Pippo Civati a Bolzano
Giuseppe Civati, detto Pippo, è venuto ieri pomeriggio (7 ottobre) a Bolzano su invito del Pd locale. Titolo dell’incontro: il Pd e gli under 40. Il Nadamas è pieno come un uovo. L’ospite arriva con un leggero ritardo, risponde a qualche domanda dei giornalisti e poi si siede al tavolo dei relatori. Assieme a lui il segretario, Antonio Frena, e Thomas Demetz, “per metà ladino, per metà tedesco e per metà italiano”, chissà come ci riesce.
L’effetto è sempre un po’ strano. Personaggi famosi a livello nazionale che capitano in questo contesto portando temi e argomenti perfettamente identici a quelli che userebbero a Brescia, Taranto e Pavia. Giusto l’introduzione di Frena, che allude con estrema prudenza a un sondaggio diffuso in mattinata, e secondo il quale il Pd è accreditato di raddoppiare i suoi voti, aggancia l’evento alla campagna elettorale in corso. Per il resto siamo subito catapultati a Roma, nel cosiddetto teatrino della politica, dove Civati da un po’ di tempo recita il ruolo del giovane guastafeste (“giovane mica tanto – dice però a un certo punto –, io ho già trentotto anni”). Mission impossible: scrostare quel che c’è da scrostare. Anche nel suo partito. Soprattutto nel suo partito.
E infatti eccolo lì, il suo partito made in Bolzano. A parte Roberto Bizzo, probabilmente appagato dall’onnipresenza dimostrata durante il Festival dell’innovazione, ci sono quasi tutti. Civatiani per un pomeriggio, apostoli di un cambiamento che probabilmente nessuno di loro auspica sul serio (chissà cosa porta, meglio stare prudenti, meglio stare a vedere). “Siamo l’unico partito che fa un congresso aperto”, attacca Civati. E subito affiora la linea dello stratega minoritario per eccellenza: mantenere, nonostante tutto, la porta aperta ai grillini, criticare il governo delle “lunghe intese” (nessuna formula si presta meglio alla storpiatura ironica, del resto), riscoprire il coraggio di fare scelte “di sinistra”. Civati è infatti uno dei pochi per i quali il famoso grido di Nanni Moretti in Piazza Navona non è rimasto lettera morta, ma viaggia, come un monito, insieme a lui.
Assumersi la responsabilità, anche: “Dobbiamo smetterla di dire che a Lampedusa è mancata l’Europa, siamo mancati anche noi”. E poi una parola che mette i brividi, da scrivere in maiuscolo: Uguaglianza. “Riscopriamola, non è possibile vedere questo principio, che dovrebbe contraddistinguerci, annacquato in formule improponibili, come se ci vergognassimo di reclamarla”. Applausi, ma sempre un po’ incerti, sottolineano i passaggi più significativi. Almeno però c’è attenzione. Si vede che Civati desta simpatia. Persino qualche ricordo. Una signora del pubblico, per esempio, ora è qui ma ci tiene a far sapere che c’era già al tempo del Pci. Sottinteso: sono qui perché vedo almeno una certa somiglianza di famiglia. Un altro nome evocato è quello di Fabrizio Barca. Renzi, invece, sembra distante, ormai quasi un rivale (e lo sarà, a dicembre, quando i tre aspiranti alla segreteria, tra questi per l’appunto Renzi e Civati, si contenderanno nel tardivo Congresso la leadership del partito).
Quando arrivano le domande, prende appunti con una matita, piegato con la testa sopra al foglio. Peraltro, la scrittura è una vera passione di Civati. Molti dei convenuti conoscono il suo blog, sicuramente uno dei migliori in circolazione. Ogni volta che risponde, invece, si alza in piedi. “Come vedo l’autonomia? Vengo da una terra di leghisti. Dalle mie parti si diceva: Monza indipendente! A parte gli scherzi, non possiamo vivere in un paese nel quale tutto si decide a Roma. L’autonomia va salvaguardata, dobbiamo opporci a questa nuova tendenza neocentralista che svuota di senso le autonomie locali”. Coriandoli finali: “Vogliamo un partito ospitale, che riconosca le minoranze e che non abbia paura di fare scelte difficili. Se riusciremo a crearlo vinceremo, a Roma e anche a Bolzano”. Sotto al tavolo, ma non se ne accorge nessuno, Antonio Frena tocca ferro.