Society | Incipit vita brixinensis

Un messaggio in mondovisione

In quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita brixinensis. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'asemplare in questo post; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.
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Che poi a scuola, io ci volevo andare, non vedevo l'ora. E già prima di andarci sapevo scrivere le lettere e fare le cornicette, forse perché volevo imitare mia sorella più grande, e allora avevo imparato a fare le lettere e le cornicette, avevo anche dei quaderni dove facevo i compiti a casa, e poi, ogni tanto, capitava a casa la zia monaca, che non so bene perché, ma doveva essere giudice inflessibile di quei quaderni, e li apriva, li sfogliava, e poi, inevitabilmente, con la penna rossa scriveva sei meno meno. E, sarà forse anche per quello, ma a me le monache, adesso, non è che mi piacciano poi tanto.

E a scuola, mi ricordo, uno dei primi giorni, ero lì che scrivevo sul quaderno, o facevo le cornicette, e forse ero un po' agitato, fatto sta che ho fatto qualche pasticcio, e allora cancellavo, e rifacevo, e risbagliavo, e il foglio si spiegazzava, e così via. E allora venne la maestra, e mi prese, e mi portò in un altro banco, vicino a un altro bambino, e gli disse: Ti metto vicino questo bambino cattivo, che forse può imparare da te. Non disse, ad esempio: Ti metto vicino questo bambino che ha difficoltà nello scrivere o nel fare le cornicette. No, disse proprio così: Ti metto vicino questo bambini cattivo. Io piangevo, ovviamente. E, sarà forse anche per quello, ma a me gli insegnanti e la scuola, adesso, non è che mi piacciano poi tanto.

Ma non è questo, il punto. È che tutti gli altri bambini avevano fatto l'asilo lì, prima della scuola, e allora si conoscevano già tutti, e giocavano fra di loro. Io, invece, oltre a non avere fatto l'asilo per niente, se anche lo avessi fatto, non lo avrei fatto lì, ma mille chilometri più a sud. E quindi nessuno mi conosceva e voleva giocare con me, e alla ricreazione, i primi giorni di scuola, mi trovavo sempre da solo, e qualche volta una maestra avrà detto a qualche bambino: Fate giocare questo bambino; ma poi, dopo pochi minuti, nessuno giocava più con me, e ovviamente ero triste.

In questi anni ho conosciuto tanti bambini immigrati, perché, bisogna pur dirlo, io faccio l'insegnante, e quindi ne ho conosciuti, di bambini immigrati, soprattutto quando insegnavo alle medie. E mi ricordo, più di dieci anni fa, questi due bambini, erano Curdi, e venivano da un campo profughi in Germania, e erano profughi a Bolzano, e non ho mai capito bene perché, ma anche se erano stati prima in Germania, e quindi avranno anche fatto un po' di scuola lì, a Bolzano erano stati iscritti alla scuola italiana, prima media. E quei due bambini, un maschio e una femmina, avevano quegli occhi, come un animaletto che ha sempre paura, gli occhi di chi scappa, e nessuno giocava o parlava con loro alla pausa. Lui era piccolissimo, ancora un bambino, e aveva tanta voglia di giocare, e ogni tanto mi faceva degli scherzetti, io facevo l'insegnante serio, e gli facevo lezioni al pomeriggio, cercavo di insegnargli un po' di italiano, e lui ogni tanto però faceva delle birichinate e sorrideva, come sorridono i bambini quando fanno le birichinate. La ragazza, perché, bisogna pur dirlo, le ragazze sono sempre più mature dei loro coetanei, lei era sempre seria, non l'ho mai vista sorridere, anzi sembrava sempre triste. L'anno dopo li iscrissero in un'altra scuola, perché quando sei un bambino profugo, chissà perché, capita che ti fanno fare un anno in una scuola e un anno in un'altra, a me comunque non sembra così logico.

E un giorno, quando non ero più loro insegnante, stavo attraversando la strada di fronte alla stazione di Bolzano, e su un autobus c'erano, seduti, i due bambini Curdi, e lei mi ha mostrato al bambino, e mi hanno salutato dal finestrino chiuso, e tutti e due sorridevano, anche lei, per la prima volta l'ho vista sorridere, e mi facevano ciao ciao con la mano.

Vorrei approfittare, di questo palco che mi è concesso da questa piattaforma. E mi piacerebbe avere addirittura un palco più popolare. Chessò, che magari il presidente è lì davanti alla stampa che deve finalmente dire a chi affida l'incarico di governo, e mi lascerebbe parlare qualche secondo. Oppure il papa nuovo, lì alla finestra sulla piazza, davanti ci sono migliaia di persone, e c'è anche la televisione in mondovisone, e lui magari mi potrebbe lasciare qualche secondo per dire una cosa semplice.

Io andrei al microfono e direi questa cosa semplice:

Si sente?
Ecco, sono qui, e vorrei dire questa cosa, che è semplice: pensate ai bambini immigrati, che hanno voglia di giocare con gli altri bambini, e qualche volta non ci riescono, e allora sono tristi. Pensate ai bambini immigrati, per favore, e fate di tutto perché siano meno tristi. Grazie.

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rosanna oliveri Tue, 04/02/2013 - 15:59

Il problema dell'integrazione dei ragazzi stranieri è un problema serio, ma rispetto ad alcuni anni fa, devo dire che si sono fatti molti passi avanti. Vengono i brividi però quando si sente che una scuola media a riservato una classe solo a studenti immigrati.
Ci sono classi in cui gli strnaieri superano il 70%. Mi chiedo quale sia l'integrazione anche in questo caso.
Diciamo che si è fatto molto, ma c'è ancora tanto lavoro davanti a noi ed importante capire che la questione non riguarda solo la scuola, ma l'intera società. Integrare gli studenti stranieri significa creare le basi per una società migliore.

Tue, 04/02/2013 - 15:59 Permalink