Society | Intervista

Montessori: l’altra faccia della scuola

La provincia di Bolzano è all’avanguardia nella sperimentazione. Il ’metodo’ della pedagogista marchigiana è anche sotto la lente di unibz, grazie al lavoro della ricercatrice Barbara Caprara.
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Foto: Montessori

Anche se ha quasi cent’anni il metodo Montessori è universalmente riconosciuto come uno degli approcci più innovativi alla formazione dei bambini. E sono molte le scuole altoatesine, sia di madrelingua italiana che tedesca, che vi fanno ricorso sperimentando a vari livelli un approccio per molti versi rovesciato rispetto al dualismo docente - discente.

Ne abbiamo parlato con Barbara Caprara, docente di didattica generale a Scienze della Formazione presso la Libera Università di Bolzano e responsabile di un corso facoltativo dedicato al pensiero Montessori.

 

Com’è avvenuto il suo incontro con il metodo Montessori?

Sono ricercatrice in didattica generale e negli ultimi anni di lavoro mi sono avvicinata all’approccio Montessori perché nonostante sia datato ritengo possa dare una valida risposta agli insegnanti oltre che alle famiglie per gestire i problemi più comuni e più attuali che le nostre scuole si trovano ad affrontare. Faccio riferimento in particolare al fenomeno delle classi fortemente eterogenee, che sono sempre di più. Il tasso di diversità presente è altissimo: ci sono disabilità a vari livelli, bambini con background migratorio, diversi atteggiamenti rispetto al sapere e stili cognitivi, ecc.

 

Qual è la oggi diffusione del metodo Montessori?

Io seguo una serie di sperimentazioni nel nord del nostro paese e posso affermare che recentemente si sta vivendo un un nuovo momento di appassionata scoperta del pensiero di Maria Montessori. La pedagogista ha lavorato nei primi anni in Italia, dopo essersi laureata in medicina a Roma. Ma durante gli anni del fascismo, dopo una brusca rottura con Mussolini, se ne andò dal nostro paese iniziando a peregrinare per tutto il mondo. E’ stata nel nord Europa (Olanda, Germania, Svezia), dove effettivamente oggi le scuole Montessori sono numerosissime. Poi ha vissuto e lavorato molto anche negli Stati Uniti dove tuttora è molto amata. Negli USA esiste un vero e proprio movimento che ha portato avanti con grande forza il pensiero montessoriano anche nelle scuole pubbliche.

 

Che tipo di donna era Maria Montessori?

Per quegli anni eccezionale. Visse anche una decina di anni in India durante il periodo della seconda guerra mondiale, lavorando nel quartier generale della società teosofica a Madras e formando centinaia e centinaia di insegnanti, mettendo a punto in un contesto molto naturale e spirituale i materiali che vengono chiamati di ‘educazione cosmica’. Si tratta di materiali che propongono in modo didattico il cosmo, utilizzando una modalità interdisciplinare che unisce storia, geografia e scienze. Come sarebbe naturale fare, ma come invece spesso non avviene nella nostra scuola, frazionata in discipline.
Montessori fu un personaggio molto affascinante, una donna molto forte e volitiva che è stata in grado di trasmetterci un’idea di bambino molto moderna ed una proposta didattica per l’insegnante ancora oggi molto interessante.

 

Normalmente si parla di ‘metodo Montessori’. Secondo lei è corretto?

Io preferisco parlare di ‘approccio Montessori’. Il termine metodo in realtà pare sia dovuto ad una traduzione verso l’inglese troppo sintetica quanto infelice. Il primo testo di Montessori che documentava i suoi esperimenti compiuti nelle case dei bambini a Roma si chiamava “Il metodo della pedagogia scientifica applicato alla casa dei bambini”. Il traduttore americano volendo tradurre in inglese l’opera e volendo rendere più accattivante il titolo lasciò la parola metodo, in pratica tralasciando tutto il resto. A Montessori il termine piaceva poco perché, nonostante lei fosse un medico con una modalità di lavoro molto strutturata e rigorosa, la parola ‘metodo’ le sembrava un po’ troppo rigida. Connotava l’approccio facendolo sembrare un qualcosa di statico, con un’inizio ed una fine. Idea che non corrispondeva in effetti alla sua proposta educativa.

 

Quali sono le caratteristiche peculiari di una ‘classe Montessori’?

Dobbiamo immaginarci un ambiente familiare, in cui il bambino già dai 2/3 anni di età possa svolgere naturalmente tutta quella serie di azioni che tutti noi compiamo a casa e che ci rendono abili a vivere in maniera autonoma. Nelle classi Montessori ci sono allora moltissimi spazi o angoli, dove vengono collocati materiali cosiddetti di ‘vita pratica’. L’ambiente insomma non è un luogo che serve all’insegnante per trasmettere contenuti, ma invece un contesto fatto apposta per consentire al bambino di impossessarsi autonomamente di una serie di competenze utili alla vita. Nello stesso ambiente dove il bambino sperimenta, vengono qjindi posti specifici materiali Montessori, spesso in legno, che servono quindi al bambino per impadronirsi delle competenze basilari tipiche della scuola (ovvero leggere, scrivere e far di conto). Prendendo spunto da quanto precedentemente avevano sostenuto due medici francesi che si rifacevano alla cosiddetta pedagogia scientifica, Montessori non pensava ad insegnanti che trasmettono pezzi di sapere contemporaneamente a tutti i bambini, ma piuttosto a una vasta collezione di materiali volta a consentire ad ogni bambino di apprendere autonomamente le competenze necessarie. Nell’approccio Montessori infatti ogni bambino è libero di apprendere, con i suoi tempi e le sue modalità, i contenuti basilari della matematica, della lettura e scrittura, oltre che elementi scientifici di base.
I materiali Montessori sono sensoriali e prevedono sempre il movimento del bambino. Un altro aspetto chiave è che i materiali non prevedono la correzione da parte dell’insegnante. Si dice che siano autocorrettivi nel senso che offrono al bambino uno risposta  immediata, consentendogli di capire da solo se l’esercizio è stato fatto correttamente o se occorre ripeterlo.

 

Altre due differenze sostanziali rispetto alla scuola tradizionale riguardano l’età degli alunni coinvolti nelle classi e l’approccio alla valutazione, vero?

Montessori privilegiava le classi miste per età, sostenendo una cosa innegabile. E cioè che nella vita non esistono contesti in cui siamo tutti nati nello stesso anno. Montessori pensava che la scuola deve essere un ‘vero’ momento di vita del bambino e non solo di preparazione ad una vita futura.
Nelle classi Montessori l’insegnante ha un ruolo diverso, in cui viene privilegiato lo strumento dell’osservazione con lo scopo di poter proporre al bambino i materiali giusti al momento giusto. Nelle classi montessoriane si usano pochissime parole e tutta l’attenzione è rivolta all’essenzialità. Inoltre non sono previsti test o verifiche per capire quanto si è appreso. Anche se l’insegnante deve tenere traccia del percorso compiuto da ogni singolo bambino con materiali, un lavoro questo particolarmente complesso. Siccome l’approccio non prevede il voto allora ogni scuola pubblica che ha classi Montessori sviluppa una propria strategia per affrontare questo ‘problema’. Spesso alla pagella allora viene abbinata una lettera degli insegnanti, dove viene descritto il percorso del bambino, con i materiali e le attività che ha scelto e praticato con più passione.
In sostanza: rispetto ad un approccio che ha avuto occasione di essere sperimentato per 100 anni ancora non abbiamo risposte certe. Anche perché il metodo si è articolato in modi anche molto diversi nei 5 continenti dove si è diffuso. Ogni paese, ogni tradizione scolastica cerca di trovare un suo orientamento nel pensiero Montessori, cercando di utilizzarlo nella maniera più ‘pulita’ possibile. Ma le scuole Montessori ancora oggi sono diversissime tra di loro. Ed è questo che ancora oggi  non esiste un vademecum e che occorre tornare spesso a rileggere i testi della pedagogista.  

 

La sua attività di insegnamento e di ricerca come si svolge? Qual è la concreta diffusione dell’approccio Montessori nelle scuole altoatesine?

Da 6 anni circa gestisco un corso opzionale di 30 ore dedicato volto ad introdurre gli studenti al pensiero di Maria Montessori. In questo periodo mi sono potuta confrontare con un numero sempre maggiore di studenti, avendo la possibilità di proporre loro tirocini nelle classi e di realizzare diversi approfondimenti.
Oltre all’insegnamento svolgo inoltre attività di ricerca in due ambiti specifici.
Nella prima attraverso un dottorato di ricerca a scienze cognitive di Trento sto cercando di mettere a punto una griglia di osservazione dei comportamenti sia degli insegnanti che dei bambini nei contesti Montessori inseriti in scuole pubbliche, concentrando la mia attenzione soprattutto sulla fase iniziale di tali progetti.
In Alto Adige sono numerosi gli istituti comprensivi pubblici che hanno voluto aprire classi Montessori per dare in questo modo un possibilità di scelta ai genitori.
La scuola primaria italiana Martin Luther King di Bolzano presenta un progetto consolidato da anni, ma l’approccio è stato sperimentato anche in altre scuole a Merano e Silandro. A Bressanone esiste poi un esempio illuminante da punto di vista della ricerca, visto che il metodo Montessori è stato introdotto una scuola pubblica piuttosto grande (circa 300 bambini). Il loro primo approccio in questo senso avvenne già 17 anni, ma la cosa interessante è che dopo 10 anni a Bressanone hanno deciso di migrare tutta la scuola al Montessori. Gli insegnanti si sono coinvolti affrontando una formazione specifica, tra l’altro a proprie spese. Le scuole di Silandro, Merano e Bressanone sono di madrelingua tedesca e va detto che la sensibilità nel mondo di lingua tedesca nei confronti dell’approccio Montessori risente senz’altro dell’influenza nordica dove gli insegnamenti della pedagogista hanno avuto una grande diffusione.
La seconda ricerca che sto compiendo riguarda invece la piccola pluriclasse italiana di Fortezza, costituita da 12 bambini. Tutti con background migratorio al 100% e  spesso nati in Italia anche se provenienti come famiglia da paesi anche molto diversi tra loro. A Fortezza stiamo introducendo progressivamente i materiali della cosiddetta ‘educazione cosmica’, concepiti proprio per concentrarsi più sugli aspetti che uniscono piuttosto che su quelli che dividono.