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“Dobbiamo fare noi il primo passo”

Il Vicario Generale della Curia Eugen Runggaldier sullo ius soli, i casi di pedofilia, la situazione della chiesa locale e le relazioni con gli stranieri.
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Foto: Eugen Runggaldier
La società odierna è attraversata da rilevanti trasformazioni. La crisi economica mondiale, i nuovi assetti politici globali, l’allarme terrorismo, le copiose migrazioni, i cambiamenti climatici sono solo alcuni dei fattori che incidono sulla vita dei singoli e della collettività.
In questo contesto percorre il proprio cammino di rinnovamento anche la Chiesa che si deve misurare ogni giorno con un mutato approccio delle persone alla religione.
Diversi i nodi problematici: dalla riduzione del numero di sacerdoti alla conservazione dell’identità religiosa cristiana, passando per la sfida dell’integrazione, la discussione sull’apertura di moschee, lo ius soli.
Su tali questioni e non solo abbiamo chiesto al Vicario Generale della diocesi di Bolzano – Bressanone don Eugen Runggaldier di esprimere il proprio parere.

Salto.Bz: Don Runggaldier, nel mondo si assiste al crollo delle vocazioni al sacerdozio. Com’è la situazione in Alto Adige?

Don Runggaldier: Molto grave. In seminario noi abbiamo solo tre ragazzi, di cui due diaconi. E’ preoccupante, ma bisogna andare oltre. Fissarsi troppo sui numeri, infatti, impedisce di crescere. La priorità è l’annuncio del Vangelo.

Quali a suo avviso sono le ragioni del calo di ordinazioni di preti?

La società altoatesina è sempre più individualista e consumistica. E’ quindi difficile che vi siano tante persone disposte a dedicare la vita al prossimo ed a scegliere la via della rinuncia ai beni materiali. Dal canto loro le famiglie, cellule piccole della Chiesa, non sono più il luogo in cui i ragazzi si confrontano con la fede e la preghiera.

Gli scandali sulla pedofilia in ambienti ecclesiastici può avere avuto un ruolo in tale progressivo allontanamento dei giovani dalla vita consacrata?

Sì, la credibilità delle istituzioni ha perso tanto. Tuttavia, il danno all’immagine si deve ritenere secondario rispetto al male perpetrato da quei sacerdoti. Gli autori degli atti di pedofilia hanno rovinato per sempre la vita ai minori, procurando loro dolore e danni che non saranno mai superati.

Secondo lei la Chiesa ha coperto i pedofili?

Sì, in un primo tempo. Ma poi la Chiesa ha reagito. A livello locale la diocesi ha individuato una figura di riferimento per le segnalazioni, estranea alla Chiesa. E’ stato inoltre formato un gruppo che lavora con la Caritas e le associazioni giovanili per prevenire e sensibilizzare sul tema (nel 2001 è stato costituito lo sportello di consulenza diocesano, nel 2010 il dottor Werner Palla ha ricevuto l’incarico di difensore civico indipendente dalla diocesi per le vittime di presunti casi di abusi sessuali nella Chiesa cattolica dell’Alto Adige, nel 2013 è stato istituito l’ambito pastorale “Prevenzione di abusi e di violenze”, ndr).

Secondo lei la Chiesa ha coperto i pedofili? 
Sì, in un primo tempo. Ma poi la Chiesa ha reagito.

Estendere il sacerdozio alle donne può sopperire alla carenza di preti?

No, non è quella la strada. Se una pianta o un albero perde foglie o fa pochi frutti, non bisogna curare rami e tronchi, ma le radici.

Cosa significa per lei modificare la realtà ecclesiastica alle radici?

Riscoprire come Chiesa la bellezza del Vangelo, il cui messaggio di pace, amore e uguaglianza deve essere trasmesso con gioia. Purtroppo alcuni sacerdoti predicano con la faccia triste, delusa, affaticata, esprimendo così un’aura negativa che non incoraggia i giovani.

Quest’anno pastorale 2017-2018 la Chiesa locale, in attuazione del Sinodo diocesano, ha come leit motiv “Sulla tua Parola: cristiani, coraggiosi e solidali” e si concentra sul tema “Stile di vita cristiano”. In concreto su cosa sta lavorando la diocesi?

Siamo partiti dalla figura di Josef Mayr-Nusser che pur vissuto in una società nazionalsocialista ha ciononostante mantenuto la propria identità cristiana (martedì 3 ottobre è il primo anniversario in suffragio del beato Mayr-Nusser. In tale occasione il vescovo Ivo Muser presiederà la Santa Messa bilingue alle ore 20 nel Duomo di Bolzano. Seguirà la processione alla tomba del beato, ndr). Poi ci soffermeremo su aspetti legati all’economia, alla politica, all’ecologia che ha sempre a che fare la solidarietà, alla giustizia e alla povertà. Il prossimo anno vi saranno le elezioni politiche nazionali in primavera e in autunno le elezioni per il consiglio provinciale, sicché ci si deve interrogare su come il politico debba muoversi nella società e nella politica con stile di vita cristiano.

Se la Chiesa si dedica alla politica, secondo alcuni viene meno il principio di “libero Stato in  libera Chiesa” e  di “libera Chiesa in libero Stato”.

La Chiesa deve fare politica. Nel Vangelo si parla non solo di pace, amore, gioia, speranza, ma anche di poveri e di giustizia. La Chiesa deve dare voce a chi non ne ha: è l’avvocato dei deboli. Fare politica non significa però sostenere i partiti o le singole persone politiche.

Sullo ius soli taluni ritengono che il pontefice sia entrato troppo nelle dinamiche partitiche. Lei è d’accordo?

No. Dobbiamo chiederci: come avviene l’integrazione delle persone che vengono qui? Con fatica queste persone avranno mai la cittadinanza italiana? Lo ius soli può essere un veicolo di integrazione. In alcune città si formano ghetti e le terze generazioni di immigrati sono più chiuse delle seconde. L’economia dice che abbiamo bisogno di lavoratori da fuori. Dobbiamo accettarli come uomini con la loro religione e la loro cultura.

Per quanto riguarda lo Stato del Vaticano, si diventa cittadini vaticani mediante lo ius soli?

Non so.

Lo ius soli può essere un veicolo di integrazione

Taluni sostengono che ci sia dia molto da fare per trovare un lavoro agli stranieri e non altrettanto per assicurare un impiego agli italiani. A suo avviso tale preoccupazione è fondata?

No, non c’è un conflitto. I ragazzi italiani che sono costretti ad andare a lavorare all’estero – dispiace che non trovino lavoro qui - sono molto qualificati ed hanno una formazione di livello elevato. I profughi svolgono tutt’altre mansioni. Tante imprese nel settore alberghiero si trovano con difficoltà tra gli autoctoni lavapiatti e camerieri.

Sul fronte dell’accoglienza molti affermano che la Chiesa “predichi bene, ma razzoli male”. E’ d’accordo?

La mano pubblica è la prima a doversi far carico della situazione. L’accoglienza è un compito di tutti, non solo della Chiesa. Le parrocchie accolgono i profughi, fanno la loro parte. Certo, mai si può dire che si sia fatto abbastanza. Si può fare sempre di più. Nessuno ha diritto al superfluo. Si deve avere solidarietà verso chi ha bisogno. Il papa, accogliendo tre famiglie siriane, ha dato l’esempio ed esortato altri a fare altrettanto, ma non può certo affrontare ciò che spetta allo Stato.

E l’Europa?

Oggi è più ricca rispetto al passato, eppure non è in grado di arrivare ad una politica comune. Ogni Stato cerca di svignarsela. Dopo la seconda guerra mondiale erano tutti poveri e vi erano più profughi allora in Europa di quanti ve ne siano nei tempi odierni. Una volta l’accoglienza era però più calorosa di quella attuale. I poveri sono più solidali.

E in Alto Adige?

C’è ambiguità: la nostra è una terra benestante capace di accogliere gli stranieri turisti, quando portano denaro, mentre fa fatica ad accogliere gli stranieri bisognosi di aiuto.

Alcuni dicono che si spendano più soldi per i profughi che non per gli altoatesini.

Non è vero, è frutto di disinformazione. I fatti dimostrano il contrario.

Stante l’allarme terrorismo, molti nutrono diffidenza nei confronti degli stranieri.

I servizi segreti hanno certamente informazioni sui movimenti dei terroristi.

L’integrazione è una sfida piuttosto ardua a parere di tanti. Cosa fare?

Per far funzionare bene l’integrazione ciascuno deve fare la propria parte: da un lato la formazione nelle scuole e negli istituti di istruzione - gli stranieri devono imparare le lingue del nostro territorio, la nostra storia, cultura, tradizione – e dall’altro le leggi. Come extrema ratio si può anche pensare di espellere chi non osserva tali norme, ma le sanzioni non riescono a far cambiare la mentalità. In mezzo ai due estremi vi è la vita quotidiana. Bisogna chiedersi: cosa posso fare io come cittadino? Per esempio, a chi chiede l’elemosina ci si può rivolgere con un saluto, un modo per dare il benvenuto. Poi con questa persona si può iniziare un dialogo, chiedere quale sia la sua storia di famiglia e quali le sue problematiche. Diversi elemosinanti sono cristiani perseguitati nei loro paesi d’origine, costretti a scappare e venire da noi. Alcuni di loro avevano sviluppato negli Stati di provenienza diverse competenze come quelle da traduttori. Sia con gli elemosinanti sia con gli stranieri non si deve avere paura ad allacciare i contatti. Ignorarli è una colpa. La mescolanza tra persone di diverse fedi può essere anche una chance positiva per aprirsi e divenire più solidali. Dobbiamo fare noi il primo passo e riconoscere l’altro come persona con la nostra stessa dignità.  

la nostra è una terra benestante capace di accogliere gli stranieri turisti, quando portano denaro, mentre fa fatica ad accogliere gli stranieri bisognosi di aiuto.

Come si fa a conservare l’identità religiosa dei cristiani?

Prima di tutto dobbiamo conoscere bene la nostra religione. Molti ne sanno poco. Tanti populisti arrivano anche ad impiegare il simbolo della Croce contro i musulmani. Al contrario non si può usare la Croce contro nessuno. I cristiani si devono confrontare con la fede. E’ bene poi conoscere la storia e la cultura dell’altro.

A proposito di Croce, alcuni non vogliono i crocefissi nelle scuole, nelle aule di tribunali, negli ospedali e in altri luoghi pubblici. Lei è d’accordo?

No. In genere, a chiederlo non sono musulmani, ma cristiani sulla carta. In nome della tolleranza e della laicità dello Stato non si può rinchiudere la religione nella vita privata. La Croce non è un simbolo culturale o legato alla tradizione, come molti pensano, ma un simbolo religioso. Eliminarlo non è la strada giusta: che dinamica ha una religione non più considerata nella società? Ad esempio nel contesto scolastico per l’integrazione tra bambini altoatesini e immigrati la Croce è un aggancio per far conoscere la cultura, la storia e la religione della nostra terra. La cristianità fa parte della nostra identità. Perché nascondere la Croce? La Croce non si nasconde, ma si spiega. 

Quale significato ha il crocefisso oggi?

E’ un segno che ricorda non tanto la morte di Cristo, quanto piuttosto la sua  risurrezione, la vittoria sulla morte, sul peccato, sull’odio, sulle divisioni. E’ un simbolo molto forte di vita, pace e speranza che non può mancare nella vita pubblica.

C’è sempre polemica intorno ai luoghi di culto per musulmani. Lei è favorevole all’apertura di nuove moschee?

Ogni persona ha diritto di avere una struttura per vivere la propria religione. L’Italia è uno Stato laico, dove vige il principio di uguaglianza fra le confessioni religiose. Il cristiano ha diritto alle chiese. Perché il musulmano non dovrebbe avere una moschea?  La moschea è un punto di riferimento religioso e non solo. Le leggi devono naturalmente imporre limiti ed evitare che nelle moschee si diffondano ideologie estremiste, si devono sottoporre a controlli. Si può stabilire per esempio che le celebrazioni avvengano in lingua italiana e tedesca o siano tradotte in queste lingue. Non tutti gli imam sono uguali. Per esempio l’imam di Bressanone è così bene integrato che parla in dialetto tedesco. L’Islam è una religione di pace.

Alcuni contestano la definizione dell’Islam come religione di pace ed adducono come motivazione il fatto che Maometto abbia sgozzato tante teste di infedeli.

Il cristianesimo ha fatto le crociate in Terra Santa. Di conseguenza si sono uccise tante persone, per non parlare delle conquiste nell’America del Sud.

L’Italia è uno Stato laico, dove vige il principio di uguaglianza fra le confessioni religiose. Il cristiano ha diritto alle chiese. Perché il musulmano non dovrebbe avere una moschea?

Alcuni sottolineano che Papa Giovanni Paolo II abbia a suo tempo chiesto pubblicamente scusa per le crociate, mentre le autorità religiose musulmane non abbiano mai fatto lo stesso per i morti sulla loro coscienza.

La religione cristiana ha una storia più lunga rispetto a quella musulmana che prima o poi affronterà anche questo percorso.

Non solo vi sono problemi di integrazione fra cristiani e musulmani, tra italiani e stranieri, ma in provincia di Bolzano emergono di tanto in tanto animosità anche tra gruppi linguistici. Come superarle?

Ci si deve aprire per la convivenza tra gruppi linguistici. Come diocesi noi avevamo due vicari, ciascuno per gruppo linguistico, adesso uno solo. Tutte le commissioni diocesane, tranne una, sono mistilingui. Dal primo settembre la Caritas ha un direttore unico. Il nostro è un cammino che ha come obiettivo ‘unire nella diversità’. Si deve entrare nel mondo italiano ed in quello tedesco e comprendere bene entrambi.

Sono utili le celebrazioni in due lingue?

Sì, le messe bilingui funzionano molto bene. Tuttavia, per alcuni è difficile seguire i discorsi nell’altra lingua. Ad ogni modo si devono incentivare sempre più gli incontri comuni.

Quali sono le diversità più evidenti tra i due gruppi linguistici?

L’impostazione del lavoro. Quando c’è un nuovo progetto, la parte tedesca crea un gruppo lavorativo che elabora testi scritti dettagliati, mentre la parte italiana è più spontanea, pianifica meno. Alla fine delle riunioni le persone di lingua tedesca poi vogliono già giungere ad un punto fermo, mentre le persone di lingua italiana vedono la riunione come un’occasione per sentire più voci e aspettano prima di assumere una decisione. Entrambi gli  approcci sono validi. L’ideale sarebbe fare un mix. Importante è imparare dall’altro e creare qualcosa in comune. Bisogna inventarsi uno stile bilingue di lavoro insieme.

Si discute molto di scuola bilingue. Secondo lei può essere una buona occasione per creare una comunità italo-tedesca sempre più unita?

Sì, la scuola bilingue fa molto bene. Non si perde la storia, la lingua, l’identità, come teme una parte del gruppo tedesco. La minoranza tedesca deve essere di sicuro tutelata. Vi sono più vie per farlo. Come ladino per avere studiato in una scuola, dove alcune materie erano insegnate in italiano ed altre in tedesco, non ho perso la mia identità, piuttosto ho imparato altre due lingue.

La scuola bilingue fa molto bene. Non si perde la storia, la lingua, l’identità, come teme una parte del gruppo tedesco.

Farebbe bene unire anche le intendenze scolastiche, ora divise per gruppi linguistici e anche altri uffici pubblici?

Sì.

Infine, alcuni sacerdoti vivono in appartamenti molto grandi, girano su auto di lusso, posseggono smartphone di ultima generazione e altri beni di alto valore economico. Alcuni si chiedono dove sia finita la povertà di francescana memoria.

La Chiesa deve essere povera per i poveri. Si deve seguire uno stile di vita semplice. Il fine della Chiesa non è la Chiesa, ma il Vangelo. Si deve vivere quel che si dice. Primi fra tutti i sacerdoti devono essere autentici nell’annunciare il Vangelo. Tanti lo sono, altri no. Qualche singolo ha perduto la via. Siamo tutti umani.  

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△rtim post Mon, 10/02/2017 - 10:56

"L’Italia è uno Stato laico, dove vige il principio di uguaglianza fra le confessioni religiose. Il cristiano ha diritto alle chiese. Perché il musulmano non dovrebbe avere una moschea?"
"Il cristiano ha diritto alle chiese." Dove negli 57 stati islamici, icario Generale della Curia? In Saudi Arabia non c`é neanche una. Penso che i laici, i cristiani ... hanno già dato abbastanza. Ci vuole anche reciprocità e rispetto. Moschee come punto di reclutamento di fanatiaci e la diffusione del wahhabismo, salafismo ci sono già troppe.

Mon, 10/02/2017 - 10:56 Permalink
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19 amet Mon, 10/02/2017 - 14:06

Mi pare che non abbia letto bene. Il Vicario parla dell' Italia. Che altre nazioni, con cultura democratica meno progredita, non accettino questo, è spiacevole. Ma sarebbe deleterio, oltre che illegale, proibire il culto di un altra religione, per ripicca a regimi totalitari. Se in Cina praticano la pena di morte, mica dobbiamo istituirla anche noi.

Mon, 10/02/2017 - 14:06 Permalink