Politica | Con una norma d'attuazione

"Il vero obiettivo è il controllo completo della sede Rai"

Il giornalista Piergiorgio Veralli, membro del comitato di redazione della sede Rai di Bolzano, commenta le polemiche di questi giorni in merito al potenziamento della programmazione del Sender Bozen, non esteso ai programmi di lingua italiana.
Wolf im Walde
Foto: jggrz

“Quando c’era l’assessore Viola avevamo proposto di realizzare una sede autonoma della Rai per tutti e tre i gruppi linguistici, ma il gruppo italiano rifiutò perché vedeva il pericolo di perdere i contatti con Trento e la sua autonomia. Se loro ci ripensano ne possiamo parlare”. 
Ha risposto così il Presidente della Giunta Luis Durnwalder alle critiche fatte nei giorni scorsi alla provincia in merito al potenziamento in corso per gli spazi radiotelevisivi in lingua tedesca e ladina della Rai, non esteso ai programmi di lingua italiana. Il presidente della giunta ha spiegato che i programmi in lingua tedesca e ladina fanno parte degli obblighi dello stato nei confronti delle minoranze e vengono regolati da una specifica convenzione. E che la provincia, subentrando ora per il finanziamento allo stato, non sarebbe tecnicamente in grado di finanziare anche l’ampliamento dei programmi italiani. 
A livello locale si è sviluppato un dibattito piuttosto intenso, teso soprattutto a stigmatizzare il presunto arroccamento della redazione italiana della Rai locale, indicata come impermeabile ad ogni ipotesi di “provincializzazione” del servizio pubblico televisivo a livello locale. Per chiarirci le idee abbiamo intervistato Piergiorgio Veralli, membro del comitato di redazione della Rai di Bolzano.

La provincia si offre di potenziare anche i programmi di lingua italiana ma i giornalisti si rifiutano perché non si fidano. E’ così?
Piergiorgio Veralli - No. Se fosse vero la provincia potrebbe già oggi potenziare i nostri programmi, ricorrendo ad uno dei tanti strumenti che già oggi le leggi ordinarie sia statali che provinciali mettono a disposizione nell’ottica della stipula di apposite convenzioni. Due esempi di ciò sono la legge Gasparri a livello nazionale e una legge provinciale che permette tra l’altro il finanziamento della convenzione con ORF per Südtirol Heute. Per la programmazione in lingua italiana la provincia però non si è mai mossa in questa direzione.

Cosa vuole allora Durnwalder?
Tornare al suo progetto originario contro il quale, questa volta sì, ci eravamo battuti sia nel 2007 con il governo Prodi che nel 2010 con il governo Berlusconi. Si tratta di una norma di attuazione che era stata presentata senza successo alla commissione dei 6 e che prevedeva in sostanza che la provincia assumesse una serie di competenze aggiuntive in materia di emittenza radiotelevisiva. A tutt’oggi la provincia queste competenze non le ha, perché lo statuto di autonomia le consente di avere competenze primarie in materia radiotelevisiva, e quindi poter legiferare, soltanto per quanto attiene a manifestazioni artistiche, educative e culturali. Nello specifico lo statuto d’autonomia non prevede che la provincia possa avere competenze in materia di informazione e che possa impiantare stazioni radiotelevisive. In sostanza la provincia ancora oggi non può essere titolare di un servizio pubblico radiotelevisivo in Alto Adige.

Insomma la provincia voleva il controllo totale sulla Rai di Bolzano.
Sì, e noi la stoppammo. Lo facemmo sia a tutela dell’unità ed indipendenza del servizio pubblico, sia perché quella richiesta era di fatto una riforma strisciante dello statuto. La bozza venne messa in un cassetto ed a quel punto la provincia decise di seguire la strada della convenzione di cui si parla tanto in questi giorni.

Dalla quale la parte italiana è rimasta fuori. 
Sì. E - lo devo dire - è stata sottoposta ad una sorta di ricatto. In base all’accordo di Milano la provincia - invece di farsi tagliare i soldi come contributo al risanamento delle finanze dello stato - ha deciso di metterceli i soldi, per investirli proprio nella convenzione. Ma attenzione: la convenzione riguarda da sempre le sole minoranze tedesca e ladina, e quindi gli italiani restano fuori. A conferma di quanto dico c’è il fatto che l’unico testo in cui si è parlato in questi anni anche dei programmi italiani è proprio il testo della norma di attuazione. Il messaggio allora è chiaro: gli italiani vogliono usufruire anche loro di questa pioggia di soldi che arrivano? La smettano di opporsi al nostro progetto di mettere le mani su tutto.

Quella bozza di norma di attuazione dunque tornerà fuori...
Scommetto proprio di sì, anche perché l’accordo di Milano prevede che ogni assunzione di oneri finanziari a livello locale venga poi disciplinata da una norma di attuazione. Da esaminare nella commissione dei 6, lo prevede la legge, dunque un’occasione unica per tornare al punto di partenza e rispolverare la famosa norma di attuazione.

Nei giorni scorsi anche Florian Kronbichler vi ha invitati a considerare la mano tesa da parte della provincia. Di Kronbichler tutto si può dire, ma non che faccia la politica della SVP.
Fa confusione. Benefici dalla convenzione che riguarda le minoranze linguistiche noi non possiamo averne, perché non siamo una minoranza linguistica. La cosa è fuori discussione.

In definitiva: è proprio da escludere l’idea di un servizio pubblico radiotelevisivo locale? E se sì perché?
La questione va affrontata in maniera organica. Da anni il nostro sindacato preme per una riforma del sistema che sleghi il servizio pubblico dalla morsa della politica. Se persegui un certo obiettivo a livello di riforma nazionale ti aspetti che non si faccia il contrario a livello locale. Le proposte fatte dalla provincia metterebbero invece il controllo nelle mani dell’esecutivo provinciale, dando a livello locale ancora più potere di quanto avvenga oggi a livello nazionale. E’ da considerare anche il fatto che in merito né il parlamento né il consiglio provinciale verrebbero mai chiamati in causa, perché la trattativa si svolgerebbe interamente tra il governo provinciale e quello nazionale attraverso la commissione dei 6.

Che fare allora?
Due cose, in successione. Le forze politiche locali collaborino ad una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo da realizzarsi a livello nazionale. Poi all’interno di questa riforma si potranno prevedere, all’interno dell’articolazione territoriale del servizio pubblico, nuove forme di collaborazione con le istituzioni locali.