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Politica | Avvenne domani

Quegli italiani trasparenti

L'epopea del libro di Sebastiano Vassalli e le suggestioni di chi, negli anni 80, voleva demolire l'autonomia.

Un libro sicuramente utile e interessante quello scritto da Giancarlo Riccio, per i tipi dell'editore Alphabeta, sul rapporto tra lo scrittore Sebastiano Vassalli e la questione altoatesina, presentato nei giorni scorsi a Bolzano e ottimamente recensito su Salto da Valentino Liberto.

Utile perché, grazie ad una notevole serie di contributi, permette di ricostruire, sin nei minimi dettagli, una delle più notevoli operazioni giornalistico-editoriali realizzate sulla vicenda politica altoatesina nel secondo dopoguerra. Interessante perché consente, ora, a distanza di trent'anni, di mettere a fuoco, attraverso la pagina scritta, uno dei momenti forse meno analizzati ma più importanti della nostra storia recente.

Per inquadrare bene, nel contesto politico della questione altoatesina, il caso del libro "Sangue e suolo" scritto da Vassalli occorre fare molta attenzione alle date.

L'autore stesso ha rivelato che il volume fu frutto inatteso di un'inchiesta giornalistica compiuta, su incarico del settimanale Panorama, tra la fine del 1983 e il 1985. Sono esattamente gli anni nei quali la seconda autonomia altoatesina deve affrontare la crisi politica più grave dal momento della sua nascita. Il 20 novembre del 1983 si svolgono le elezioni regionali. In provincia di Bolzano il dato più eclatante è quello relativo alla crescita del Movimento Sociale Italiano, che guadagna ben diecimila voti in più rispetto alle precedenti elezioni del 1978. È l'inizio di un'avanzata elettorale travolgente che, nel giro di altri cinque anni porterà la fiamma missina a sfondare il muro dei trentamila voti e a diventare il secondo partito altoatesino dopo la Suedtiroler Volkspartei. L'esplosione del voto di destra in Alto Adige è tale da richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale su una realtà politica abbastanza dimenticata dopo le grandi battaglie e le controverse vicende del terrorismo anni '60. Il campanello d'allarme suona nei palazzi della politica romana ed anche le principali redazioni giornalistiche "riscoprono" l'Alto Adige come obiettivo per qualche reportage. È in questo contesto che matura, tra molte altre, la decisione dei vertici del mondadoriano Panorama di mandare a Bolzano un inviato un po' particolare, Sebastiano Vassalli. Quello che lo scrittore genovese si trova a dover raccontare  è un universo di rabbie antiche e di recenti frustrazioni, di tensioni etniche, di scontro politico, di violenza terroristica. Un mondo che lo cattura e lo spinge ad andare ben oltre i limiti della corrispondenza giornalistica. In poco più di un anno nasce e arriva sugli scaffali delle librerie, con l'illustre marchio dell'editore Einaudi, il libro nel quale Vassalli racconta del triste destino degli italiani dell'Alto Adige divenuti, a suo dire, "trasparenti" a causa della cieca ed ottusa applicazione delle norme autonomiste da parte dei nuovi padroni sudtirolesi e destinati quindi ad un ineluttabile estinzione di massa.

È la riproposizione, in buon italiano e con il marchio di un prestigioso editore, di una tesi politica che ormai, a Bolzano, in quegli anni circola già da diverso tempo. Per tutto il variegato fronte italiano che si era battuto strenuamente contro la concessione della seconda autonomia, si tratta in realtà solo dell'ineluttabile avverarsi di una profezia vaticinata da sempre. Il "Pacchetto" sarà - dicevano - la morte del gruppo italiano dell'Alto Adige, costretto ad abbandonare tutte le posizioni conquistate nei decenni precedenti. E' un mantra che la destra missina in particolare ha ripetuto senza un attimo di respiro per anni e anni. Agli inizi degli anni 80 le funeste previsioni acquistano però un altro spessore e producono, come detto, effetti politici dirompenti.

Il fatto è che, quando Vassalli sbarca a Bolzano, sono passati oltre dieci anni dall'approvazione del nuovo statuto di autonomia, la cui attuazione, però, è ancora un cantiere aperto. Secondo le previsioni, forse ottimistiche, della vigilia e i calendari operativi concordati anche con Vienna, tutte le norme destinate ad attuare in pratica le previsioni contenute nel "Pacchetto" avrebbero dovuto essere varate al massimo nel giro di un paio d'anni. Ce ne vorranno di più, in realtà, anche solo per mettere nero su bianco quelle più importanti destinate ad introdurre nel sistema i principi della proporzionale etnica e del bilinguismo nel pubblico impiego o quella, contestatissima soprattutto dalla Neue Linke di Alexander Langer, sul censimento etnico. All'alba degli anni 80, però, molto resta ancora da fare e soprattutto emerge la sensazione che ci si avvii verso una situazione di paralisi nei lavori della Commissione dei sei, incaricata di sbrogliare alcune questioni delicate come quella della norma sull'uso del tedesco nelle aule di giustizia.

È in quel preciso momento che, sia ai piani alti della politica, sia nell'opinione pubblica altoatesina matura la convinzione che sia possibile e realistico invertire il corso della storia, demolendo, in parte se non del tutto, l'edificio della nuova autonomia. Lo pensano in tanti, sicuramente, nel gruppo italiano che da qualche anno sta misurando sulla propria pelle gli effetti del totale ribaltamento nelle posizioni di potere previsto dai nuovi assetti autonomistici. L'applicazione, attuata in termini sicuramente drastici, della proporzionale nel pubblico impiego e nell'assegnazione delle case di edilizia sociale, ha cancellato d'un colpo consolidate posizioni di privilegio, mentre l'introduzione delle norme sul bilinguismo sta mettendo alla corda le aspirazioni all'ingresso nel settore pubblico di una generazione di giovani cresciuti purtroppo sotto il segno di un imperativo categorico: "qui è Italia e qui si parla italiano".

Sentimenti di rabbia e di frustrazione che vanno a confluire nel voto di protesta missino proprio nell'illusione che il campanello d'allarme possa spingere i governanti di Roma a cambiare rotta, a cancellare il "già fatto" e a mettere in quarantena la nuova autonomia  sudtirolese. Reazioni tutto sommato prevedibili, così come era da mettere nel conto che gli avvocati italiani di Bolzano facessero le barricate contro la norma sul bilinguismo dei tribunali, temendo di essere espulsi drasticamente da un settore nel quale da sempre avevano potuto contare su un quasi-monopolio. Il fatto è, tuttavia, che certe suggestioni prendono corpo anche nei palazzi romani, dove, facendo leva sulla necessità di bloccare la crescita al voto di destra, iniziano a materializzarsi ipotesi non lontane, nella sostanza, da quelle che popolano le fantasie degli italiani "trasparenti" di Vassalli.

Com'era accaduto negli anni 60 le viscerali pulsioni anti-autonomiste non restano confinate nel mondo di  lingua italiana. A sperare nel tracollo della nuova autonomia è anche una parte non indifferente del mondo sudtirolese. Non è un caso se proprio in questi anni prende corpo e dimensioni di opposizione politica lo Heimatbund, che rivendica apertamente l'eredità del terrorismo dei decenni precedenti. Il totale scetticismo verso qualunque tipo di intesa con Roma, ad onta dei buoni risultati già ottenuti, appartiene però anche ad una fetta non irrilevante della stessa Suedtiroler Volkspartei, incapace di sfidare, al momento, il carisma e gli indubbi successi politici targati Silvius Magnago, ma pronta a rinascere dalle proprie ceneri ad ogni segnale di difficoltà del processo di attuazione. E d'altronde non può non destare perplessità il fatto che a condurre, tra mille rigidità, la trattativa con lo Stato sia proprio quell'Alfons Benedikter che, del " Pacchetto", era stato tra gli avversari più decisi.

E poi ci sono le bombe. Dopo un decennio di relativa quiete, l'eco delle cariche di tritolo è tornato a fornire alle vicende politiche altoatesine un sottofondo sonoro meno drammatico e sanguinoso di quello degli anni 60, ma non meno inquietante per tutti gli interrogativi che si porta appresso. Gli attentati degli anni 80 sembrano una pallida, brutta copia di quelli di vent'anni prima. Le bombe sembrano sparse con una certa casualità, nel tentativo di ripetere in alcuni casi imprese già compiute e in altri puntando su una pura e semplice provocazione. C'è persino un filone "italiano" I cui responsabili non verranno mai acciuffati. Tutti, a prescindere dall'origine dichiarata o accertata, sembrano avere però un obiettivo comune: quello di dimostrare il fallimento della seconda autonomia come fattore di pacificazione. E' un ulteriore anello, e non  di scarso rilievo, nella lunga catena di motivazioni addotte da chi quell'autonomia la vorrebbe demolire mentre è ancora in costruzione. Si replica un copione già andato in scena vent'anni prima. Partendo da obiettivi e motivazioni completamente opposti, i secessionisti sudtirolesi e i nazional-centralisti italiani finiscono per puntare ad un progetto comune: impedire l'intesa, far fallire il progetto autonomistico, riportare l'Alto Adige sul ciglio di uno scontro politico militare come quello in corso, ad esempio, in quegli anni, nell'Irlanda del Nord.

È questo il panorama in cui vanno a planare con fragore le duecento pagine del libro di Vassalli. L'autore, ovviamente, si guarda bene dal mettere nero su bianco soluzioni politiche ai problemi che raffigura in modo così drastico. Non cade nello stesso tranello di un altro illustre intellettuale dell'epoca, il sociologo Sabino Acquaviva, che ipotizza la creazione, all'interno dell'autonomo Alto Adige, di mini-riserve dove concentrare gli italiani per assicurarne la sopravvivenza. Certo è però che  la trama del libro pubblicato da Einaudi lascia aperto un solo finale: quello che, per ridare sostanza materiale agli italiani "trasparenti" vede un'autonomia totalmente rivista e corretta e privata di alcuni dei suoi pilastri fondamentali come quello della proporzionale etnica. L'autore, proprio perché non si sbilancia in questo campo, non è costretto a spiegare come si possa buttare all'aria un ventennio di difficili intese senza scatenare una crisi a livello internazionale e portare verso un disastroso conflitto militare una terra che sta risollevandosi anche economicamente da una condizione di grande povertà.

Vasalli si rende perfettamente conto che la sua narrazione riprende in pieno quella fatta dalla destra nazionalista italiana. Un abbraccio che ovviamente considera mortificante e dal quale cerca di svincolarsi come può. Rivelando ad esempio, con una perfetta "excusatio non petita", di aver sdegnosamente declinato l'offerta di andare a presentare il libro davanti ad una platea messa assieme da un sindacato di destra, ma soprattutto cercando di legare piuttosto le sue analisi ad un ben diverso modello di critica all'autonomia: quello della Nuova Sinistra di Alexander Langer. Per questo gli brucia particolarmente, e non ne fa mistero, la stroncatura senza appello che Langer e i suoi fanno del suo lavoro, definito "la Bibbia degli italiani incazzati". Sono critiche che non intaccano il grande successo del libro. Successo editoriale, con la vendita di migliaia di copie che portano i temi della questione altoatesina nelle case di mezza Italia. Successo politico, perché contribuisce a dare una copertura autorevole e perfino progressista a temi sino ad allora confinati nel recinto della destra estrema.

È un momento di crisi acuta e gli effetti si fanno sentire. Persino la Suedtiroler Volkspartei, ad esempio, pur non mollando di un millimetro sul terreno delle richieste concrete, si mostra convinta che qualcosa debba essere fatto per migliorare l'immagine che dell'autonomia hanno gli italiani di Bolzano e di Roma. Il partito della stella alpina pubblica addirittura, per qualche tempo, un giornaletto in lingua italiana  dalla significativa testata: "Parliamoci". Ai congressi annuali del partito i giornalisti arrivano da mezza Italia non vengono più guardarti con diffidenza e sospetto, ma gratificati addirittura da traduzioni in italiano della relazione politica di Magnago e dei principali documenti in discussione.

Poca cosa, si dirà, ed infatti il processo di radicalizzazione del confronto politico, causato anche dal perdurante stallo nel varo delle ultime norme di attuazione, prosegue apparentemente inarrestabile, punteggiato inevitabilmente dagli scoppi delle bombe e dalle raffiche di mitra.

L'anno cruciale è il 1988. Tutto finisce all'improvviso, quasi come se qualcuno, da qualche parte, annoiato da una rappresentazione andata in scena ormai troppe volte, disponesse di calare il sipario. Dopo un'ultima fragorosa ondata di esplosioni, gli attentati finiscono. Si chiude, proprio negli stessi giorni, anche l'era politica di Silvius Magnago e il successore designato, Luis Durnwalder, prende possesso dei domini che governerà per un quarto di secolo. A Roma, con immensa fatica, il meccanismo arrugginito delle norme di attuazione torna a produrre qualche risultato. Ci vorranno ancora alcuni anni per arrivare alla chiusura definitiva della primavera 1992, ma i fantasmi di un'autonomia "ribaltata" tornano, provvisoriamente si teme, nei loro lugubri nascondigli.

Anche Vassalli, col suo libro, esce di scena. Non parlerà più di Alto Adige per vent'anni buoni. Torna sul luogo del delitto, ma solo in senso metaforico, nei primi giorni di settembre del 2012, quando il Corriere della Sera, con cui collabora da tempo, gli chiede di commentare un avvenimento davvero eccezionale e assolutamente impensabile ai tempi di "Sangue e suolo": l'incontro, a Merano, in occasione dell'anniversario  dell'accordo Degasperi-Gruber, dei due presidenti delle repubbliche italiana e austriaca, Giorgio Napolitano e Heinz Fischer. Nasce probabilmente da qui anche l'idea di rielaborare, con un "mea culpa" abbastanza generico, il tema altoatesino e farne oggetto di un brevissimo saggio intitolato "Il confine". Questa volta, però, nonostante il furibondo battage mediatico, non ci sono né scandalo le polemiche. Gli "italiani trasparenti" e le apocalittiche suggestioni di "Sangue e suolo" sono acqua passata.