Giulio e l'Alto Adige
Uscita di recente dalle cronache quotidiane, la cosiddetta "questione altoatesina" inizia finalmente a divenire oggetto di studio da parte degli storici di professione. Raccontata per anni sotto la spinta delle notizie che si rincorrevano quotidianamente, attraverso le parole dei protagonisti che ne interpretarono in ruoli diversi i vari episodi, ora viene finalmente analizzata anche e soprattutto sulla base dei documenti che affiorano dai vari archivi.
Appartiene sicuramente a questo secondo genere il libro posto sugli scaffali in questi giorni dalle Edizioni Alpha Beta Verlag e intitolato "Giulio Andreotti e le relazioni italo austriache 1972 - 1992". L'autore, Luciano Monzali, è docente di Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di scienze politiche dell'università di Bari. Da anni si dedica allo studio della politica estera italiana, durante la cosiddetta prima repubblica, con particolare riferimento ai rapporti con gli stati confinanti a nord est con il nostro paese. Quasi inevitabile quindi che, dopo aver pubblicato alcune opere dedicate più specificamente ai rapporti con la Jugoslavia e con gli stati che ne hanno preso progressivamente il posto, finisse per occuparsi delle vicende altoatesine. Lo ha fatto con un taglio molto particolare, grazie anche al fatto di aver potuto accedere all'immenso archivio di documenti lasciato da Giulio Andreotti e attualmente custodito presso l'Istituto Luigi Sturzo di Roma. Migliaia e migliaia di fascicoli, sui quali, quando Andreotti era ancora in vita, si fantasticò parecchio immaginandoli come una sorta di caverna oscura nella quale erano nascosti tutti i misteri d'Italia. Oggi è materiale fondamentale per gli storici che vogliono ricostruire le vicende più recenti del nostro paese, tra le quali occupa un posto di rilievo, e questo non deve sorprendere, quella altoatesina.
Il perché lo ha spiegato Luciano Monzali stesso, l'altra sera, illustrando al circolo della Stampa di Bolzano i contenuti del suo libro, su invito del Forum Democratico, presentato da Gabriele Di Luca che del volume ha anche curato la prefazione.
Tra le carte raccolte e conservate nel corso di una lunghissima carriera politica da Andreotti, non sono poche quelle che riguardano le vicende altoatesine. Esperto del tema sin da quando, giovanissimo, fu chiamato a Parigi da Alcide de Gasperi proprio nei giorni in cui veniva firmato il trattato con l'Austria, Andreotti si è trovato in seguito a dirigere l'ufficio zone di confine negli anni caldi del dopoguerra ed infine a prendere in mano l'ostica matassa dell'attuazione della seconda autonomia nel ventennio tra il 1972 e il 1992 cui si riferisce in particolare l'opera di Monzali. Il ritratto che ne esce è quello di un politico attento e coerente nel perseguire l'intesa con Vienna e la strada della trattativa, non sempre agevole, con Bolzano. Privo forse di quelle grandi idealità di cui erano stati capaci, su questi temi, personaggi come Aldo Moro e Alcide de Gasperi, l'Andreotti descritto da Monzali è stato comunque uno dei personaggi chiave di una politica italiana tesa a garantire al paese confini sicuri attraverso un grande impegno per la costruzione di rapporti positivi con i vicini di casa, jugoslavi o austriaci che fossero.
Il volume ha anche il merito, e forse non è il minore, di far emergere in pieno il grande impegno della politica italiana di quegli anni, non solo da parte di Giulio Andreotti, per trovare alla questione altoatesina una soluzione che fosse adeguata alle esigenze della minoranza linguistica, compatibile con gli interessi nazionali ed anche gradualmente collocata nel processo di costruzione dell'unione europea. È un merito che difficilmente viene riconosciuto a Roma e ai suoi politici da parte della storiografia, anche la più recente, di produzione austriaca o sudtirolese. Vi sono opere anche prestigiose per il lavoro che testimoniano e per l'autorevolezza di chi le ha firmate, ma che ignorano totalmente tutta la documentazione di parte italiana che, come si diceva in apertura, sta venendo alla luce proprio in questi ultimi anni. Sono certo passati per sempre i tempi in cui gli storici venivano arruolati, armi e bagagli, dai governi di Roma e Vienna per appoggiare, con le loro consulenze ma anche con i loro testi, le tesi contrapposte, ma evidentemente la tesi squisitamente politica che a Bolzano va per la maggiore e secondo la quale il merito per la conquista della nuova autonomia è da ascriversi solo ai politici della Suedtiroler Volkspartei, Silvius Magnago in testa, sostenuti dall'Austria, mentre all'Italia è assegnato solo il ruolo del perdente cui si sono dovute strappare una per una tutte le concessioni, riesce ancora a trovare degli echi anche in campo storico.