Ex Monopolio Occupato – un libro
La presentazione ai media c’è stata una mattina, rapida, davanti al Museion, un lunedì di dicembre: il tutto si svolgeva fuori, all’aria aperta, perchè il museo di arte contemporanea di Bolzano, aperto da quasi 11 anni ormai, come tutti gli altri musei in Italia osservava il proprio giorno di chiusura. Ma era importante farla lì, esattamente laddove sorge questo edificio perché, lì, quarant’anni prima, si era lottato tanto per creare un centro di cultura negli allora dismessi locali del Monopolio di Stato – un tempo incaricato a distribuire sigari, sigarette e pacchetti di sale - dopo che la proprietà era passata al comune di Bolzano. Dico appositamente “centro di cultura” e non un generico “centro culturale e sociale”, in quanto il volere era di creare la sede e lo spazio di azione di oltre venti associazioni culturali facenti parte di tutti e tre i gruppi linguistici presenti in Alto Adige. Tra questi c’era innanzitutto il Kulturzentrum a cercare un luogo in cui fare teatro, musica, cinema, ma anche punto di ritrovo per i cittadini, grandi e piccoli, visto che a cavallo tra gli anni settanta e ottanta non era facile trovarli, questi luoghi…
Quella fredda mattina di dicembre davanti al Museion si è presentato il volume appena uscito con la casa editrice Alpha Beta Verlag, OCCUPATO / “ex Monopolio” in via Dante-Str. 6 /BESETZT. 40 anni dopo, 40 Jahre danach, a cura di Dominikus Andergassen, Paolo Crazy Carnevale e Martin Hanni. I primi due c’erano stati, nel lontano autunno 1979, per l’esattezza dal 7 ottobre fino al 5 novembre, il terzo – anche per ragioni anagrafiche, non ancora, ma condivide – forse ne aveva respirato l’aria? – la filosofia che stava alla base. Infatti, nel suo testo cerca di ricostruire con l’aiuto di materiali d’epoca e di interviste il decorso dei fatti.
Che cosa c’era stato all’ “ex Monopol/io”? Perché questo interesse (o meglio scarso interesse da parte di tanti) per quello che era accaduto in quel mese nel capoluogo della provincia che da poco aveva visto concedersi l’autonomia con la prima versione dello Statuto che la regola(va)?
Pochi sanno che in quel mese, come scrive bene Martin Hanni, si era creata una piccola “oasi della libertà”, un piccolo centro in cui regnavano le leggi dell’anarchia, quella vera, il che non significa libertà assoluta per tutti, ma libertà autogestita dai legacci imposti dall’alto, tipo l’allora regnante separazione dei gruppi linguistici o la preferenza della Cultura Alta, istituzionalizzata, soprattutto in lingua tedesca, da parte di enti organizzatori, meglio ancora se di stampo conservatore…
Il Südtiroler Kulturzentrum era nato per ampliare l’offerta culturale in tedesco e in italiano a fronte del Südtiroler Kulturinstitut che importava (già allora) soprattutto pièce di teatro classico, mentre le (poche) sale cinematografiche che facevano programmazione di cinema tedesco proiettavano Heimatfilme o i grandi film di genere doppiati in tedesco. Fu grazie al Kulturzentrum (e più tardi al neonato Filmclub) che anche qui arrivarono i grandi nomi del Nuovo Cinema Tedesco, da Fassbinder a Wenders, ecc. E ancora grazie al Kulturzentrum nacque l’interesse per l’ “altra” storia sudtirolese, quella dei Bauernkriege del 1525, quella di Gaismair, quella dei Dableiber e dell’Opzione – aspetti che non erano molto graditi a coloro che volevano (ri)creare la provincia felice…
Il volume è un vero e proprio atto di storia in 224 pagine, suddiviso in due parti: la prima riguarda testi nuovi a firma di persone che avevano vissuto quel momento storico, la seconda invece ripropone in stampa anagrafica la documentazione uscita nel 1980. La copertina, giustamente, propone una foto della tipica facciata in vetro del Museion (di Sonya Beretta) sovrastata dal manifesto serigrafato in rosso dell’epoca, a cura di Christian Pardeller – un’immagine che si potrebbe dire “olografica” dato che grazie a queste sovrapposizioni una minima parte parla per il tutto, suscitando un corto circuito tra tempo e spazio. Un “atto di storia” abbiamo chiamato questo libro, sì, perché esso va oltre la semplice informazione e descrizione ed elencazione di fatti e dati e foto. Dopo la quindicina di testi che con il senno del poi narrano quella esperienza collettiva in modo soggettivo e al contempo oggettivo, avendo ogni autore e autrice puntato il focus su aspetti diversi, si ha un’ampia visione d’insieme di ciò che nella introduzione della documentazione viene così descritto: “L’aumento costante delle persone che partecipavano alla vita quotidiana nel Monopolio e la crescente ampiezza del ventaglio delle loro iniziative fece crescere anche, di giorno in giorno, l’incidenza di questa esperienza insolita a Bolzano e nel Sudtirolo. Il Monopolio è stato un centro di comunicazione aperta, di considerazione e integrazione reciproca, di convivenza, in cui mai fu possibile a prescindere dagli altri. Forse in questo stava la forza esplosiva più profonda che fece paura alle autorità e al potere locale.”
È con questa impressione che andiamo a tuffarci nella riproduzione anastatica dei documenti storici. Che emozione in certi punti, tra i volantini scritti a mano, adornati con disegni, e il tono freddo e distaccato dei ritagli di giornale che testimoniano il crescendo di tensione sul piano politico.
Dava fastidio, soprattutto, quel clima festoso che univa i giovani di lingua tedesca e di lingua italiana (ne danno conto le testimonianze di Andrea Maffei, ma anche di Sandra Montali), aspetto che non a caso – una volta demolito lo stabile con le ruspe mandate all’alba dal governo della città, tipico atto di forza delle autorità per ricreare la cosiddetta legalità – sarebbe sfociato, poi, nella rappresentazione di uno dei drammi didattici di Bertold Brecht, Teste tonde e teste a punta, pubblicato in un periodo altrettanto difficile, storicamente parlando – era il 1936 –, e in cui si parla di metodi vari usati per dividere il popolo.
L’energia creativa nata nel contesto non solo dell’occupazione ma soprattutto di tutte le molteplici attività partorite nel corso di pochissimo tempo non dovette andare sprecata e si decise di fare teatro onde dimostrare la propria costernazione al mondo attorno, e di farlo usando le parole di uno dei massimi uomini di teatro del Novecento, anzi di “teatro popolare”, nel senso di Volkstheater, ossia “teatro per il popolo”. Come si può leggere nel contributo a firma di Giorgio Zaninelli … e luce! Ricordando il regista e amico Götz Frisch, si era chiamato un professionista da Vienna per mettere in scena gli oltre 40 partecipanti, per la metà neofiti sulla scena. La grande innovazione, per cui lo spettacolo era stato persino richiesto da teatri all’estero, era di recitare in entrambe le lingue, italiano e tedesco, con minimi cenni di adattamento da parte del regista. Fu un enorme successo, le sale dei teatri (sei soltanto) erano stracolme, e di repliche ne avrebbero potuto farne parecchie, ma… l’atmosfera si faceva sempre più pesante.
C’era il “nuovo” che avanzava, un “nuovo” oscuro, le gabbie etniche (azzeccato il contributo unicamente visivo del musicista-cantautore Benno Simma) erano più che mai dietro l’angolo. Il famigerato censimento del 1981 prevedeva per la prima il dovere di “dichiararsi” o per l’uno o per l’altro gruppo linguistico. Alexander Langer aveva partecipato alla occupazione e aveva già fondato la lista della Neue Linke/Nuova Sinistra con cui era già entrato nel consiglio provinciale, mentre nel panorama mediatico erano già nate le radio libere, Radio Tandem in testa con il suo palinsesto mistilingue e che per altro trasmetteva in diretta dal “ex monopol/io” occupato.
Come a livello nazionale c’è un “prima” e un “dopo” il rapimento e l’uccisone di Aldo Moro (nel maggio 1978), così a livello provinciale c’è un “prima” e un “dopo” l’occupazione, che di fatto si rovescia in quanto è il mezzo, l’occupazione, a rappresentare in minima dose quel cambiamento che a livello nazionale era il fiorire di movimenti artistici tra nuovo teatro, nuova danza, nuovo cinema, largamente frenato – “dopo” - con le leggi restrittive per ufficialmente fermare il terrorismo. Qui si era voluta una continuità nella separazione, nel controllo, non c’era stato il coraggio da una parte né la volontà politica dall’altra, sebbene – va detto e lo si riscontra nella documentazione storica – i vari partiti di sinistra e i media italiani erano stati compatti a favore della nascita di un Centro di cultura in via Dante 6, contro la consegna dell’area a quel desolato parcheggio che sarebbe diventato anche zona di degrado con tanto di spaccio e morti di overdose.
Bisognava aspettare qualche decennio prima che fosse posata la prima pietra per la costruzione del Museion, dove a febbraio avrà luogo una serata a suon di “energie anarchiche” – tra ieri e oggi – per presentare a un largo pubblico il libro.Vi terremo aggiornati e aggiornate.