Competenze perdute
La vicenda del passaggio di competenze sull'edilizia sanitaria dall'assessore leghista Massimo Bessone al collega SVP Thomas Widmann, pur essendo in sé di modestissima caratura politica, ci offre il destro di gettare uno sguardo su un tema abbastanza interessante come quello della ripartizione delle competenze, nel corso del tempo, tra i partiti che hanno formato le varie alleanze nella giunta provinciale di Bolzano.
La questione, come tutte quelle che attengono alla politica altoatesina, possiede un preminente aspetto etnico e d'altronde non potrebbe essere altrimenti visto che l'intera struttura dell'autonomia altoatesina così come essa è venuta a configurarsi, dall'inizio degli anni 70 in poi, è basata sugli equilibri e sulla spartizione etnico-linguistica. Solo che ogni tanto lo si ignora e si fa finta che le questioni debbano essere considerate solo sotto il profilo tecnico o, come va tanto di moda dire oggi, della valutazione tra costi e benefici.
Facciamo dunque il solito balzo indietro e andiamo a prendere come esempio la Giunta che fu formata dopo le fatidiche elezioni dell'autunno 1978, quelle di cui abbiamo parlato più volte sulle pagine di Salto e che, tanto per ricordarcene, furono quelle che sancirono l'ingresso in Consiglio della Nuova Sinistra-Neue Linke e del suo alfiere Alexander Langer.
Da quel voto uscì un consiglio provinciale composto di 34 membri, uno in meno di oggi, di cui dieci si erano dichiarati di madrelingua italiana. La Südtiroler Volkspartei, in quell'assemblea, aveva la bellezza di 21 consiglieri e avrebbe quindi potuto governare tranquillamente da sola, se non ci fosse stata proprio la norma statutaria che, allora come oggi, impone la presenza nel governo della Provincia di una quota di assessori proporzionale al numero dei consiglieri di ciascun gruppo linguistico. Allora come oggi la questione si sarebbe potuta risolvere con una presenza italiana a puro titolo etnico, ben serrata in un recinto riguardante le sole competenze su scuola e cultura. Le cose, però, andavano a quei tempi in maniera molto diversa e si badi bene che a gestire quella politica per la SVP, erano due personaggi come Silvius Magnago e Alfons Benedikter che di tutto possono essere accusati ma non di aver nutrito condiscendenze eccessive verso la comunità italiana dell'Alto Adige.
Andiamo dunque ad esaminare da vicino quella Giunta. La prima cosa che salta all'occhio è che quella compagine di governo aveva dimensioni più che ragguardevoli rispetto quella di oggi. 13 membri in tutto, con un presidente, Magnago, due vice, il summentovato Benedikter e il democristiano Valentino Pasqualin, sette assessori effettivi, tra i quali, può essere interessante saperlo, fa la sua comparsa Luis Durnwalder, e tre assessori supplenti. La maggioranza si basa su un accordo tra la Südtiroler Volkspartei, la DC e il PSDI. I due partiti italiani hanno in totale cinque consiglieri, appena uno in più, va rilevato, di quelle che conta oggi la Lega.
Per quel che interessa al nostro breve excursus contano soprattutto le competenze come furono ripartite tra i vari assessori. Facciamo grazia al lettore della miriade di piccoli settori e limitiamoci a quelli più importanti. I tre assessori effettivi di lingua italiana ricevettero queste competenze. Il democristiano Giorgio Pasquali si occupò in quella e in altre legislature di tutela dell'ambiente e del paesaggio (suo il fondamentale lavoro per l'istituzione dei parchi naturali altoatesini), di comunicazioni e trasporti (risale all'epoca in cui Pasquali fu assessore la nascita del sistema di concessioni su cui ancora oggi, non senza qualche attrito, si basa l'intero trasporto pubblico su gomma e su rotaia in Alto Adige) ivi compreso il settore funiviario. L'altro assessore democristiano, Valentino Pasqualin, era competente per il commercio, l'industria e financo per l'assistenza sanitaria ai malati di mente, che solo più tardi sarebbe stata accorpata alla sanità in senso proprio. Il socialdemocratico Decio Molignoni, infine, si occupava di patrimonio e bilancio. Sin qui le competenze, cui si aggiungevano quelle sulla scuola e la cultura italiane attribuite all'assessore supplente Remo Ferretti.
Il discorso però era assai più ampio a causa di un meccanismo elaborato proprio per mettere in condizione gli esponenti di un gruppo linguistico di dire la loro anche su materie che erano attribuite ad assessori dell'altro gruppo: il cosiddetto "Mitsprachrecht". Per spiegarlo al meglio si possono fare un paio di esempi concreti. L'assessore Giorgio Pasquali aveva diritto ed anzi il dovere di mettere il naso su tutte le competenze del collega Alfons Bendikter, tra cui quelle strategiche sull'urbanistica e la programmazione. A sua volta Benedikter doveva essere informato e dire la propria opinione su tutte le questioni di competenza di Pasquali. Per un tema assai importante come quello dell'energia idroelettrica era previsto addirittura una sorta di mini-comitato presieduto da Magnago e composto da Pasquali e Benedikter. Altro caso, nel campo dell'economia, quello che vedeva l'assessore SVP Franz Spögler dotato di Mitsprachrecht sulla competenza relativa al commercio del collega Pasqualin e quest'ultimo titolato a intervenire nei settori del turismo e dell'artigianato assegnati a Spögler. L'intreccio di competenze incrociate imponeva da un lato una collaborazione stretta tra i vari assessori, mentre dall'altro metteva ambedue i gruppi linguistici in condizione di orientare opportunamente le scelte politiche piccole o grandi che fossero.
È una situazione che si protrae in pratica per tutta la cosiddetta "Era Magnago" e che cambia progressivamente quando al governo della Provincia arriva Luis Durnwalder. Accade allora che, ad ogni nuovo inizio di legislatura e quindi ad ogni nuovo accordo di formazione della nuova Giunta, le competenze degli assessori italiani vengano progressivamente sforbiciate. Una tattica del carciofo che, di volta in volta, trova pretesti più o meno validi. Quando si tratta di passare nelle mani della SVP l'ultimo settore economico rimasto di competenza italiana, quello dell'industria, ci si appoggia, ad esempio, alle richieste che arrivano dagli stessi industriali (nel frattempo ribattezzatisi imprenditori), che sentono come una diminutio capitis quella di non poter avere un referente nel partito di raccolta come i colleghi del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura.
Fatto sta che, arrivando ai tempi recenti, la rappresentanza italiana è praticamente confinata in quel famoso recinto di mera partecipazione a titolo etnico che comprende il controllo della scuola e della cultura del proprio gruppo linguistico. Le altre residue competenze ancora attribuite, anche se i protagonisti in questa e nelle passate legislature si sforzano di negarlo, altro non sembrano che una modesta foglia di fico che va a coprire una realtà ben chiara a tutti. Una realtà, sulla quale, sia ben chiaro, ognuno è libero di fare le valutazioni che crede, addebitando a questo o quel fattore politico, la responsabilità di una situazione che di fatto, però,estromette il gruppo italiano, attraverso i suoi rappresentanti politici, dall'amministrazione quotidiana della cosa pubblica.
Il caso sanità
Un'ultima notazione sul filo della memoria riguarda proprio la vicenda che ha portato all'ipotesi, discussa, di sottrarre il settore dell'edilizia sanitaria alla ripartizione dei lavori pubblici e portarlo invece sotto il controllo diretto della Sanità. La questione, come qualcuno forse ricorderà, è tutt'altro che nuova. Se ne parla da decenni e durante la prima legislatura dell'era Durnwalder ( 1989 - 1993) la cosa fu addirittura attuata trasferendo il controllo dell'edilizia sanitaria, all'epoca erano in costruzione o in ristrutturazione alcuni tra i più importanti tra gli ospedali periferici dell'Alto Adige, alla competenza dell'assessore alla sanità Otto Saurer e togliendolo a quella del suo collega di partito Franz Alber . Poi, dopo cinque anni, si decise di tornare all'antico e l'edilizia sanitaria fu riaccorpata ai lavori pubblici. Sempre con ottime ragioni, ovviamente.