Il potere non abita più qui
Sono molti i pensieri che affollano la mente di un cronista quando deve prepararsi ad incontrare un politico importante, l’uomo che in questa terra è stato determinante per quasi un quarto di secolo, giunto oggi al suo ultimo e rituale appuntamento con la stampa di metà agosto. In macchina, la collega mi chiede: “Ce l’hai una domanda da fargli?”. Io penso solo che è una bella giornata e che sarebbe stato meglio unirsi a qualche turista già in giro sull’altopiano di Falzes. “No, o forse sì: vorrei chiedergli se non pensa di aver sprecato tutto il suo tempo, se non crede di essersi preso troppo sul serio. E quindi se non pensa che anche noi giornalisti abbiamo sprecato il nostro, sempre lì a pendere dalle sue labbra”. “Maddai – la collega, più assennata, non fa caso alle mie solite stramberie – sicuramente qualcuno che gli farà domande intelligenti lo troveremo”.
La villa di Durnwalder
Trovare la cosiddetta “villa di Durnwalder”, almeno per chi, come noi, non c’è mai stato, non è semplicissimo. Una volta abbandonata la strada principale bisogna salire, ponderare un paio di volte la direzione, quindi almeno una volta sbagliare, abbassare il finestrino, chiedere a qualcuno del posto (lo fa la collega in dialetto), voltare la macchina, tornare indietro, indovinare da qualche segno esteriore di essere perlomeno nelle vicinanze. In questo caso il segno è dato dalle numerose automobili parcheggiate in una zona dove di solito ce ne devono stare ben poche. Una ha sulla fiancata la scritta “Rai”. Ci fermiamo, scendiamo e ci incamminiamo dietro ad altre persone. La “villa di Durnwalder” è nascosta da una siepe, per nulla appariscente. Me l’ero immaginata diversa. Chissà perché.
Senza connessione
Si entra senza controlli, i tavoli delle stanze sono già occupati dai computer portatili, tutta l’abitazione pare un’improvvisata sala stampa. Anche la collega tira fuori il suo computer e proprio in quel momento il Landeshauptmann compare assieme alla sua compagna. Sono molto cortesi, come se davvero fossero dei semplici padroni di casa venuti ad accogliere gli ospiti attesi per passare un paio di ore in piacevole compagnia. “Scusi presidente, abbiamo la possibilità di collegarci ad internet?”. “Oschpele, des woas i net… chiamo un tecnico, attenda”. L’idea di trovarci nel centro di emanazione di un potere privo però delle moderne forme di connessione è buffa. Ma è proprio così, e sarà uno dei temi toccati poi nel discorso del presidente. “La banda larga non è ancora arrivata dappertutto, nei prossimi anni…”. Intanto siamo senza internet, che è un po’ come dire fuori dal mondo. I colleghi hanno già preso posto, dobbiamo farci largo tra una selva di cavi, stare attenti a non “impallare” i fotografi e le telecamere, trovare un posticino per prendere appunti.
Je ne regrette rien
La conferenza va come deve andare. Lunga e strutturata in tedesco, più corta e piena di domande e divagazioni in italiano, compressa in un angolo per i ladini, mentre già l’attenzione di tutti è definitivamente tramontata e i colleghi parlano tra loro e si dedicano a spiluccare quello che è rimasto sui tavoli (vino, speck e formaggio). Io intanto riguardo i miei appunti e decido che non li utilizzerò. Avrei voluto cogliere il non detto, magari l’esitazione che screzia talvolta le frasi apparentemente più sicure, più scontate. Ma Durnwalder è troppo abituato al suo ruolo per lasciarne intravvedere le crepe (posto che ci siano e sperando che ci siano). Neppure quando una collega, penso austriaca, gli chiede più volte “presidente c’è qualcosa che lei rimpiange?” lui si scompone. Avesse potuto, avrebbe intonato “Non, je ne regrette rien”. Ma la Piaf era una donnina dall’ugola insanguinata, capace di mutare il timbro della propria voce a seconda delle sfumature di un’anima al contempo hereux et douloureux. Durnwalder è un omone che parla in modo stentoreo e assertivo. No, per il rimpianto non c’è posto, neppure oggi. Anzi, soprattutto oggi, che è l’ultima volta davanti a tutta questa gente, magari già pronta, al minimo cenno di debolezza, a farti il funerale anticipato.
Atmosfera anni Settanta
Non sono un grande esperto di architettura, ma ad occhio la villa è stata costruita negli anni Settanta. Quello che colpisce è che sembra abbandonata e riaperta giusto in occasioni come queste. Degli anni settanta ha l’atmosfera un po’ tetra, ricorda quegli sceneggiati che andavano di moda allora: “Ho incontrato un’ombra”, “Il segno del comando”, “Gamma”. Non mi stupirei se da qualche parte, su un vecchio giradischi, fosse ancora deposta una copia impolverata del "Tema di Silvia” di Berto Pisano. Il tempo che passa ci fa scricchiolare come vecchi vinili. Foto con dedica, dipinti di mediocre fattura, teschi di animali alle pareti, persino un busto in gesso del presidente, che troneggia in un corridoio. Altre piccole cose di pessimo gusto, delle quali parlava il poeta torinese Guido Gozzano. Oppure un gioco di specchi che dissimula il vero potere, declinandolo in una forma che si limita ad evocarlo per difetto, come un fantasma annebbiato dagli anni. Sotto alla statua del padre-nonno adesso c’è la piccola Greta, la figlia-nipote del presidente, ma è solo per un attimo. Da una porta sbucano due ragazze molto avvenenti, forse le sue baby sitter, che la chiamano e la portano via.
La piscina di Greta
Esco all’aperto, il sole inonda il giardino, fa squillare il rosso dei gerani d’ordinanza. Faccio un po’ il giro della villa, mi sento un intruso. Ma siccome vedo la famosa piscina, quella che quasi vent’anni fa costò il posto di direttore dell’ff ad Hans Karl Peterlini, decido di fare l’intruso fino in fondo ed entro senza dare troppo nell’occhio. La piscina dello scandalo mancato è vuota e sembra esserlo sempre stata. Qui le sensazioni che ho avuto in precedenza divengono certezze. Chissà se qualcuno c’ha mai fatto un bagno. Un ambiente come questo non è comunque adatto all’esibizione del potere. Evidentemente il potere è nascosto altrove, magari nelle altre case (sono undici) possedute dal presidente e che non vengono utilizzate per manifestarlo. L’aria è dimessa, stantia, brutte tende tirate a nascondere quello che non c’è più da nascondere. Guardando nuovamente fuori scorgo un’altra piscina, molto più piccola, di plastica. Dev’essere la piscina della piccola Greta, penso. Una comune vaschetta azzurra come se ne trovano ovunque nei giardini molto meno famosi di questo. Anche la piscina di Greta è vuota.
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Al piano di sopra molti colleghi sono già al lavoro e battono sui tasti dei loro computer gli articoli che si leggeranno di lì a poche ore. Incontro Toni Visentini, l’ex direttore dell’Ansa, oggi giornalista televisivo ed editorialista del Corriere dell’Alto Adige: “Senti Toni, tu che le hai viste tutte, ma queste conferenze d’agosto di Durnwalder erano sempre così?”. “Più o meno. Però nel tempo si è sempre mangiato meglio, ti fermi per pranzo?” “No, penso di no”. Poi mi viene da dirgli “magari l’anno prossimo” ma faccio in tempo a correggermi prima di sbagliare. L’anno prossimo qui non ci sarà più alcun ricevimento, nessun taccuino spiegato, nessuna telecamera. La villa tornerà ad essere quello che peraltro è già diventata. Un luogo nel quale il potere non abita più.
Un giudizio appassionato
Uno dei tuoi pezzi migliori. Non solo tra quelli scritti per Salto, ma in assoluto. Impressiona la tua padronanza del registro crepuscolare-novembrino.
In risposta a Un giudizio appassionato di e d
Flâneur a Falzes.
Concordo pienamente.