Society | Il processo

La verità impura

Caso Cucchi: tutti assolti. Il necrologio di una democrazia.

Stefano Cucchi è morto “accidentalmente” il 22 ottobre 2009. Questo, riassumendo all’osso, il senso della sentenza pronunciata dai giudici della II sezione di Roma. Non esiste alcun colpevole, sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria, sono stati assolti in appello perché “il fatto non sussiste”.

Insufficienza di prove. Per tutti. Non ce l'ho con i giudici, che rispetto. Ma voglio chiedere al dottor Pignatone, procuratore capo della Repubblica di Roma, se è soddisfatto dell'operato del suo ufficio.
Voglio chiedergli se quando mi ha detto che non avrebbe potuto sostituire i due pubblici i ministeri che continuavano a fare il processo contro di noi, contro il mio avvocato, e contro mio fratello ha fatto gli interessi del processo e della verità sulla morte di Stefano.
Insufficienza di prove. Caro procuratore capo. Su tutto e per tutti. Ma l'importante è tutelare il prestigio dei colleghi.
Grazie.

Lo sfogo di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, su Facebook. Le fratture, il corpo tumefatto, gli occhi neri non sono stati considerati elementi probatori attendibili, perché, va da sé, un tossicodipendente non ha evidentemente diritto, causa la sua reprensibile condotta, di chiedere e ottenere giustizia.
Ebbene, ora più che mai, è chiaro che certi processi – quelli che riguardano le nefandezze istituzionali, per non starci a girare troppo intorno – rimangono perlopiù insoluti, che alcuni animali “sono più uguali degli altri”, e che in questo paese è lecito uccidere a legnate un cittadino preso in custodia, applaudirne gli aguzzini e alzare il dito medio con orgoglio indolente. È lecito nascondersi dietro il pretesto fumoso del bene comune tutelato con qualsiasi mezzo e a proprio insindacabile giudizio.
L’abuso sistematico di potere – Aldrovandi, Uva, Magherini vanno ad aggiungersi alla lista delle vittime di Stato -, la latitanza dell’etica, l’onorabilità perduta della divisa sono come spine infilzate nei polpastrelli di una nazione amaramente autoindulgente che scagiona invece di punire.

C’è infine un punto basilare che si tende a trascurare regolarmente: le forze dell’ordine non sono chiamate unicamente alla cieca obbedienza al corpo di appartenenza, ma prima di tutto a difendere i cittadini e la Costituzione. Quando accade il contrario, quando il ribaltamento della morale è totale e qualunque dovere di rendiconto viene nascosto sotto il tappeto dell’omertà, quando questo modus operandi assume i tratti di una deforme coerenza la democrazia diventa un dileggio dei potenti, una battuta sporca che provoca risolini sommessi, e sciagurato è il paese che lo permette.