Gesellschaft | Diritti

La famiglia naturale

Davvero la famiglia tradizionale corrisponde a un modello naturale di relazione, tale da poter negare sussistenza a tutti gli altri tipi di unioni?

Adesso che l’onda più alta delle discussioni sulla famiglia è scesa, mi pare si possa rimettere fuori la testa e dire quello che pensiamo confortati dalla poca attenzione che avremo (“poca” non nel senso di “scarsa”, ma di “selezionata”, il che vuol forse dire “migliore”). Lo spunto me lo dà un articolo di un blogger che seguo da tempo, perché spesso dispensatore di intelligenza anche scomoda (l’intelligenza non può essere che scomoda) e soprattutto di sincerità non richiesta (a mio avviso più necessaria delle menzogne accomodanti che amiamo raccontarci).

Trascrivo per intero il suo post, che l'autore mi ha confidato essere ironico (dunque provocatorio), intitolato “Tutto maschio”:

Il declino della famiglia tradizionale è cominciato quando le donne hanno smesso di essere servizievoli, le femministe non sanno cucinare e se lo fanno è solo per autocompiacersi. Il compito ancestrale della donna è quello di nutrire, oggi in poche allattano al seno e se lo fanno è solo per postare le foto su Instagram. Le donne che hanno poco seno hanno il senso materno commisurato alla propria taglia. E diffidate dalle donne coi fianchi troppo stretti, hanno il grembo troppo piccolo per mettere al mondo dei figli sani, meglio le culone. Il divorzio, poi, è stata la rovina, io stesso, figlio di divorziati, sono cresciuto timido e insicuro, diverso sarebbe stato se avessi potuto specchiarmi in una famiglia sana, forte, unita per i figli, le coppiette di adesso non sanno che il vero amore è sacrificio. Mi cala il testosterone quando vedo una donna portare i pantaloni, e al Circo Massimo ne ho viste, nemmeno se ne rendono più conto, in jeans con le Converse, ma per favore... le vere donne portano le gonne. Sotto il ginocchio. Con le décolleté col tacco medio e le calze. Come la Binetti. Anche se la Binetti è già una donna troppo in carriera per i miei gusti, non ce la vedo a spignattare in cucina, che sarebbe poi il suo posto. Per una donna è indecoroso occuparsi di politica, perde in femminilità. Lascia stare la Boschi che è un caso a parte, la Meloni, piuttosto, il berciare da un palco non sarà mica cosa che si addice a una femmina, e poi tette giusto un filo (però bisogna dire che recupera sul girocoscia). Non sono un sessista, il sessismo è un'invenzione della dittatura del politicamente corretto, sono solo un vero maschio: uomini, abbiate il coraggio di ridiventare maschi, è l'unico modo per salvare l'occidente.

Sarebbe opportuno fornire un commento puntuale, ma mi accontento di isolare un’espressione, vale a dire quella riferita al “compito ancestrale della donna”, giacché da essa discendono in sostanza tutte le altre considerazioni.

“Ancestrale” significa risalente agli avi, lungo le tappe di un’evoluzione che potrebbe quasi toccare, suggerendo peraltro una prossimità consustanziale, un ipotetico “stato di natura”. È proprio questo, del resto, il punto decisivo: esiste un simile “stato di natura” per gli esseri umani? In altre parole: ha senso ipotizzare una condizione di partenza, evidentemente precedente le successive modificazioni introdotte dalla “cultura”, tale da perpetuarsi in tutti i passaggi seguenti come qualcosa di immodificabile (o di modificabile solo al prezzo di rappresentare un pervertimento), e divenendo dunque meritevole di essere conservata non solo normativamente, ma escludendo pure qualsiasi alternativa, come sostengono tutti i difensori del modello tradizionale/naturale di famiglia?

Nonostante si possa arrivare a comprendere l’ipotesi di una differenza originaria tra i termini “natura” e “cultura” in relazione al genere umano, l’immagine di un pervertimento del primo a causa del secondo (perversione da combattere addirittura “per salvare l’occidente”) non pare convincente perché comunque già lontana dalla realtà che viviamo e che, concretamente, ormai siamo. E a rigore: NESSUNA norma, in quanto palese espressione culturale, potrebbe avocare a sé la funzione di un rispecchiamento privo di residui rispetto a quel supposto stato di natura; senza poi contare la pluralità intrinseca della natura, che solo una postuma interpretazione culturale riduce a semplice matrice di comportamenti prevalenti. Piuttosto, adottando un punto di vista sincronico, è possibile che tali termini articolino un costante gioco dialettico, una polarità che non potrà mai essere azzerata mediante la supremazia schiacciante di uno dei due.

Verosimilmente, esiste una costante agonica (cioè di lotta) che scorgiamo alla base di ogni possibile differenza (sia quella tra “natura” e “cultura”, ma anche nel rapporto tra i sessi, rapporto che viene dunque attraversato e attraversa ogni ulteriore differenziazione) e che perciò assume di volta in volta accenti diversi. Quindi, senza negare l’esistenza di una simile lotta, perché non ritenere plausibile che il nostro compito consista nel non permettere un esito schiacciante, o – come si potrebbe dire in linguaggio filosofico – una “ipostatizzazione” di tale dialettica?

La “famiglia naturale”, sia nella sua composizione elementare che nell’articolazione dei ruoli distribuiti al suo interno, non può fungere da riferimento esclusivo alla modulazione (necessariamente culturale, e dunque anche giuridica) che regola tutti i possibili rapporti pensabili tra due o più esseri umani, neppure se essa incarnasse per l’appunto lo sfondo “ancestrale” e tendenzialmente “naturale” dal quale si sono per così dire staccate le altre configurazioni “culturali” che adesso aspirano a un riconoscimento normativo (per esempio quella rappresentata dalle unioni civili tra omosessuali). Consentire apertura e fluidità al gioco delle relazioni tra i termini in lotta è precisamente la caratteristica che non indebolisce affatto l’occidente, ma che, al contrario, ne costituisce la cifra più significativa e della quale dovremmo anche avere il coraggio di essere orgogliosi.