Note sulla collaborazione
Parte I: pratica politica e organizzativa.
Si collabora per condividere competenze, saperi, esperienze.
Si collabora per essere più produttivi. Si collabora per ottenere qualcosa che non sarebbe stato possibile fare da soli.
Si collabora per diventare più competitivi. Si collabora per sfidare la competitività. Si collabora per sfidare sé stessi come individui e per sfidare la individuazione stessa.
Si collabora per non essere e per non sentirsi soli. Si collabora per produrre un noi. Si collabora per dare un senso a quello che si fa e per contribuire a un contesto collettivo, per sentire che si è in grado di contribuire alla costruzione di qualcosa.
Si collabora per produrre un noi, non fisso e essenzialista, ma che partecipa alla continua avventura del suo divenire.
Il collaborare è un qualcosa che va imparato. Le collaborazioni prevedono abilità che vanno affinate. Si collabora per imparare a gestire le relazioni di potere ed i conflitti.
Le collaborazioni hanno politiche differenti.
Si collabora per imparare ad autogestirsi e a vivere insieme. Si collabora per creare nuovi modi di pensare e di relazionarsi. Si collabora per farsi forza a vicenda, per essere più coraggiosi. Collaborare vuol dire darsi lo spazio per imparare insieme ad altri.
Si collabora per creare dispositivi contro la precarietà.
Per avere un senso, le collaborazioni non possono rimanere confinate all’attività professionale. Le collaborazioni puramente utilitaristiche sono tristi. Forse non sono nemmeno possibili, non sono in realtà collaborazioni. C’è bisogno di trovare un altro nome per queste.
Collaborare efficacemente vuol dire prendersi reciprocamente cura di noi nel processo, di noi stessi e degli altri, individualmente e mutualmente. Allo stesso tempo richiede una responsabilità verso il processo che va al di là della relazione tra di noi. Questo differenzia il collaborare dal collettivismo. Collaborazione vuol dire trovare un equilibrio tra riprodurci come collettività e aprirci come processo.
La collaborazione è ciò che il capitale si aspetta dal lavoro vivo, come Marx ha spiegato molto chiaramente descrivendo il lavoro, e già anche quello in fabbrica, come basato sulla collaborazione. Collaborare viene spesso descritto oggi come un fatto inequivocabilmente positivo. Questo non è necessariamente un bene, perché potrebbe trasformare la collaborazione in una parola chiave incapace di descrivere la realtà al di là dei truismi.
Collaborare è diventato sempre più importante da quando il neoliberalismo ha iniziato a rendere la vita più precaria e a smantellare le istituzioni che nella modernità ospitavano la socialità.
Il collaborare può rinforzare delle modalità ciniche e opportunistiche di incontrare gli altri, quando la collaborazione è basata sulla necessità di mantenersi dalla parte del potere dominante.
Il collaborare può essere un antidoto alle modalità ciniche e opportunistiche di incontrare gli altri, quando la collaborazione è basata su una ricerca di modi per guarire dal potere dominante.
Collaborare è un modo per agire insieme che oltrepassa le tecniche formali della democrazia e del consenso.
La collaborazione è diversa dalla cooperazione. La collaborazione prevede una certa distinzione tra coloro che collaborano, nel senso di un maggior peso dell’individuo all’interno di un meccanismo di relazione i cui termini devono essere, almeno al principio, negoziati. Solitamente le collaborazioni non diventano istituzioni, per questo esistono le cooperative ma non le collaborative.
Collaborare ha bisogno di momenti vuoti in cui si dischiudono desideri, si ricuciono conflitti, emergono pensieri altri. Spesso questo tempo manca.
Collaborare è più potente quando i suoi risultati non sono fissati a priori, eppure nel presente moltissime collaborazioni nascono per raggiungere un risultato determinato a priori. L’obbiettivo prefissato rimane gerarchico mentre l’esecuzione è collaborativa.
Collaborare transversalmente tra diverse classi, età, background culturali e livelli di abilità è più difficile, eppure è la cosa che forse, sotto sotto, si desidera di più. Forse le collaborazioni diventano tali solo quando permettono di avere a che fare con l’alterità in maniera non kitsch e superficiale ma trasformativa.
Questo testo scaturisce da un esperimento di scrittura collaborativa tra Valeria Graziano, Brave New Alps e Paolo Plotegher. Si è cercato di trovare un meccanismo per poter pensare insieme a distanza e praticare la scrittura come forma di ricerca reciproca. La scrittura collaborativa qui non è perciò una semplice trascrizione di una conversazione a tre, ma un dispositivo per tracciare pensieri singolari e far sì che accumulandosi possano generare nuove intersezioni e punti di partenza. Illustrazioni di Caterina Giuliani.
A SEGUIRE (MARZO E APRILE):
Note sulla collaborazione - parte II: pratica artistica. Collaborazioni artistiche: sono quelle svolte dagli artisti o anche altri soggetti possono collaborare artisticamente?
Note sulla collaborazione - parte III: pratica oltre l’umano. Collaborare come un’attività extra-umana.