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Annie Ernaux parla di me

Wie wir in den Büchern der französischen Literaturnobelpreisträgerin Annie Ernaux das Leben unserer Großmütter und unser eigenes wiederfinden.
Annie Ernaux
Foto: Folio

Zum ersten Mal las ich Annie Ernaux Bücher nach meinem Studium, als ich einige Monate mit meiner Großmutter verbrachte. Covid war damals noch ein interessantes Gesprächsthema, meine Oma eine schützenswerte Person und die Krankenhäuser prall gefüllt. Die wenigen Monate, die ich mit ihr verbringen durfte, verbrachte ich also vor allem – oder besser: fast ausschließlich mit ihr. Immer wieder kochten Erinnerungen an früher hoch: Wie es war, damals, als Frau aufzuwachsen. Wie es war, Tochter einer wenig wohlhabenden Familie zu sein. Was sich schickte im dörflichen Kontext. Und wann die Mutter – auf das Stirnrunzeln der Nachbarn bedacht – streng den Anstand der Familie wahrte: Keine Männerbesuche. Keine Liebesromane, die sie trotzdem heimlich unter der Bettdecke lasen. Und auch die Musikkapelle war ausgeschlossen: Alle mussten sie ihren Teil dazu beitragen, damit Schulden nicht nur sofort bezahlt werden konnten, sondern gar nicht erst entstanden.

 

Zwischen Scham und Anstand

 

Während ich also in der auch tagsüber etwas düsteren Küche den Geschichten meiner Großmutter lauschte, stieß ich plötzlich, zufällig auf Annie Ernaux. Die in der Normandie geborene Schriftstellerin – heute 82 und knappe drei Jahre jünger als meine Oma – schien sich durch ihre Bücher zu uns in die Küche zu zwängen: Die beiden Frauen stückten die privaten Lebensgeschichten der jeweils anderen mit Details aus ihrer ganz eigenen Intimität, ihrem Leben auf dem Land in einem anderen Land aus.

 

Meine Großmutter schnitt mal spöttisch, mal aus tiefer moralischer Überzeugung Themen wie Scham und Anstand an, wenn sie über das uneheliche Kind ihrer Schwester oder die gelegentliche Trinkerei ihres Vaters sprach. Annie Ernaux verwandelte die so entstehenden Einzelschicksale mit ihrer scharfen Beobachtungsgabe in das Bild einer Generation der Nachkriegszeit: “Sie war immer ordentlich gekleidet und führte einen ordentlichen Haushalt, das war im Dorf das Wichtigste, die Nachbarn überwachten die Sauberkeit der Wäsche auf der Leine und wussten genau, ob der Nachttopf täglich geleert wurde. Obwohl die Häuser durch Hecken und Böschungen voneinander getrennt waren, entging nichts dem Blick der Leute, weder zu welcher Uhrzeit der Mann aus der Kneipe kam noch in welcher Woche die Monatsbinden im Wind hätten flattern sollen.” (Auszug aus “Der Platz”)

 

“die Wahrnehmung einer Welt, in der alles teuer ist” - Annie Ernaux.

 

Ernaux Ausdruck ist schnörkellos, ihr Blick objektiv auf materielle Gegebenheiten gerichtet und trotzdem tiefpolitisch: Sie zeichnet jene Ereignisse und Verhaltensweisen nach, die die Beweggründe einer Klasse, eines Geschlechts, einer gesamten Generation enthüllen. Auf diese Weise drängt sie intime, private Details wie den “Geruch der frisch gewaschenen Wäsche an einem Oktobermorgen” in den Raum des Politischen: “die Wahrnehmung einer Welt, in der alles teuer ist”.  Wie bei Annie Ernaux war auch bei meiner Großmutter alles teuer: die Schachtel Christbaumkugeln, die sie beim Aufräumen am Boden hatte zerschellen lassen und bis zur nächsten Weihnacht nicht anzusprechen wagte. Oder der Teller, der gefüllt werden musste, wenn sie abends nach Hause kam.

Die Art und Weise wie der Blick für den Preis der Dinge soziale Erwartungen prägt, zieht Annie Ernaux meisterhaft nach: “Vor den Verwandten und den Kunden [zeigte mein Vater] Verlegenheit, fast Scham, weil ich mit siebzehn noch kein eigenes Geld verdiente, um uns herum arbeiteten alle Mädchen meines Alters im Büro, in der Fabrik oder hinter dem elterlichen Tresen. Er fürchtete, man könnte mich für faul halten und ihn für einen Möchtegern.”

 

Aus der Intimität in den politischen Raum

 

Für Annie Ernaux ist schreiben nicht nur erzählen und unterhalten; das Schreiben wird zur politischen Handlung, um Leser:innen für soziale Themen zu sensibilisieren. Dabei richtet sie als Teil der feministischen Bewegung der 70er-Jahre den Blick vor allem auch auf die Rolle der Frau und die damit verbundenen Entbehrungen:

Prendiamo ad esempio “L’evento”, il racconto di quando ventitreenne Ernaux è costretta a intraprendere vie clandestine per effettuare un’interruzione di gravidanza, racconto questo che a oggi, quando sempre più governi mettono in discussione il diritto all’aborto, può sembrare un monito del presente.

Questa breve opera, che come sempre è qualcosa tra il memoir, il romanzo e il flusso di pensieri, comincia con l’autrice in una sala d’aspetto in attesa di avere il responso del test dell’HIV. Senza alcuna ombra retorica e con schietta linearità, Ernaux paragona questo momento a quello vissuto anni prima quando scoprì di essere incinta: “Mi sono resa conto di aver vissuto quel momento all’ospedale Lariboisière esattamente come l’attesa dal dottor N., nel 1963, immersa nello stesso orrore e nella stessa incredulità”. Sovrapporre la malattia alla gravidanza sgombera definitivamente il campo da qualsiasi espediente romantico o enfatico e fa della narrazione un asciutto susseguirsi di memorie che non perdono di potenza sebbene spogliate dall’elemento drammatico che sembra essere imprescindibile quando si tratta d’interruzione di gravidanza.

 

A 23 anni Ernaux è costretta a intraprendere vie clandestine per effettuare un’interruzione di gravidanza.

 

Se quella di non portare avanti la gravidanza è ancora ora una scelta che spesso porta con sé sensi di colpa – sensazioni che sono enfatizzate da una parte dall’immaginario collettivo circa la maternità e la figura della madre, dall’altra da campagne pro life che talvolta assumono tratti violenti –, contestualizzando l’evento nella Francia degli anni Sessanta la colpa non rimane solo nell’ambito delle emozioni ma sconfina in quello legale. Fino al 1975, quando la Legge Veil approva la sua legalizzazione, uno dei modi per procedere all’interruzione di gravidanza è quello di rivolgersi alle cosiddette “fabbricanti di angeli”, donne – ma talvolta anche uomini – che clandestinamente fanno abortire attraverso metodi spesso pericolosi, come l’iniezione di acqua saponata o candeggina nell’utero, oppure, come nel caso di Ernaux, l’introduzione di una sonda.

 

L’approccio politico all’episodio autobiografico si scopre anche nella disponibilità a contravvenire a una legge che prevede la detenzione e sanzioni pecuniarie per l’autore di qualunque azione abortiva, per medici, ostetriche, farmacisti che consigliano o favoriscono questa pratica, nonché per la donna che abortisce. “E come al solito, era impossibile determinare se l’aborto era proibito perché era un male o se era un male perché era proibito. Si giudicava in base alla legge, non si giudicava la legge”. Ne “L’evento” giusto e sbagliato non si confondono mai con legale e illegale, una capacità, o forse meglio dire disponibilità, di criticare il concetto di legalità che Ernaux non riserva solo ai suoi libri. Come intellettuale, infatti, Ernaux ha preso più volte posizione rispetto a diverse questioni politiche, non ultimo è il caso della solidarietà data a Vincenzo Vecchi, l’unico condannato per le manifestazioni del G8 di Genova che è riuscito a sottrarsi all’arresto.

Se la questione dell’illegalità non sembra essere un peso faticoso da sopportare, quello del giudizio pare essere uno dei tasselli più pesanti dell’intera vicenda: “Con l’entrata in scena del medico di guardia ha inizio la seconda parte della notte. Che da pura esperienza della vita e della morte si è trasformata in esposizione e giudizio”. Ne “L’evento”, l’aggressività del giudizio e la brutalità fisica sono appannaggio della categoria medica: “Né la ripetizione, né un’interpretazione sociopolitica possono attenuarne la violenza, una violenza che ‘non mi aspettavo’. In un lampo ho l’impressione di vedere l’immagine di un uomo vestito di bianco con i guanti in lattice che mi tempesta di pugni urlando ‘non sono mica un idraulico!’. E quella frase […] continua a gerarchizzare il mondo dentro di me, a separare, come a colpi di manganello, i medici dagli operai e dalle donne che abortiscono, i dominanti dai dominati”.

 

Un'esperienza transpersonale

 

Raccontando del suo aborto Ernaux parla non solo della decisione di non portare avanti una gravidanza, ma affronta anche l’arroganza di chi si sente nella posizione di decidere per le vite altrui, la stoltezza di alcune leggi, la prepotenza del giudizio. Come afferma l’autrice stessa, “L’evento” fa della sua esperienza un avvenimento di tutte: “E forse il vero scopo della mia vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intelligibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri”.

Wer genau dieses “ich”, das “wir” in Ernaux Texten ist, bleibt trotz der Intimität in ihren autofiktionalen Berichten nebensächlich; so wie auch Herkunft, Sprache und Identität meiner, unserer Großmutter nebensächlich bleiben. Das persönlich Erlebte wird zum sozialen Produkt und das individualisierte “ich” fügt sich einer kollektiven Dimension. “Das Private ist politisch” – ein Ausdruck, der in den Büchern von Annie Ernaux Form annimmt.