Culture | 2015 - 2016

La fine e il principio (3)

Piccolo abbecedario dell'anno che sta finendo e di quello che verrà.

Dopo la prima e la seconda, arriva anche la terza ed ultima puntata di questo piccolo viaggio tra le lettere del nostro alfabeto.

 

O come ospedali. Non sapremo probabilmente mai se, tra un brindisi di Capodanno e l'altro, il nuovo padre-padrone della sanità altoatesina,Thoma Schael, abbia trovato il tempo per invidiare, in segreto, il suo collega di Trento, Luciano Flor, che, allo scoccare della mezzanotte, novella Cenerentola, ha piantato in asso, proprio a metà di un giro di valzer, il presidente trentino Ugo Rossi e si è involato verso la direzione dell'azienda sanitaria di Padova. Certo è che l'illustre manager sanitario catapultato a Bolzano nel corso del 2015 per prendere il controllo di una realtà ogni giorno più difficile da gestire, si deve essere reso conto che dietro la facciata di un settore perenne vanto dell'autonomia altoatesina si nascondevano molte più magagne di quante avesse potuto sospettare. Il tutto in un quadro politico complessivo nel quale l'applicazione delle normative nazionali e internazionali (si pensi solo alla nuova direttiva sugli orari e i riposi del personale sanitario) lascia sempre meno spazio alla libera gestione delle risorse e nel quale, sulla sanità altoatesina, vengono fatti gravare pesi del tutto estranei al settore stesso come quello di mantenere vitali e abitate le periferie. Problema quest'ultimo di notevole importanza ma del tutto separato dall'erogazione dei servizi essenziali per la salute. L'anno appena iniziato non sembra promettere grandi miglioramenti. Ormai, nel comparto, è in atto una sorta di "Bellum omnium contra omnes". In questo panorama Schael si muove cercando di imporre a tutti i costi la propria volontà e le proprie soluzioni. Secondo una delle voci che si rincorrono tra corsie e ambulatori avrebbe testualmente affermato in una riunione: "chi non è con me è contro di me". Il motto ne richiama pericolosamente un altro: "Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi". Da ricordare al manager sanitario che l'autore fu puntualmente accontentato.

P come profughi. Nel luglio del 1981, dopo alcuni giorni di piogge incessanti, il fiume Adige esondò a nord dell'abitato di Salorno che fu parzialmente sommerso. Dall'esperienza di quei giorni si è sviluppato, negli anni e nei decenni successivi il sistema altoatesino di protezione civile, intesa come organizzazione per la gestione di eventi catastrofici ma anche come strumento di prevenzione. Secondo esempio: negli anni 60 e 70 furono diverse, purtroppo, le disgrazie che coinvolsero gruppi di alpini in esercitazione, travolti e decimati dalle valanghe. Fu allora che iniziò  a prendere corpo un sistema, denominato Meteomont, con il quale viene assicurato un monitoraggio continuo proprio per prevenire i casi di morte bianca. Cosa c'entra tutto questo con i profughi? C'entra, c'entra. Forse, nel 2016, riuscirà a passare finalmente il concetto che quella delle persone in arrivo alle nostre latitudini da terre disgraziate lontane non è un'emergenza che si possa catalogare tra le cose che finiranno, presto o tardi. È un fenomeno che è iniziato e che probabilmente non finirà mai più. Lo dice una semplice analisi di una realtà globale nella quale la sovrappopolazione, le carestie acuite tra l'altro dai cambiamenti climatici, le guerre sospingono ineluttabilmente questi disgraziati verso i paesi come il nostro dove ci sono cibo, cure e assistenza, sicurezza. Dopodiché le alternative sono due: o far finta di nulla, illudendosi che prima o poi, magari costruendo qualche muro o qualche recinto di filo spinato, l'invasione verrà bloccata, o decidere di gestirla non più come un fenomeno imprevisto dal quale farsi sorprendere ma come una realtà che farà parte della nostra esistenza e che modificherà progressivamente la realtà sociale e culturale in cui viviamo. Con buona pace degli ultimi tristi epigoni della purezza della razza, la semplice osservazione delle curve demografiche e dell'insopprimibile spinta di questi popoli a cercare una vita migliore è destinata a accentuare il carattere multiculturale e multirazziale della nostra società. Gli abitanti di terre come l'Alto Adige, che hanno la fortuna di avere un'organizzazione sociale ben strutturata, farebbero bene a mettersi in testa che, come avvenne per le alluvioni e le valanghe, anche l'invasione dei migranti non è una parentesi da chiudere al più presto ma una realtà con la quale dovremo convivere probabilmente nei prossimi decenni.

Q come qualità della vita. Anche qui, come nel caso delle statistiche sull'ordine pubblico (vedi lettera F) una considerazione generale va fatta. Se, da quando alcuni quotidiani hanno preso a redigere e a pubblicare queste classifiche, e sono passati almeno vent'anni, Bolzano e Trento risultano sempre e comunque in vetta o almeno nelle primissime posizioni, un motivo ci sarà pure. Per un anno o due gli indicatori possono essere falsati o male interpretati, ma sul lungo periodo il dato è francamente incontestabile. Per molte ragioni, quindi, nelle ricche province dell'autonomia speciale si campa meglio che altrove. Con buona pace di chi invece, molto spesso per interessi di bottega elettorale, vorrebbe una realtà dipinta a tinte fosche. Il problema, semmai, è un altro e qui torna il riferimento al buon vecchio Trilussa. È chiaro a tutti che il principale motore che spinge in alto nelle graduatorie le nostre realtà è costituito da una massa spesso sovrabbondante di denaro a disposizione di enti pubblici e privati. L'altra faccia della medaglia, ed anche qui le statistiche ci ripetono la stessa solfa da più di cinquant'anni, è costituita dal record dei prezzi dei beni di consumo, delle case, dei terreni, di molti servizi. Solo che tra chi si trova a vivere in questa realtà ci sono coloro i cui introiti sono in un modo o nell'altro agganciati al trend generale del benessere e quelli, invece, che guadagnano stipendi in linea con una media nazionale fatta di realtà forse meno felici ma anche meno costose. Sono due mondi che si vanno allontanando sempre più l'uno dall'altro e che un welfare in salsa locale cerca affannosamente di tenere legati l'uno all'altro.

R come referendum. Assieme alle comunali bolzanini il referendum ( o i referendum?) sarà l'altro passaggio obbligato per decifrare gli sviluppi politici in provincia di Bolzano nel corso dell'anno che sta per iniziare. Si dovrebbe votare, sempre in primavera, sulla bizzarra questione dell'aeroporto di Bolzano. È una promessa che il neo presidente della provincia Kompatscher ha fatto in campagna elettorale e che intende mantenere. Solo che nel frattempo la questione aeroporto è stata impostata in tutt'altra maniera. Il referendum in pratica dovrebbe decidere se avviare una sorta di sperimentazione quinquennale, al termine della quale sarà chiaro se lo scalo bolzanino potrà o meno avere una sua sostenibilità economica e una sua utilità complessiva. Come a dire che i cittadini non verrà chiesto di decidere un sì o un no sul progetto della struttura di San Giacomo, ma solo di autorizzare o meno l'esperimento. Ne vale veramente la pena? All'orizzonte, però, si profila, inopinatamente, un altra consultazione popolare. Quella che il commissario prefettizio che amministra attualmente Bolzano potrebbe indire sul tormentone Benko. È bellissimo vedere come anche i pasdaran più accaniti della democrazia diretta, di fronte all'ipotesi in questione, abbiano iniziato a sollevare obiezioni e dubbi, parlando di tempi ristretti e di scarsa informazione. Sarebbe come a dire che dopo un dibattito che dura da più di due anni, il popolo non è ancora preparato a decidere. Forse dietro c'è il timore che i bolzanini possano clamorosamente sconfessare le posizioni di chi, al tycoon austriaco, ha fermamente deciso di sbarrare la strada.

S come Stocker. Dubbi non possono esservene. La lettera S è sicuramente sua. L'anno appena terminato è stato attraversato dall'assessora Martha Stocker a passi impetuosi e con piglio tanto decisionista da risaltare nettamente in un governo provinciale che di decisionismo, almeno per ora, non ne ha messo  in mostra tantissimo. Una cosa è certa. Lei c'è. Che si tratti di riportare all'ovile di turbolenti e riottosi abitanti delle periferie più lontane, imbufaliti per la sottrazione di qualche reparto ospedaliero o che si tratti di marciare fieramente con qualche centinaio di cappelli piumati all'annuale celebrazione dei bombaroli che si svolge a San Paolo, Lei c'è. Se per qualche inghippo burocratico non ci sono letti sufficienti per infreddoliti senzatetto, l'assessora piomba alle undici di sera sul luogo del misfatto, per verificare e provvedere. Si è presa, nel corso dei dodici mesi, anche la quota di improperi destinata ai suoi colleghi di giunta che invece preferiscono rimanere sullo sfondo e farsi avanti solo in occasioni festose. Anche per lei il 2016 non promette granché meglio rispetto all'anno appena concluso. Però pare avere la voglia e la grinta per tirare avanti, sfidando venti e correnti contrarie

T come trattato De Gasperi Gruber. A settembre saranno giusto settant'anni, da quella data e da quella firma che, piaccia o no, ha cambiato per sempre il corso della storia politica dell'Alto Adige. Resta da vedere solo se, per l'occasione, Bolzano riuscirà ad evadere da quel misto di indifferenza e sotterranea ostilità con il quale ha sempre ricordato l'avvenimento. Tra Salorno il Brennero, si sa, il Trattato ha sempre raccolto, sia nel mondo tedesco che in quello italiano, più critiche che plauso. Solo negli ultimi anni, con molta timidezza si è cominciato a considerarlo per quello che: la pietra fondante su cui andrebbe costruito il progetto di un'autonomia che sia veramente strumento di convivenza tra tutti coloro che coesistono nella stessa realtà geografica. Una timidezza che giustifica poi le diffidenze e i furori nazionalistici che, proprio contro quell'autonomia si concentrano da l'una dall'altra parte. Celebrare degnamente un anniversario potrebbe essere in che modo per fare pace con la storia e per guardare avanti nel modo giusto.

U come Unione Europea. È una sorta di grande fratello, lontano e severo, poco incline a farsi commuovere dal racconto delle ingiustizie storiche, sicuramente meno ricattabile sul piano emotivo dei genitori italiani e austriaci. Inevitabile che alla fine qualche problemuccio venga fuori. Occorre stare attenti ai destini della concessione autostradale e ci sono sempre gli esami di riparazione da sostenere nella bruttissima storia del mal uso dei fondi europei. In quel caso si è veramente toccato con mano come l'arrogante pregiudizio sulle indefettibili superiorità dell'amministrazione locale rispetto a quelle di tutto il resto del mondo potesse essere costruito, in qualche caso, su sabbia molto friabile. E l'Europa ci osserva.

V come vigneti. Perché un vigneto di modesta schiava (Vernatsch) deve costare molto di più della stessa superficie coltivata a Brunello di Montalcino? E perché a Bolzano ci sono negozi vuoti da trent'anni i cui fitto non cambia di un centesimo? Perché il prezzo della benzina inizia a salire man mano che da Verona si procede verso nord (dentro o fuori dall'autostrada è lo stesso) e ricomincia a scendere solo quando si supera il confine? E perché il barista cui chiedo un caffè mi guarda dubbioso e mi dice "vuole anche un bicchier d'acqua" o, se ordino un aperitivo, con uno sguardo presago di imminenti sventure mi chiede "vuole anche delle patatine"? Perché il parcheggio prospiciente la stazione ferroviaria di Bolzano chiude alle otto di sera? E perché, dal 1859 ad oggi, i borgomastri austroungarici, i podestà fascisti e i sindaci della prima e della seconda Repubblica non sono riusciti a scavare, in Piazza della stazione, quei venti metri di sottopassaggio indispensabili per evitare il perenne garbuglio di pedoni e automobili e mezzi pubblici che paralizza una buona fetta del centro storico? Avremo risposta nel 2016 ad almeno alcune di queste domande o ad esse se ne aggiungeranno solo altre? Ah saperlo!

Z come Zeller vs. Ebner ( o Ebner vs. Zeller). Qui ci vorrebbe veramente la penna di un Dumas (padre) per raccontare con i colori e i ritmi di un ottocentesco feuilleton la trama avvincente dello scontro che ha acceso le polveri del mondo politico sudtirolese nel corso dell'anno appena finito. Oppure ci vorrebbero gli sceneggiatori di qualche serie americana come Dallas per disegnare le inquadrature di una vicenda tutta da seguire. In effetti, nel copione, non manca nulla. Antiche alleanze bruciate. Duelli all'arma bianca (nel senso delle pagine su cui scrivere accordi parasociali ed emendamenti parlamentari) agguati e sfide. Da una parte l'(ex) enfant  prodige della pattuglia parlamentare sudtirolese, l'uomo che sussurrava ai sottosegretari. Di fronte la gloriosa corazzata di una casa editrice ben radicata nella convinzione che i propri interessi e quelli del popolo sudtirolese debbano per forza coincidere. La battaglia a quanto pare è appena iniziata e difficilmente terminerà presto. A noi, spettatori, non resta che accomodarci in poltrona e puntare il telecomando. Via con la sigla!