Quello che gli antiabortisti non dicono
Lautamente foraggiati dalle amministrazioni locali altoatesine che usano soldi pubblici per finanziare manifesti in contrasto con la recente norma che vieta “messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali”, ringalluzziti dall’elezione di una donna antiabortista alla presidenza del parlamento europeo, non scossi dalla recente morte di una donna polacca deceduta per non aver potuto abortire legalmente in un paese dove vige una delle leggi più feroci in materia, i movimenti antiabortisti altoatesinirialzano la testa e si preparano a celebrare la loro “giornata per la vita”. Ma per la vita di chi? E perché gli antiabortisti sono così ossessionati dall’utero delle donne?
Impedire a una donna di scegliere liberamente ciò che accade al proprio corpo è una delle colonne portanti su cui poggia il patriarcato, cioè il sistema di potere maschile che si alimenta attraverso il controllo violento della vita delle donne. La piramide della violenza patriarcale ha molti gradini, che vanno dai complimenti non richiesti al femminicidio. In tutti i casi, dal primo all’ultimo gradino, l’origine della violenza maschile è il desiderio di potere sulle donne, per ricordare loro che sono esseri al servizio degli uomini, indegni di uguali diritti e libertà.
Uno stupratore non violenta una donna per desiderio sessuale ma per volontà di opprimerla o punirla. Un femminicida non uccide una donna per amore o per gelosia ma per incapacità di accettare la sua libertà. Un antiabortista non vuole impedire a una donna di interrompere la gravidanza perché ha a cuore la vita del nascituro, ma perché vuole controllare la vita della donna e il suo potere di decidere al di fuori del controllo patriarcale. Se gli antiabortisti fossero realmente interessati alla vita dei bambini li vedremmo attivissimi a salvarli sulle coste del Mediterraneo, ai confini tra Bielorussia e Polonia, e in ogni altra parte del mondo dove i diritti dei bambini vengono violati. Ma non è così. Perché? Perché gli antiabortisti che sbraitano dai manifesti il loro amore per “la vita” e vogliono instillare senso di colpa o stigma nelle donne che abortiscono non hanno paura che vengano “uccisi i bambini”: hanno paura che le donne decidano liberamente sul proprio corpo. Non è la morte che vogliono togliere dalle mani delle donne che praticano l’aborto, ma la libertà di scegliere cosa fare della propria vita. Per questo tali movimenti non devono essere chiamati “pro vita” ma, semplicemente, anti-scelta.