Society | Covid 19

Si vis pacem para bellum

Vorrei condividere il testo impressionante scritto da Andrea Calistri, caro amico ed ex compagno di lavoro, che riassume la propria esperienza recente con il virus.
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Terapia intensiva, Covid
Foto: Andrea Calistri

Un'esperienza che non dimenticherò mai...perchè scrivere questo articolo, per chi ancora non crede che questo virus sia come ce lo presentano come in tv

Se vuoi la pace preparati alla guerra scriveva lo scrittore romano Vegezio. Bè anche io ho vissuto la mia guerra e finalmente posso raccontarla.

L’antagonista? Il COVID-19 il virus più democratico che io abbia mai conosciuto.

Superata la prima ondata ti senti forte, a te non ti ha preso, guardi le statistiche, cosa sono 300.000 casi in Italia, siamo 60.000.000 di abitanti…  poi arriva l’estate, tutti liberi vai al mare, pochissimi casi, il peggio è passato, torneremo presto alla normalità.

Tornato a casa sono distrutto, ma fiero di quella maratona, penso, se avessi avuto il covid col cavolo avrei camminato così tanto… passano i 2 giorni, arriva la risposta POSITIVO. Mi casca un meteorite in testa, avverto la famiglia, io ero già in isolamento in camera, un senso di sconforto entra in casa mia, chiamo il medico che con estrema superficialità mi dice semplicemente di prendere tachipirina e mi prenota il tampone di controllo per la settimana successiva, gli dico “mi scusi, mi sono appena ammalato sicuro che non si può fare niente? “ la risposta è no… credetemi mi ero già quel giorno promesso che avrei cambiato il mio medico. Il giorno successivo chiamo la continuità assistenziale che con professionalità mi indicano il da farsi. Mi avrebbero poi chiamato la mattina dopo per accertamenti e rilascio della cura.

Tra parentesi mia moglie si ammala.

Sabato 31 ottobre

Il giorno più brutto se vogliamo della mia avventura. La mattina febbre a 39, continuo a prendere tachipirina, ma la bestia dentro di me scalpita, e non si arrende… ricevo una chiamata con lo sconosciuto, sono loro della continuità assistenziale, mi chiedono di camminare per 5 minuti e poi sedermi e misurare saturazione che a riposo è 95… (tutta la settimana a 97/98) sotto sforzo 85… torna su ma già i primi segnali arrivano… sarebbero venuti nel pomeriggio per darmi la cura… cortisone, eparina, e antibiotico che da quel che ho capito serve a poco… arriva tardi e riesco a prendere quanto indicato solo la sera… ore 22 guardo la saturazione 89, la febbre a 39,5 non resisto più, dico basta non posso aspettare, è arrivato il momento… chiamo il 112, che tra l’altro, questo è un aneddoto che mi fa ridere adesso col senno di poi, mi dicono che dovrei sentire il mio medico, per una legge che non ho capito lui dovrebbe indicarmi di farmi ricoverare, certo avendo un medico fantastico come quello che ho io… sarei chissà dove ora. Decido di proseguire, chiamo ambulanza, arriva dopo 40 minuti, ottimo direi, dopo un check da parte di un infermiere mi chiede se l’ospedale Sacco va bene… eccome se va bene, dentro di me pensavo basta non andare all’ospedale di Saronno visto i precedenti non proprio idilliaci. Saluto mia moglie pregando di poterla rivedere ancora.

Scendo praticamente a piedi (la mentalità da Superman non me la tolgono) entro in ambulanza e vivo il viaggio che durerà 45 minuti come se fosse una gita… non volevo pensare a niente solo che finalmente potevo curarmi… forse comincio mentalmente a rilassarmi.

In pronto soccorso

Bè posso dirlo adesso, quello che vediamo in televisione è vero, barelle di persone ovunque, infermieri che corrono come pazzi portando barelle in giro e cercando di risolvere qualsiasi problema in una condizione assurda. Arrivo, mi misurano la febbre, e mi portano in una stanza singola, mi attaccano mille fili, partiamo con l’emogas, non lo auguro a nessuno, ti ravanano nel polso per trovarti l’arteria e farti un prelievo, ma se non la trovano ti senti l’ago che ti gratta l’osso. Mi vedo arrivare una macchina strana sembra un dinosauro, mi mettono una lastra di metallo fredda dietro la schiena, ok stavo facendo una lastra ai polmoni.

Da qui comincia il mio decorso, arriva il medico, e mi indica che mi avrebbero messo il casco, dico ok quello che si deve fare si fa basta che mi rimandiate a casa, montano questo strano oggetto entro con la mia testa, e appena lo attaccano parte un aspirapolvere di ossigeno che ti viene pompato nei polmoni, il casco è claustrofobico, ma lo si sopporta, questo ed altro per poter tornare a casa. Avevo capito che la bestia si era insinuata nei miei polmoni, e si mi ero preso la polmonite da COVID-19. Lo pneumologo mi fa un altro regalo, si metta prono per tutta la notte, certo, con quel marchingegno in testa è facilissimo dormire prono su una barella. Sarà una notte di inferno… unica consolazione, con il casco la saturazione va a 100… anche troppo dico… passo 3 giorni in Pronto Soccorso l’ultimo in triage.

Il triage è come il purgatorio nella Divina Commedia di Dante. Siamo nella stessa stanza almeno in 15, vecchi giovani, chi col casco chi senza… la notte è un via vai di barelle, alcuni non ce l’hanno fatta. Io non guardo, non mi interessa in questo momento solo a me stesso devo pensare, vedo la faccia di mia figlia, devo rivederla prima possibile e questo è stata una delle tante motivazioni che mi sono dato per tutto il decorso.

L’arrivo in reparto

Finalmente mi dicono che mi avrebbero trasferito, anche perché dove stavo prima c’era una dottoressa a cui avrei volentieri staccato una rotula a morsi… ha avuto il coraggio di chiamare mia moglie perché secondo lei facevo i capricci e dovevo farla finita perché il casco non me lo avrebbero tolto. Ora i miei capricci sono stati nell’ordine mi scusi ma per quanto secondo lei devo tenere il casco, e successivamente mi può dare una bottiglia d’acqua. Se me la trovo davanti…

Arrivo al padiglione 56 piano 2, e credetemi il piano fa la differenza, visto che nello stesso padiglione c’è terapia intensiva e sub intensiva… il piano 2 era semplicemente il piano delle malattie infettive. Mi portano con l’ambulanza dal pronto soccorso al padiglione. Saliamo camera 5, finalmente una camera decente, doppia con bagno (che tanto non avrei usato, il mio migliore amico è stato un pappagallo).

Il compagno di sventure Paolo era già in fase di guarigione, io comunque non gli avrei parlato molto visto il casco… passano 3 giorni e si intravede la prima luce… il casco solo a cicli… il resto con la maschera reservoir, simile al casco per potenza di ossigeno, ma con una libertà che in quel momento era vitale per me.

Arriva il giorno della TAC ai polmoni, dobbiamo tornare al pronto soccorso, arrivano con la barella, gli dico no voglio la sedia a rotelle non sono moribondo. Scendiamo a sedere e non supino, mi alzo entro in ambulanza, mi aggrappo a un manico nel tetto dietro lo stacco direttamente… ops.. la forza bruta sta tornando… vado a piedi dentro il pronto soccorso, mi avrebbe confessato l’inserviente dell’ambulanza che sarei stato l’unico che sarebbe andato a piedi nella sala tac… gli altri tutti in barella… (li il petto si è gonfiato come quello di un gallo cedrone)…saturazione sempre buona tanto che da li a poco sarei passato alla venturi.

Finalmente dopo i 5 giorni di digiuno causa casco si comincia a mangiare. Il cibo dell’ospedale è fantastico ho mangiato per due settimane fagiolini come contorno, la fantasia dello chef gli era rimasta sotto i piedi. Cambia il compagno di avventure Paolo se ne va a fare fisioterapia a Bergamo, non cammina più… la bestia miete anche questo tipo di vittime… arriva un vecchietto anche lui con il casco. Una notte da incubo, urlava, si strappava il casco, gli infermieri che tentavano di calmarlo… saturimetria a 85, la notte stessa se ne sarebbe andato e non l’avrei più rivisto.

La mia saturazione invece è sempre buona, cominciamo a diminuire la 5 di ossigeno della venturi... È una maschera particolare con dei perni colorati che indicano la quantità di litri di ossigeno al minuto che ti immette e la % di aria Vs ossigeno che ti viene immessa, va da 12 litri a 4 litri… inizia la scalata…

La mattina dopo arriva Felice, nuovo compagno in camera, autista della Brianza, lui sta bene saturazione a 99, io nel frattempo continuo il mio percorso di guarigione ogni due giorni mi abbassano ossigeno e la saturazione tiene (Comincio a risentirmi superman).

Stavolta sono io che vengo spostato precisamente il sabato 14 novembre, cameretta singola non potevo chiedere di meglio. Il pronto soccorso chiede camere in continuazione, c’è chi ha più bisogno di me e il reparto ha bisogno di letti. I feed back da parte dei medici sono estremamente positivi, gli infermieri fantastici, e a parte la telefonata serale con la famiglia tutto questo ti motiva tantissimo e ti da la forza per arrivare alla fine.

Arriva il momento che i vestiti scarseggiano e devi chiedere alla moglie, nel frattempo negativizzata, di fare rifornimento. Vengono a portarmi il tutto e lei decide di portare anche mia figlia… la vedo dal vetro che divide la camera al corridoio. Le emozioni miste a non so cosa partono come i fuochi d’artificio a Capodanno, la saluto, come va via scoppio a piangere come un pazzo. Mi manca, era un mese che non la vedevo, come quanto mi manca la mia vita prima dell’inizio di questa brutta avventura.

19 novembre

Altro giorno che mi ricorderò per tutta la vita perché in un modo o nell’altro mi è stata ridata la libertà. I medici, come tutte le mattine, vengono a visitarmi, trovano che a 4 litri ho saturazione 97… decidono di togliermi l’ossigeno, di li in poi avrei respirato con i miei polmoni e non più con artifizi vari, dicono proviamo a vedere come va. Va bene perché adesso sono un leone e devo uscire da questo posto, partono i 3 giorni di test… primo giorno saturazione 95/96 regge bene tranne la mattina e quando cammino per la stanza… dicono va bene… ottimo, passiamo al secondo giorno, la saturazione si assesta a 96 e nei momenti di fatica regge. Tranne la mattina non so perché… si passa al terzo giorno ma quello che ancora di più mi motiva e mi stressa si comincia a parlare di dimissioni… saturazione a 97 e si decide di fare tampone.

Il giorno dopo il primo responso, debolmente positivo, se ne fa un altro. Non ce la faccio più a stare li devo tornare a casa. Arriva il lunedì 23 novembre mi faranno comunque un altro tampone il terzo in tre giorni, le narici cominciano a soffrire, si contano i minuti non più le ore per tornare finalmente a casa dai tuoi. La mattina il medico arriva, annulla il tampone, e mi pone davanti una scelta, tornare a casa ed aspettare che l’ASL ti faccia il tampone di controllo o stare in ospedale ancora questa settimana. La scelta mi è sembrata talmente facile che al pomeriggio sarei stato riaccompagnato a casa e finalmente avrei potuto riassaporare quel senso di libertà che diamo per scontato ma che per me significava tantissimo.

Finalmente a casa

Alle 15,30 del giorno stesso un simpatico autista mi viene a prendere in stanza, mi accompagna giù nel pulmino che mi avrebbe riaccompagnato a casa, mi rendo conto di non essere solo, siamo in 5 e, figurati, io sarei stato l'ultimo ad arrivare a casa.

alle 17,30 arrivo davanti la mia porta di casa, non mi rendo conto di niente, vedo solo mia figlia emozionata che vuole abbracciarmi ci mettiamo mascherine e ci abbracciamo virtualmente (fino a tampone negativo anche se loro negativizzate ho evitato di avere contatti e mi sono isolato in casa), subito dopo avrei ordinato pizza, mangiata come se fossi stato in un ristorante gourmet, in quel momento mi rendevo conto che, quello che consideriamo la routine, per me era qualcosa di guadagnato, di agognato, importantissimo.

non restava altro che aspettare il giovedì successivo per fare il tampone di controllo e sperare che fosse negativo. E così è stato, il giovedì mattina mi sono recato alla base NATO di Solviate Olona, mezza Lombardia era li a fare il tampone, l’ansia sale come già da tutta la settimana succede, ma finalmente come uno TZUNAMI arriva a sorpresa la risposta già la sera dopo, NEGATIVO, scoppio in un pianto liberatorio, finalmente la bestia mi aveva liberato. La mia nuova libertà poteva cominciare senza aver avuto dalla bestia qualche regalino di Natale gentilmente dati e che ho dovuto accettare. Ma niente a confronto di quello vissuto durante il mese precedente. Adesso posso godermi la mia famiglia, la vita normale, il mio divano, la mia scrivania… il resto non ha alcuna importanza ora.

Conclusione

Cosa mi ha lasciato questa esperienza, tantissimo. Prima di tutto una esperienza del genere ti cambia, ti cambiano le priorità, la visione che hai della vita, dei tuoi familiari, delle cose che ami, che davi per scontato, e che, in un momento possono esserti portate via senza nemmeno renderti conto… ora sia chiaro io il rischio di essere intubato, ascoltando i dottori, non l’ho mai avuto, solo perché ho chiamato in tempo il 112, lo avessi fatto il giorno dopo non so cosa sarebbe successo.

Questa malattia ti lascia strascichi più o meno importanti, in televisione non ne parlano ma chi torna a casa non è guarito del tutto, soprattutto chi ha vissuto l’esperienza in terapia intensiva. Chi, come me, sta allettato per 1 mese quando torna a casa ha il tono muscolare di un plancton, ha resistenza fisica pari allo 0, farsi una doccia equivale a 3 ore di allenamento professionistico di calcio, e quindi serve un recupero graduale, soprattutto per quanto riguarda i polmoni. Affidarsi a professionisti è fondamentale per non avere problemi a lungo termine. L’infezione a cui sei andato incontro ha sicuramente toccato altri organi del tuo corpo, fegato, reni, cuore, e un controllo è fondamentale.

E poi, lo dicono tutti, ma non posso esimermi dal ringraziare i medici, gli infermieri, le inservienti del padigilione 56 piano 2 dell’ospedale Sacco di Milano che mi hanno curato e rimandato a casa come promesso… persone fantastiche con cui puoi instaurare un minimo di rapporto, una chiacchera, un conforto… sono persone che sotto stress danno l’anima per rispettare il giuramento di Ippocrate.

Concludo dicendo che chi ancora non riconosce questa malattia è un pazzo che ha bisogno veramente di un aiuto, di supporto psicologico, quello che ho visto e che ho vissuto non è altro che il risultato di un epidemia devastante, gestita malissimo, e che solo vivendola può dare il senso di quanto sia grave ammalarsi di COVID per lo meno per quel 5% che viene ricoverato.

Adesso mi godo quanto di guadagnato, forse questo Natale sarà veramente diverso, più profondo, forse il primo vero Natale che ho passato nella mia vita rivalutando i valori veri sia dal punto di vista religioso che familiari, questo è l’importante, il resto a tempo debito.

Andrea Calistri