rimedio i confini ormai logori di questa piccola provincia e, in effetti, al momento nulla mi appare più cosmopolita di un seminario di traduzione quadrilingue in val Badia. Del resto, come direbbe il battagliero Mateo Taibon, che solo a San Martino si è presentato con un cameraman della Rai ladina per documentare l’evento, la nostra salvezza è in una cultura che abbia «la sua Heimat al di là dei confini che abbiamo in testa». Solo una cultura così sconfinata può redimerci dalla nostra insignificanza.
A presto, Kumpel.