Society | Riflessioni

Verità ed opinione

alle radici della malattia del nostro tempo
Note: This article is a community contribution and does not necessarily reflect the opinion of the salto.bz editorial team.

Tutte le volte che leggo o ascolto notizie di attualità non riesco a far a meno di domandarmi dove sia finita la ragione. Tutti gli accadimenti socio-politici di questi ultimi anni paiono dominati dall'irrazionalità, da un groviglio di emotività che come un bubbone putrescente cresce inarrestabile, pronto ad esplodere e a lasciare cicatrici profonde sulla pelle della nostra comunità.

La storia è da sempre la testimone scomoda di eventi che emblematicamente sono la conseguenza dell'irrazionalità degli uomini. Ogni giorno siamo sommersi da un fiume di informazioni che ci rammentano le conseguenze della guerra, del prevalere di governi autoritari e plutocratici, di uno stile di vita consumistico e materialista. Eppure annaspiamo in una generalizzata confusione, disorientati, disinformati e, per questo, sempre più preda del “si dice”, combustibile sulla fiamma di istinti primordiali mai sopiti; il risultato è una diffusa ignoranza, una frammentazione della conoscenza che ci rende una generazione di onniscienti del superfluo. Il nostro approccio alla conoscenza si sta rapidamente adeguando al “twit” e alla condivisione coatta di Facebook. Non è la sovrabbondanza in se ad essere un pericolo, piuttosto la mutazione dei processi mentali che ci riguardano, alla base di ogni atto conoscitivo. Non si studia più, non si approfondisce più. Tutto appare esplicitabile nello spazio di una battuta. In questo senso il nostro sapere quotidiano diviene “mitico”, giunge da lontano, inspiegato; lo raccogliamo passivamente, attraverso infiniti terminali (pc, smartphone, radio, tv, ecc.) e lo trasformiamo in materia di discussioni consumate nell'arco di una giornata. Le chiacchiere da bar si sono spostate sulla rete che è diventata il regno indiscusso dell'opinione, della doxa. È l'opinione il pericolo più grande per la nostra civiltà. L'opinione è agli antipodi della conoscenza e, dunque, della verità. Ce lo ricorda Platone che nel “Mito della Caverna” racconta di come il saggio, conosciuta la verità, non verrà creduto dagli uomini incatenati da sempre ai loro falsi miti, fedeli al loro mondo di “ombre”. Ma già prima di lui, la cultura greca è stata la culla uomini eccelsi, capaci di intuire quanto male potesse celarsi nella doxa. La ricerca affannosa della verità, tramite il mezzo della ragione, del logos, di cui si sostanzia la Natura e lo Spirito Umano: questa è stata la missione di tutti i grandi filosofi greci che, a partire dal Talete, hanno fatto compiere all'umanità passi enormi, trascinandola fuori dalle nebbie del mythos per ricondurla alla luce del logos. Spesso, questi illuminati hanno pagato un prezzo altissimo per amore della verità, come è accaduto a Pitagora, fuggito dalla sua Crotone, ad Eraclito autoesiliatosi a causa dell'ottusità dei sui concittadini, per finire al più grande di tutti, Socrate, condannato a morte dalla sua Atene. Inquieta ancor di più sapere che la gogna subita da ciascuno di essi avvenisse ad opera di regimi democratici. Non possiamo pertanto ignorarne le analogie con i nostri tempi. In questo oceano di informazioni, dove la conoscenza è divenuta modulare, abbiamo rinunciato ad avere una visione d'insieme della realtà. Forse non è nella nostra forma mentis. E cosi dalla ricerca del logos si è ripiombati all'accettazione del mythos. Leggendo pigramente le stelle, ci crogiolando in un esistenza edonistica e disinteressata. Siamo passati da un approccio erotico alla vita ad uno pornografico. Eros, il demone che instillava il divino negli uomini, spingendoli a cercare il bello per amore della virtù e dunque del bene, è svanito trasformando molti individui in simulacri acefali ed irrazionali, tenuti in vita dal desiderio incontrollato del piacere fine a se stesso. Questa tensione, che rendeva vitali ed accoglienti le comunità, si è allentata lasciando spazio alla solitudine delle passioni individuali. E allora, come non riconoscere nelle lunghe file agli Apple Store le orde di “walking dead”, metafora di un mondo dominato da individui famelici e decerebrati? É cosi che siamo ridotti? Certamente il mondo in cui viviamo è più complesso di come appare. Nasciamo esseri razionali, con l'istinto alla scoperta. Ma la fase dei “perchè” di un bimbo di tre anni diviene presto un lontano ricordo e smettiamo di farci domande. Esiste un logos che ci accomuna e che scorre sotto la nostra pelle come un fiume carsico. Sta a noi farlo riemergere. La filosofia ha da sempre svolto questa importante funzione: mantenere vivo l'eterno fanciullo razionale, quella parte del nostro spirito che non smette di indagare il reale. E non è un caso se oggi la stessa filosofia sia considerata ancillare rispetto alle scienze, come lo è stata per molto tempo nei confronti della religione. Il pensiero critico è fonte di dolore, ma ne abbiamo bisogno come il pane. Senza di esso vivremo di opinioni, di relativismo, di incomprensioni. Delegittimarne gli strumenti è qualcosa di cui si giovano le plutocrazie dominanti che, come Filippo il Macedone amava sostenere, dividono e governano. La doxa è infatti l'illusione di libertà che è sempre e solo libertà di opinione. Su questo si fonda quello che definirei “l'onto-capitalismo”, il capitalismo-essere, che come l'essere parmenideo, unico ed immobile, si pone quale sola realtà possibile, soggiogando deterministicamente le vite di ciascuno di coloro che decidono di scacciare il demone erotico, il divino-ragione, il cui gesto di amore anela alla verità. È solo la ragione che può incrinare i cardini di questa gabbia dorata. Come in “Matrix”, la realtà potrà apparire infinitamente più spaventosa del mondo doxistico in cui viviamo, ma ha certamente un vantaggio rispetto a quest'ultimo: comprendendone le sue regole, se ne potrà seguire il flusso per giungere fin dove sorge la luce e trovare finalmente la felicità.