Contro le insidie dell’oblio
Se la dignità avesse sembianze umane probabilmente si riconoscerebbe nei volti di Claudio e Paola Regeni, i genitori di Giulio, il 28enne dottorando friulano dell'Università di Cambridge, ucciso al Cairo, massacrato da assassini ancora impuniti e ignoti. Rapito il 25 gennaio 2016, il suo corpo viene ritrovato il 3 febbraio successivo. Da allora dal governo, dagli inquirenti e dai media egiziani sono arrivate versioni controverse su cosa sia successo davvero al ragazzo.
Claudio e Paola sono arrivati a Bolzano ieri sera (30 giugno), invitati dal Centro per la Pace, per raccontare chi era loro figlio, i suoi ideali e la sua voglia di conoscere il mondo e le altre culture. I coniugi Regeni entrano nella Sala di Rappresentanza del Comune, accompagnati dall’avvocato di famiglia Alessandra Ballerini, e - fra gli applausi degli astanti - srotolano insieme a Francesco Comina (Centro per la pace) e Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia e moderatore della serata, uno striscione su cui campeggia la scritta “Verità per Giulio Regeni”, un appello rimasto finora inevaso. Alla campagna omonima di Amnesty International si è appena unito, insieme a molti altri enti locali, anche il Comune del capoluogo altoatesino che ha esposto lo striscione sulla facciata del municipio.
"L'impegno, oggi, è quello di far capire chi fosse realmente Giulio e la missione quella di mantenere viva l’attenzione su questa storia, così da arrivare finalmente a una verità accertata su quanto è accaduto a nostro figlio" (Claudio Regeni)
Visibilmente emozionato il sindaco Renzo Caramaschi ha ricordato il caso di Ilaria Alpi, assassinata a Mogadiscio insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin, ma anche la strage di Bologna, che insieme alla tragedia di Giulio, hanno rivelato solo brandelli di verità. Claudio Regeni ha rievocato la figura del figlio e ricordato di quando insieme, anni fa, vennero a Bolzano a vedere Ötzi, la mummia del Similaun, “Giulio è sempre stato curioso, voleva conoscere storie nuove e culture nuove. E diventando grande cresceva anche il suo impegno sociale e civile, imparava varie lingue oltre che il valore della diversità grazie in particolare all’esperienza del Collegio del Mondo Unito dell'American West, nel New Mexico. L'impegno, oggi, è quello di far capire chi fosse realmente Giulio e la missione quella di mantenere viva l’attenzione su questa storia, così da arrivare finalmente a una verità accertata su quanto è accaduto a nostro figlio”. Impressiona la semplicità, la compostezza e la forza morale con cui la coppia parla della drammatica vicenda ancora sciaguratamente irrisolta.
“‘Giulio continua a fare cose’, come ha detto una volta un amico di mia figlia Irene, ed è proprio così perché ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo sul suo conto”, afferma Paola Regeni. “Nostro figlio - prosegue - era un giovane modesto, che risparmiava per non pesare sui genitori, e noi lo spingevamo a studiare. Potete quindi immaginare come ci siamo sentiti quando nostro figlio è morto perché era andato all'estero a continuare i suoi studi. Giulio non era un ingenuo, in Egitto però si sentiva al sicuro perché faceva il ricercatore”. Dopo la sua morte, tuttavia, certa stampa non si è fatta scrupoli a saccheggiare nella sua vita e a violare la sua identità, sottolinea Paola Regeni. E intanto in Egitto la macchina del fango, come spiega l’avvocata Ballerini, era già partita, con i primi depistaggi per rendere sempre più nebulosa la verità.
“Prima si è tentato di liquidare la tortura e l’uccisione di Giulio come un incidente stradale - chiosa l’avvocata - poi, dal momento che il giovane è stato ritrovato nudo dalla vita in giù, hanno insinuato che fosse gay e l’omosessualità è un reato in Egitto, poi ancora che fosse tossicodipendente e un trafficante di reperti archeologici. Tutte menzogne da cui Giulio riesce incredibilmente a difendersi da solo, grazie alle prove raccolte nei suoi device tecnologici e alle email scambiate con gli amici che, fra l'altro, il giorno del funerale sono andati dal procuratore a consegnare i loro telefonini e computer per aiutare a far luce sul caso. Il procuratore generale egiziano Sadeq in un incontro a Roma ci aveva promesso la consegna del fascicolo dell'inchiesta sulla morte di Giulio, ma quel documento non lo abbiamo ancora visto e il procuratore si rifiuta di incontrare i nostri legali”. Secondo Ballerini scoprire la verità significa restituire giustizia non solo al giovane ricercatore ma a “tutti i Giulio e le Giulia d'Egitto”, ovvero a tutti coloro che vengono calpestati nei loro diritti. Nel frattempo l’esortazione è quella di “togliere una parte del peso e della fatica dalle spalle di Claudio e Paola, visto che alleggerire il loro dolore è impossibile, aiutando a tenere viva l'attenzione sulla storia di Giulio”.
Dopo l’omicidio i rapporti fra i due governi - italiano ed egiziano - sono di fatto congelati e l’ambasciatore Maurizio Massari è stato ritirato dal Cairo in segno di protesta. “Chiediamo agli altri paesi europei di richiamare i loro ambasciatori e di dichiarare l’Egitto paese non sicuro, non solo per rendere più consapevoli gli italiani che vogliono recarsi sul posto ma anche affinché gli egiziani che fuggono dal Paese possano richiedere protezione internazionale”, così Ballerini. “L’Europa ci ha lasciati soli - dice con amarezza Claudio Regeni - ma noi andremo avanti finché sarà necessario”. Uno sguardo complice con la moglie Paola che annuisce e afferma: “Il mio calendario si è fermato a quei giorni, fra il 25 gennaio e il 3 febbraio, vogliamo solo la verità”.