Cronofagia
“Non ho tempo”. Pensiamo a quante volte, in una sola settimana, abbiamo pronunciato questa frase. Lo facciamo ancora, nonostante il Covid abbia ridotto all’osso le attività sociali, gli eventi mondani e le occasioni di ritrovo. In un momento storico in cui il pendolo delle nostre esistenze oscilla tra le colpe per il passato e le ansie per il futuro, vengono messi a punto sofisticati stratagemmi per sottrarci porzioni sempre più abbondanti di tempo. Questa vorace predazione che si presenta con la maschera accomodante del progresso, della libertà di espressione, ma anche dello stesso intrattenimento prende il nome di “cronofagia”, una colonizzazione cronica e costante che mercifica ogni giorno aspetti sempre più preponderanti della nostra vita. C’era una volta il capitalismo che si nutriva del nostro lavoro delle fabbriche. I marxisti della vecchia guardia sapranno raccontarvi in maniera sopraffina di come i detentori del capitale, ansiosi di recuperare, decuplicandolo, il costo dell’investimento per i macchinari, finiscono per rifarsi il più possibile sui lavoratori, esasperandone la produttività nel minore tempo possibile.
Il recinto del lavoro non basta più ed ecco che viene attraversata la frontiera del tempo libero
Davide Mazzocco nei 594 minuti stimati per la lettura di Cronofagia (d Editore) non solo ci mostra, riprendendo numerosi saggi, come il vecchio concetto di estrazione del plusvalore sia sempre alla base della logica del profitto, ma anche di come l’ipercapitalismo sia sempre alla ricerca di nuove terre vergini da conquistare. Non è sufficiente far indossare il braccialetto di monitoraggio della produttività ai lavoratori di Amazon, bisogna spingersi oltre. Il recinto del lavoro non basta più ed ecco che viene attraversata la frontiera del tempo libero, dove il lavoratore diventa consumatore, spendendo ossessivamente quanto guadagnato durante le ore precedenti. Anche in questo campo il concetto è sempre lo stesso: aumentare l'efficienza eliminando i tempi morti, varcando orizzonti ancora troppo poco esplorati. Emblematica la dichiarazione che il Ceo di Netflix ha rilasciato ai giornali nel 2017: “Siamo in competizione con il sonno”. Il sonno, appunto: le ore di riposo improduttive che ancora sopravvivono alla messa a valore e che aziende come Netflix tentano di erodere, aumentando la fruizione dei contenuti attraverso la promozione del binge watching, la visione un episodio dietro l’altro di uno show televisivo o di una serie. Ma di certo non è l’unico. Anche quando usufruiamo di qualcosa di gratuito, come possono essere i social network in realtà continuiamo a pagarli a caro prezzo.
Se vent’anni fa vi avessero chiesto di trascorrere, in media, 135 minuti al giorno a fruire e produrre contenuti testuali, fotografici e video senza alcun tipo di remunerazione, quale sarebbe stata la vostra risposta?
La moneta di scambio in questo caso è il nostro tempo e la nostra attenzione. “Se vent’anni fa vi avessero chiesto di trascorrere, in media, 135 minuti al giorno a fruire e produrre contenuti testuali, fotografici e video senza alcun tipo di remunerazione, quale sarebbe stata la vostra risposta?” È la provocatoria domanda dell’autore all’interno del capitolo “L’azienda con due miliardi di lavoratori”. Come ci comporteremo davanti a chi ci commissiona un lavoro gratuito da svolgere nel nostro tempo libero con il solo e unico scopo di arricchire qualcun altro? Eppure ogni giorno lo facciamo, regalando il nostro tempo e la nostra manodopera ai colossi che si arricchiscono con i nostri dati e che mascherano il lavoro gratuito con cui li mettiamo a disposizione con l’intrattenimento e la gratificazione social, monetizzando i nostri sentimenti e le nostre passioni. L’erosione del nostro tempo porta a sua volta il desiderio di ottenerne di più, una ricerca di salvezza tale da divenire spesso patologica. Come uscire dunque indenni dalla pancia dello squalo?
Solo riuscendo a stabilire un collegamento fra questo concetto così astratto e insondabile e ciò che c’è di più concreto e comprensibile nelle nostre esistenze si può prendere coscienza di quanta libertà dobbiamo riprenderci
Nella prefazione del libro firmata da Daniele Gambetta viene ribadita l’importanza di affrontare adeguatamente le tematiche al fine di scongiurare il rischio di sentirci soli e impotenti rispetto alla forza del capitale. Ed è quello che Mazzocco tenta di fare nell’ultimo capitolo, un elogio alla noia “nel nome della lentezza”, non da soli perché da soli non ci si salva, ma prendendo spunto da esperienze che avvengono sempre in un’ottica di una comunità che si organizza dal basso. Riprendere coscienza del valore del tempo, rimetterlo al centro della politica, del welfare, della pianificazione urbana e dell’organizzazione del lavoro. Rimettere in discussione il paradigma dello sviluppo, che per quanto verde e sostenibile affermi di essere sarà sempre funzionale a fornire più chance cronofage al capitale perché “solo riuscendo a stabilire un collegamento fra questo concetto così astratto e insondabile e ciò che c’è di più concreto e comprensibile nelle nostre esistenze si può prendere coscienza di quanta libertà dobbiamo riprenderci. Non domani, oggi. Non gli altri, noi”.