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Macerata, dieci anni online

Il direttore di “Cronache Maceratesi” Matteo Zallocco sul terremoto nelle Marche, nonna Peppina, il caso “Traini-Pamela” e le sfide in internet del giornalismo locale.
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Foto: Valentino Liberto/Salto.bz

L'unica vera paura della popolazione, dei cittadini qui a Macerata, sono le scosse di terremoto”. In questi anni è accaduto molto nelle Marche: dal fallimento della banca regionale al devastante terremoto dell'ottobre 2016, sino al giorno in cui, per le vie di Macerata, Luca Traini ha sparato ad alcuni passanti di colore. Voleva “vendicare” la morte di Pamela Mastropietro, uccisa da Innocent Oseghale. Mancava un mese alle elezioni politiche che avrebbero consegnato l'Italia a un governo dove Matteo Salvini e la sua Lega dettano legge. Ma all'ombra dei meravigliosi Monti Sibillini, i proclami xenofobi del vicepremier servono a ben poco: la ricostruzione procede a rilento, i borghi si spopolano, la pazienza è al limite. Uno striscione con la scritta “Insorgi Marcheè calato dalla torre di Visso il giorno del secondo anniversario dal sisma. Dalla parte dei cittadini è rimasta l'informazione online di “Cronache Maceratesi”, uno dei siti d'informazione locale online più letti d'Italia con una media consolidata di 65mila visitatori unici al giorno, in prima linea nel seguire la fase dell'emergenza e quella della ricostruzione post-sisma – scandali compresi, come quello del cantiere al campus dell'Euregio a Camerino.

Salto.bz: Mentre “salto.bz” festeggiava a marzo i suoi primi 5 anni di vita, a settembre “Cronache Maceratesi” ha compiuto 10 anni. Un traguardo importante per un progetto editoriale online.
Matteo Zallocco: Siamo andati avanti solo con sponsor, senza finanziamenti pubblici ma con due agenti che girano sul territorio. La sfida è quella: mantenere una struttura giornalistica investendo sulle persone – il 95% delle spese vanno sulle risorse umane – in un momento non facile per nessuno. Vedendo come stanno i media tradizionali, stiamo messi meglio noi. Da 5 anni siamo primi in Italia come indice di visibilità, ovvero il rapporto tra le visite uniche e il numero di abitanti della provincia di Macerata, 320mila. Non andiamo a caccia di visite, in primo luogo perché ormai siamo stabilizzati. Sono nate delle redazioni autonome ad Ascoli (Cronache Picene), Ancona (Cronache Anconetane) e Fermo (Cronache Fermane), anche se è difficile replicare lo stesso prodotto a livello di qualità.

Quanti siete e com'è strutturato l'impegno quotidiano in redazione?
Lavoriamo come un giornale, con una struttura redazionale. Siamo in sei, più un dottorando. L'età media dei redattori è tra i 30 e i 40 anni; c'è un corrispondente a Civitanova, un fotografo lì e uno qui a Macerata. Facciamo i turni per coprire l'intera giornata, dalla mattina alle otto sino alle dieci di sera, con una media di 40-50 pezzi al giorno, dipende da cosa succede. Mentre tanti aspettano e basta, noi attacchiamo pure, andiamo a cercare le notizie – come dovrebbe fare qualsiasi giornale, ma la maggior parte ormai fa solo ricezione di comunicati. Noi facciamo anche critica, abbiamo puntato molto sugli approfondimenti, sulle inchieste. Ne abbiamo fatte parecchie. Il “caso Banca Marche” è partito da qui, per mesi e mesi solo noi abbiamo scritto tutti i giorni di questo.

Riuscite a tenere sempre questo ritmo?
È molto più difficile dopo il terremoto, perché è cambiato tutto e l'economia pure si è fermata. È stato più complicato anche per noi, con tante aziende in difficoltà. Il terremoto si è inserito in un tessuto economico già profondamente segnato dalla crisi economica e dal 'crac' di Banca Marche, la “nostra” Banca Etruria – per quanto da noi non vi siano responsabilità politiche, ma di manager e consigli di amministrazione, industriali e presidenti di camere di commercio.

Come hanno influito sul vostro lavoro le vicende che hanno interessato la provincia di Macerata negli ultimi due anni, in primis lo sciame sismico nel Centro Italia?
Qui è cambiato tutto dall'ottobre del 2016. È aumentato molto il lavoro, perché prima bene o male seguivi i centri più grandi, Macerata, Civitanova, Tolentino... Da due anni il lavoro è cambiato: c'è da coprire tutto l'entroterra del “cratere” (l'area interessata dall'emergenza e dalla ricostruzione post-sisma, ndr) con comuni di due-tremila abitanti. Quest'anno ci sono stati pure i fatti di Macerata, prima ancora ci fu Banca Marche, ma la questione del terremoto è una questione di copertura fisica di un territorio dove non ci sono città grandi, con tanti piccoli comuni e pochi abitanti sparsi. San Severino, il più grande comune delle Marche, ha quaranta frazioni.

“Dopo il terremoto è cambiato tutto – anche il nostro lavoro”

Come si riesce a coprire un territorio così vasto?
Ci muoviamo da Macerata: sappiamo quando ci sono determinati eventi, dalla consegna delle “casette” (i moduli abitativi dei terremotati, ndr) alle visite dei politici. Ma c'è pure una persona fissa nell'entroterra. Con il terremoto è stato un lavoro di flash, comune per comune, con articoli corti sulla situazione e poi a fine giornata un pezzo di riepilogo della situazione, con un pezzo di critica.

Critiche fondate, a giudicare dalla ricostruzione che procede molto a rilento.
C'è una ricostruzione non ben affrontata, lentissima, o che ancora non c'è. Ci sono voluti due anni per le casette, per ben un anno e mezzo gli sfollati sono rimasti a vivere lungo la costa. Sono tornati da poco, da qualche mese, con le casette che dovevano arrivare a gennaio 2017. La cosa strana è che a livello nazionale è uscita poco l'emergenza nel maceratese, di quella che è stata nettamente la provincia più colpita. Questo perché non c'è stato né un morto – un morto diretto sulle scosse, perché morti legati al terremoto ce ne sono stati – né un simbolo come la cattedrale di Norcia. Da lì è diventato il terremoto di Norcia, eppure la provincia più danneggiata è stata questa, per numero di sfollati e per danni.

Umbria e Marche furono già colpite da un terremoto, ormai vent'anni fa.
Il terremoto del 1997 aveva colpito solo l'entroterra “vero” delle Marche, cioè la montagna. Questa volta è arrivato a centri molto più grandi, come Tolentino e San Severino. Quando gli sfollati sono tanti, 4mila per comune, più di 20mila totali, l'emergenza è grossa. Prima c'era stata Amatrice, ma la scossa più grossa dopo l'Irpinia è stata quella di Castelsantangelo sul Nera del 30 ottobre 2016. E Castelsantangelo è un paesino finito, secondo me è impossibile che lo ricostruiranno.

E qui si apre la questione di come cambia la geografia della provincia maceratese...
Abbiamo sempre fatto campagne in difesa dei Sibillini e dei popoli dei Sibillini, una ricchezza grande in termini di paesaggio e di tradizione. La ricchezza delle Marche è l'entroterra, le campagne che arrivano sino al mare, i paesaggi, le strade interne. Non c'è una città, ma tanti piccoli borghi che sono tutti gioiellini. C'è stato un difetto di promozione turistica nelle Marche. Quando ai maceratesi che si trasferiscono e vanno fuori chiedono “qual è la cosa che ti manca?” rispondono “la campagna”. È una civiltà contadina nata dalla campagna, la cui ricchezza è quella.

“La ricchezza delle Marche è la campagna”

Cosa si può fare per valorizzare tale ricchezza?
Ci sono state tante iniziative, come il festival “RisorgiMarche”, ma la vita di tutti i giorni non è fatta di una sola iniziativa. È stato importante a livello di sensibilizzazione, di riscoperta di alcuni territori montani molto particolari che nemmeno noi conoscevamo. Una bella cosa, però ecco, l'emergenza è un'altra.

Ovvero?
In montagna dovranno trascorrere l'inverno in casetta e container. Con un'emergenza del genere i giovani non restano: chi ha famiglia è rimasto a Civitanova, a Porto Sant'Elpidio, perché a livello lavorativo “lassù” non ci sono molte opzioni. Non è comodo farsi un'ora di macchina ogni giorno per lavorare. C'è un'emergenza sociale. Mentre gli anziani hanno fatto di tutto per tornare nella propria terra, perché non riuscivano a stare sulla costa.

Anziani come nonna Peppina?
Noi abbiamo tirato fuori il caso “nonna Peppina”, uno dei mille casi. C'era il personaggio, a livello nazionale lei è arrivata, però è solo un simbolo. Il simbolo di questi anziani che non vogliono mollare il proprio territorio. Questo è bello, ma l'altra faccia della medaglia è che i giovani non possono aspettare anni per vedere una ripartenza che non si sa se mai arriverà. E le scosse anche se minori sono proseguite per molto tempo. Ci sono state tante di quelle scosse attorno al quinto grado. Una cosa che è rimasta dentro tutti, che rappresenta una paura per tutti noi.

Come mai non ci sono state vittime? Ad Amatrice, in agosto, furono oltre duecento.
A livello di potenza le scosse più forti ci furono a ottobre. La vera fortuna è che ci fu il sisma della sera del 26 ottobre, alle 19, che fu una sorta di “scossa d'avvertimento”. Lì molte case diventarono inagibili. Quattro giorni dopo, la mattina del 30 ottobre, in tutte quelle case non c'erano più persone, altrimenti con tutto quello che è crollato i morti sarebbero stati migliaia. Alla prima scossa ci sono stati molti crolli, Visso è crollata allora: alla seconda molta gente non stava più in quelle case.

Si accendono i riflettori, vengono puntati sull'emergenza, arrivano i politici, arriva la stampa, dopodiché puntualmente l'attenzione cala, sino a quando se ne dimenticano pure le istituzioni: sta succedendo questo nelle Marche?
Paradossalmente per i fatti di Macerata, a febbraio, Pamela e Traini hanno avuto molto più risalto nazionale. Fatti che hanno sì sconvolto la città, ma il problema più grande qui è stato il terremoto che ha quasi distrutto la provincia. Non è quasi mai passato il messaggio a livello nazionale, per il motivo dei morti e del “terremoto di Norcia” anche se a pochi chilometri di distanza c'erano Visso, Ussita, Pieve Torina completamente distrutte – e comuni di quattromila abitanti a testa.

Ci spieghi meglio il “caso” Traini-Pamela dal suo punto di vista.
È successo a febbraio, da lì è stata cavalcata dalla politica in vista delle elezioni di marzo. Macerata è diventata palcoscenico, teatro della campagna elettorale. Era partito a bomba Salvini – stoppato però da Traini che era candidato della Lega a Corridonia – ed è stato un via vai delle forze politiche con meno visibilità, CasaPound, ForzaNuova, ci sono stati scontri. Un clima molto teso, diviso in due ideologie, due visioni, fascismo e antifascismo. C'è un problema, sì: in giro per strada la risposta è “Traini ha sbagliato, però...”, con quel “però” che giustifica un fatto. Quando va bene, perché quando va male qualcuno dice “l'avrei fatto anch'io”. Che nasconde un problema sociale.

“Macerata è diventata teatro della campagna elettorale”

Raccontare tutto questo è stato difficile?
Non tanto a livello di cronaca. È stato difficile per il clima ideologico: se parlavi di Pamela, anche solo a livello di cronaca, sembrava che ti schierassi su una parte ideologica, ma la cronaca è altro. La città era divisa tra Pamela e Traini, come la politica: se parli con persone di centrodestra non nominano mai Traini, ma Oseghale. Se vai alle manifestazioni antifasciste – che vanno benissimo, sono sacrosante – parlano solo di Traini, ma non del problema dell'accoglienza, dal momento in cui arrivano i migranti a quando vengono abbandonati per un vuoto legislativo. Oseghale aveva fatto un programma d'accoglienza, lo ha finito e abbandonato.

Il problema è davvero l'accoglienza?
Ci sono tanti migranti che vengono qui per lavorare. Chi cura il programma prende 35 euro al giorno, all'immigrato vanno 3,50 euro al giorno. Il programma sarebbe per l'inserimento sociale, ma nella maggior parte dei casi non c'è inserimento. Anche di questo abbiamo scritto, del “business dell'accoglienza” che produce fatturati enormi: 40 milioni di fatturato, una delle aziende principali in questa provincia. Se tu parli dell'accoglienza, passi da una parte ideologica. Se invece parli contro Traini – cosa abbastanza ovvia, per uno accusato di strage – passi dall'altra parte. C'è stato uno schieramento di due barricate. E tu, per raccontarla, ti trovavi in mezzo.

Lasciate in pace Macerata”, recitava un suo editoriale.
Ci siamo trovati al centro dell'Italia per una campagna elettorale. Se non si votava a marzo, non ci sarebbe stata tutta questa attenzione sulla città. I fatti in sé sono stati enormi, ma l'ingresso della politica a gamba tesa su questi fatti, e soprattutto la mancanza di equilibrio della politica, ha fatto il resto.

E dopo le elezioni come si è evoluto il clima in città?
Il clima in città è tornato abbastanza normale negli ultimi mesi. Macerata non è quella dei fiori suoi luoghi della sparatoria di Traini. Il dato politico però è che la Lega qui ha preso il 21%. La Lega prima non esisteva, è arrivata al 20% nonostante Traini. Questo significa che quando c'è paura – perché qui la reazione è stata la paura – i voti vanno in quella direzione. Gli elettori neanche vanno a vedere che Traini era candidato della Lega qui vicino. Certo, c'è stato uno spostamento di voti di Forza Italia sulla Lega... e poi ci sono stati i social.

Le Lega ha fatto un buon risultato anche nelle zone terremotate, per quale ragione?
Lì ci sono state grosse mancanze del governo di centrosinistra. Era abbastanza scontato che il PD non poteva prendere voti, visto che non aveva fatto quasi nulla per la ricostruzione, ma a Macerata città il terremoto è arrivato relativamente, non ci sono stati i danni e tutti quegli impatti negativi dell'entroterra. Non sono stati voti per l'emergenza terremoto, ma per Traini: l'effetto Traini anziché fermare Salvini – a parte fisicamente perché non è potuto venire a fare i comizi qui nonostante fosse partito a bomba subito dopo Pamela – l'ha rafforzato.

Dicevamo: a consolidarne il consenso ci hanno pensato i social network?
L'altro problema sono i social, certamente, dove passa il messaggio semplice, la foto-notizia, e questo ha portato consensi a Salvini. Facebook è il più grande male, gira tanto di quello schifo. La distinzione la fai, ma non tutti capiscono la distinzione, e c'è una fascia di popolazione che non distingue, non inquadra la differenza. La forma d'informazione via social è talmente veloce e non approfondita, che un articoletto molto “leggero” – dall'ondata di maltempo al vip sulla spiaggia – fa 40mila letture mentre un'inchiesta seria, un approfondimento ben fatto su una questione importante, ne fa 5mila. Per continuare a fare inchieste devi avere una persona che fa solo quello, devi avere la forza di pagare una persona in più.

Lo stesso vale per la figura del community manager?
Noi di “Cronache Maceratesi” siamo gli unici in Italia ad aver introdotto la certificazione dei commentatori, con l'invio della carta d'identità, affinché chi scrive si assuma la responsabilità. Prima magari facevi un bell'articolo, una bella inchiesta, e poi ti arrivava un commento anonimo a caso. Ora almeno sai il nome vero, sai chi è. A livello locale, se qualcuno usa un nick-name per commentare senza volto, lo potrebbe fare col fine di attaccare qualcuno senza metterci la faccia.

“Credo molto nella forza del giornalismo locale”.

Quali sono le sfide di chi fa informazione?
La base è la struttura giornalistica, e l'importanza del territorio: ci vogliono i lettori. Credo molto nella forza del giornalismo locale. La gente guarda più a quello che gli sta vicino. E, viceversa, i giornali nazionali non possono avere riferimenti su tutto il territorio, con persone del posto. Per fare lo stesso lavoro dovrebbero avere inviati in tutta Italia. Rispetto al cartaceo, abbiamo il vantaggio della multimedialità – che viene dopo la velocità e prima dell'interazione tra le potenzialità di internet – e il mondo è raccontato sempre più per immagini. Ma la sfida del giornalismo è quella di continuare a trovare il tempo per fare inchiesta vera, la parte bella del giornalismo che nemmeno Repubblica e Corriere fanno più. Trovare notizie, svelare cose che altrimenti resterebbero insabbiate, è uno dei principali ruoli dell'informazione.