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Terre e frammentazione

15 giorni, 34 artisti coinvolti: il Profondocollettivo 2 presenta una Bolzano inedita. Parla Michele Fucich, art director del progetto: "Occorre meno standardizzazione".
Michele Fucich
Foto: Domenico Nunziata

Tiefkollektiv/Profondocollettivo 2

"TiefKollektiv/Profondocollettivo 2 è un evento multidisciplinare nella forma di “festival” della durata di due settimane (23 Febbraio – 10 Marzo 2019) dedicato alla città di Bolzano. Si rivolge all’articolata comunità degli abitanti locali e a tutti coloro che, a diversissimo titolo, vivono in questa realtà o desiderano entrare in più approfondito contatto con essa". Così recita l'introduzione sul sito dell'evento che già da una settimana, ormai, è presente nella città di Bolzano. Il motivo conduttore è quello dell'abitare/wohnen  - e non solo propone eventi alla cittadinanza ma cerca anche di coinvolgere i cittadini stessi nello svolgimento delle varie mostre, conferenze, perfomance artistiche e passeggiate informative in giro per lo spazio urbano.

L'art director del progetto è lo storico dell'arte Michele Fucich, toscano d'origine (a Bolzano da ormai dieci anni) e con una solida formazione alle spalle: dalla storia alla didattica museale. Ha lavorato a Fortezza e con il Museion di Bolzano, portando avanti progetti anche tra Innsbruck e la Toscana.

L'intervista

salto.bz: Come nasce l'esperienza di tiefkollektivprofondocollettivo2, da quale esperienza artistico-creativa? Siete partiti sperimentando a Glorenza, giusto?

Michele Fucich: Il progetto è nato a Glorenza, sì, attraverso un bando che è stato vinto, per un progetto di curatela in residenza promosso da GAP, un'associazione. Ho dato forma a un piccolo festival con questo nome, dove ha spiccato, Glorenza è molto rurale, è montana, è anche la città più piccola d'italia - ufficialmente - e quindi ha anche dato lo stimolo ad un lavoro simbolico per un piccolo centro del genere. Ci abbiamo lavorato intorno come fosse una città-metafora.

Glorenza è una città cintata da mura, quindi il "chiuso-aperto" funziona bene come metafora - e poi era una città commerciale e rimane tutt'ora un crocevia di mondi. Si può pensarla come a un centro di mondi sconfinati a nord e a sud, allo stesso momento. Abbiamo provato ad aprire un discorso su come una cittdina di margine rispetto alla penisola italiana possa aprirsi. Vincendo il bando Weigh Station, invece, abbiamo portato il progetto a Bolzano e ho costituito un team a partire dai liberi professionisti del settore creativo che si sono iscritti alla piattaforma di Weigh Station.

"Il background dei singoli artisti, che provengono da altre terre, è un cuore importante dell'evento, in tempi di frammentazione come questi, in tempi di terre alte e fragili".

Come avete selezionato gli spazi della città e perché era necessario coinvolgere tutto lo spazio urbano? Dai musei alle piazzette, dai centri culturali agli spazi espositivi?

Questo è stato il cuore dell'esperienza, dialogare con soggetti privati e pubblici e negoziare la forma di ospitalità che poi abbiamo concordato. La richiesta di ospitalità è anche una negoziazione e può trasformarsi in un rapporto di fiducia, se cresce.

A fronte di tanti no, sono arrivati tanti interessanti sì. Le istituzioni pubbliche, insieme al comune, hanno patrocinato l'evento e hanno fornito alcuni spazi, compresa l'unibz. I dialoghi sono avvenuti con il conservatorio, il museo civico e con enti privati - due hotel - e una casa privata. La casa privata che ci è stata offerta è un mondo intatto che conserva le sue tracce di decenni di vita, una casa disabitata da anni e in via di ristrutturazione. La stessa cosa è capitata a Glorenza, è uno dei nuclei dell'esperienza tiefkollektiv. Ci abbiamo installato dei lavori che avessero questo tipo di risonanza con il passato.

 

 

Quali sono i fili conduttori delle mostre, delle performance artistiche, dei talk? Ce n'è più di uno?

L'abitare/wohnen è il sottotesto generale di tutto l'evento. La parola 'abitare' si porta dietro - oltre al concetto di 'spazio/raum' - il suo etimo, carico di significato. C'è habitus, che rimanda all'abitudine e all'abito. Abito è chiaramente relazione tra i corpi e gli spazi, una relazione con il proprio interno e con l'esterno. Una metafora della transitività dell'abitare stesso. L'abitudine è anche il tempo, il tempo dell'abitare, che significa attenzione verso chi sta in città, da chi la vive da tanti anni, da sempre, o è semplicemente di passaggio. Che sia nel centro o nei quartieri.

Scegliere gli spazi disseminati tra il centro e Don Bosco, Ortles e Casanova, vuole dimostrare la complessità di una città come quella di Bolzano. Tre quarti della città è fatta di quartieri e non di 'solo centro'. Abbiamo ibridato spazi della città con installazioni, fotografie ed esposizioni. Abbiamo anche sollecitato la messa in mostra di alcuni lavori che mettono al centro Bolzano e non solo, attraverso le residenze d'artista: alcuni fotografi, in particolare napoletani, hanno soggiornato in città per un po' di tempo, per portare a termine i proprio lavori. Il background dei singoli artisti, che provengono da altre terre, è un cuore importante dell'evento, in tempi di frammentazione come questi, in tempi di terre alte e fragili.

Avete selezionato 34 artisti (alcuni in collettivo), molti fotografi. Quali sono stati i principali soggetti o oggetti di raffigurazione?

Da fuori sono state portate situazioni interessanti, ne cito alcune. C'è un lavoro di Vincenzo Pagliuca che si intitola Monos (case vuote, isolate nell'appennino meridionale) che indaga il concetto della casa come archetipo, piena di significati plurimi. Pagliuca ha anche rappresentato case isolate nell'arco alpino, visto che l'orografia nella penisola ci unisce, non ci divide. Giovanni Troilo ha portato un lavoro fotografico che si chiama Folding City (città modulare), a cui a lavorato tra Foggia e San Severo: al centro dei dibattito pubblico per le condizioni di vita di chi ci abita. Poi c'è anche un lavoro di Francesco Ippolito, molto interessante, sul Brennero e sui Piani di Bolzano.

"Però c'è l'esigenza - all'interno di una città che apparentemente ha tutto - di rivedere una certa libertà creativa in relazione all'uso degli spazi pubblici".

Per 'sociologica urbana' cosa s'intende? Sembra una parola chiave.

L'approccio generale è quello sociologico: questo annuncia l'invito a uno dei nostri prossimi eventi, quello con Marianella Sclavi, un'architetta ed etnografa urbana, che presenterà un approccio ecologico e sociologico allo spazio urbano. La figura - storica - di Marianella Sclavi è fondamentale. C'è anche un evento insieme al collettivo di architetti Campo Marzio, che racconterà il lavoro biennale nei quartieri.

C'è spazio per modi nuovi di abitare, ce n'è la necessità o l'urgenza?

A Bolzano, per esempio, ci sono degli esempi di co-housing, che godono di strutture e risorse che altre città semplicemente non hanno. Sì, è una delle formule possibili. Certamente è una domanda difficile parlare di esperienze, soprattutto locali, di questo tipo. Di esperienze locali però ce ne sono, compreso lo Spazio Famiglie di Bolzano, è una formula vincente, uno spazio di esperienza comune notevole. Però c'è l'esigenza - all'interno di una città che apparentemente ha tutto - di rivedere una certa libertà creativa in relazione all'uso degli spazi pubblici, ci vorrebbe meno standardizzazione nell'uso degli spazi.