Politica | Migranti

Una regolarizzazione a metà

Il provvedimento rischia di rivelarsi inefficace per far emergere il lavoro nero. A Bolzano episodi di razzismo verso chi cerca impiego. La Cisl: “Una misura tappabuchi”.
braccianti agricoli
Foto: Vie di Fuga

La cosiddetta sanatoria, presentata tra le lacrime dalla ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova come una scure che si sarebbe abbattuta sul mondo del caporalato e della precarietà giuridica, rischia di tramutarsi in un buco nell’acqua. Si susseguono le analisi ricolme di criticità a causa delle forti limitazioni contenute nella norma. Nonostante la proroga dal 15 luglio al 15 agosto, la normativa viene giudicata da molti una misura insufficiente e poco efficace.

Una delle analisi più complete giunte finora proviene da Grei250, il gruppo di riflessione sulla regolarizzazione composto da 250 studiosi, avvocati, medici, attivisti dell’immigrazione.

Secondo il report la regolarizzazione prevista dall’articolo 103 del Decreto Rilancio raggiungerebbe solo una parte dei potenziali beneficiari.

Sebbene sia stata presentata come una risposta alla piaga del caporalato e all’ammanco di lavoratori stagionali agricoli - soprattutto a causa del blocco della mobilità tra stati imposto dall’evolversi della pandemia - secondo le stime della Fondazione ISMU, gli stranieri con i requisiti adatti - di fronte ai 690mila irregolarmente presenti in Italia - sarebbero al massimo 387mila, di cui solo 76mila provenienti dai settori dell'agricoltura, pesca, silvicoltura e attività connesse.

Secondo i dati forniti dal Ministero, più dell’80% delle domande presentate finora sono inerenti al lavoro domestico e solo una minima parte riguarda i lavoratori agricoli. Un’ulteriore conferma - secondo il report - della difficoltà di presentare la domanda a causa dei vincoli stabiliti dal provvedimento stesso.

Numerose sono state le proteste, gli appelli  le prese di posizione durante le ultime settimane, dalla campagna “Siamo qui! Sanatoria subito!” alla più recente protesta a Foggia, dove una cinquantina di migranti provenienti dai vari ghetti della provincia hanno denunciato come questa forma di regolarizzazione temporanea andrebbe a favorire l’insorgere di nuove pratiche di caporalato con il rischio di farli diventare ancora più ricattabili.

 

 

 

Una delle maggiori critiche viene inoltre rivolta al limitato numero di settori interessati dall’operazione di regolarizzazione che vede esclusi altri importanti settori che spesso tendono a impiegare manodopera irregolare, come l’edilizia, il turismo, il settore della logistica e dei trasporti.

“Quella della sanatoria è una proposta tappabuchi” sostiene Michele Buonerba, segretario generale di SGB/CISL “siamo di fronte a un calo demografico che non ha precedenti, i morti sono più dei nati, i pensionati più dei lavoratori e se non si inverte il processo rischiamo che il nostro sistema di Welfare collassi inesorabilmente su se stesso. Sicuramente la sanatoria può avere degli effetti positivi, ma - aggiunge - è ancora più necessario intervenire  in maniera radicale, ristabilendo per esempio delle quote: le persone devono poter entrare nel nostro paese per poter essere impiegate in settori che altrimenti rischierebbero il tracollo. E per farlo è necessario che possano vivere e lavorare in condizioni dignitose. Abbiamo bisogno dell’immigrazione" dichiara il segretario "se controllata abbiamo solo da guadagnarci ed è necessario spiegarlo con dati alla mano anche partendo dal nostro territorio”.

Ed è proprio a partire dal nostro territorio che si segnalano numerose criticità.

“Partendo dal presupposto che questa sanatoria è per molti aspetti una presa in giro, da quando abbiamo istituito ad-hoc uno sportello informativo e di orientamento, gli ostacoli che abbiamo riscontrato sono molteplici” riferisce a salto.bz Matteo de Checchi, attivista dell’associazione Bozen Solidale “abbiamo rilevato una ritrosia e molta diffidenza da parte dei datori di lavoro provenienti dal mondo agricolo a mettere in atto qualsiasi operazione di regolarizzazione, determinata anche dagli inspiegabili ritardi per quanto concerne la traduzione tedesca della procedura. Sono numerosi coloro che ci contattano per avere informazioni a riguardo perchè i referenti dei consorzi di appartenenza non riescono a fornire risposte adeguate e altri” continua De Checchi “che addirittura licenziano da un giorno all’altro i lavoratori che hanno presentato domanda di regolarizzazione perchè temono di andare incontro a una qualche ripercussione. C’è davvero una grande confusione a riguardo, inoltre,” conclude “quella che doveva essere un’operazione per migliorare la vita a decine di migliaia di persone rischia di compromettere ancora di più la loro condizione, già eccessivamente precarizzata”. 

“Non c’è solo confusione, ma talvolta veri e propri casi di razzismo” afferma invece Mirta, un’altra volontaria di Bozen Solidale. "Ci ritroviamo nella condizione in cui dobbiamo prestarci come garanti di alcuni ragazzi - che conosciamo molto bene - perchè non appena viene letta la provenienza sul loro curriculum vengono immediatamente scartati anche se rispondono ai requisiti richiesti dai vari annunci pubblicati. Ma ci sono casi peggiori” afferma “come datori di lavoro che ci sbattono il telefono in faccia e senza dire niente, non appena vengono a conoscenza della loro nazionalità. Altri invece che esternano tranquillamente di non voler assumere dipendenti neri, indipendentemente dal curriculum e dalle mansioni lavorative richieste. Altri ancora che, contattati, affermano di aver già assunto qualcun altro, per poi pubblicare il giorno dopo nuovamente lo stesso annuncio. Senza contare poi gli innumerevoli casi di ripensamenti dell’ultimo minuto”. E aggiunge amaramente: “Mi sento male ogni volta che devo spiegare loro il perchè, ma sono loro che alla fine mi tranquillizzano dicendomi Tranquilla, mamma (oramai mi chiamano tutti così). Ci siamo abituati. Nessuno però dovrebbe abituarsi a queste cose, anche se le vivi tutti i giorni”.

Ma “Mamma Mirta” non si rassegna e ci tiene a ricordare anche e soprattutto le esperienze positive. “C’era questo ragazzo che ha vissuto per molto tempo in strada, un agricoltore ha voluto dargli un’opportunità lavorativa e ora si considerano a vicenda padre e figlio: vivono nella stessa casa, mangiano e lavorano insieme. Episodi come questi” conclude “devono essere raccontati, perchè è un segnale forte di una società che vuole reagire e che non si chiude su se stessa. Sono i segnali che mi fanno credere e sperare che ci sia la possibilità che le cose, un giorno, potranno davvero migliorare. Noi continuiamo a crederci e ce la metteremo tutta”.