Environment | Economia e Ambiente

Per chi suona la campana?

Economia e ambiente possono convivere? In questo scritto ci sono pensieri e esperienze derivanti dal mio lavoro nella tutela dell'ambiente
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Campana
Foto: (c) pixabay

Penso che alcuni dei temi che riguardano la relazione fra ambiente ed economia siano diventati rilevanti all’interno della discussione sul cambiamento climatico. Il primo fra questi è quello di una “sana economia”. Vi è una forma di narrazione che vede nelle richieste di salvaguardia delle risorse naturali un pericolo per lo sviluppo economico.

Ed è da qui che vorrei partire, proprio da quelle che sono le determinanti nel processo di crescita economica e cioè capitale fisico, capitale umano, risorse naturali e progresso tecnologico.

Da questo punto di vista è molto interessante analizzare l’opera di Adriano Olivetti: “Organizzazione, diceva Olivetti significa anche consenso. L'organizzazione significa capacità di far convivere esigenze umane, esigenze tecniche, meccaniche, industriali e ambientali” (si riportano le parole di Franco Ferrarotti sulla sua esperienza con Adriano Olivetti “un imprenditore di idee”).

Da un lato ci sono interpretazioni che vedono la questione del capitale umano come semplice specializzazione tecnica.

Non è questa la sede per discuterne, o per ripercorrere l’idea di alienazione del lavoro, semplicemente ritengo che far coincidere la formazione professionale con il capitale umano sia una lettura riduttiva. Per capire il rapporto tra lavoro e capitale umano mi piace richiamarmi alla esperienza di Adriano Olivetti e forse qualcosa si può trovare in queste sue parole: “Cos’è questa fabbrica comunitaria? E’ un luogo dove c’è giustizia, dove si fa luce e bellezza, e amore, la carità e la tolleranza sono nomi e voci non prive di senso”.

Un’economia sana, quindi, non può prescindere da rapporti di lavoro sani. E questo deve essere un criterio valutativo, nel momento in cui ci confrontiamo con i vari settori della economia del nostro territorio. Sono in grado questi settori di produrre sani rapporti di lavoro?

Un esempio: nel libro “Oltre il turismo” di Sarah Gainsforth si riporta una ricerca della Banca d’Italia del 2019 secondo cui il turismo oltre certi limiti provocherebbe il cosiddetto Beach disease, ovvero si individua un livello in cui gli effetti del turismo diventano negativi sulla economia locale incidendo in modo significativo sui prezzi e sui salari locali. Il tema è attuale, uno studio dell’EURAC del 2018 parla già di un potenziale effetto da overturismo per la nostra provincia, purtroppo i report annuali sul turismo sostenibile prodotti sempre da EURAC non ci dicono nulla sul “capitale umano”.

Vi è un secondo aspetto da tenere in debito conto che si intreccia con il tema della sostenibilità e che affronteremo per comodità restando sempre nell’ambito nello stesso settore economico del turismo: quest’ultimo si alimenta in Italia, così come nel nostro territorio provinciale, di risorse naturali; si tratta per lo più di risorse che alcuni autori non esiterebbero a definire “beni comuni”. Al di là della definizione, si tratta di beni che nel linguaggio economico possono essere identificati come non appropriabili (vale a dire che non sono regolati dalla proprietà) e non rinnovabili (non rinnovabili inteso in senso di medio-lungo termine). Più semplicemente si tratta di beni che richiedono un sistema di tutela superiore, perché per definizione, come bene descrive Stefano Rodotà sulle pagine della Repubblica del 5 gennaio 2012, sono indisponibili per il mercato e devono essere amministrati secondo il principio di solidarietà. L’importanza di questi beni diventa crescente sotto il peso del cambiamento climatico, proprio perché si tratta di beni non rinnovabili.

Diversi autori (come, per esempio oltre al già citato Rodotà, Stefano Zamagni) sono concordi nel ritenere che su tutti questi fondamentali beni (acqua, clima, tutela del paesaggio) l’attenzione debba essere maggiore e che si tratta di una tematica ove la politica deve avere il coraggio di confrontarsi (vedasi l’intervento di Enzo Bianchi sulle pagine di Repubblica del 12 settembre 2022 “dov’è finito il bene comune?”) ragione per la quale dobbiamo porci la domanda sugli strumenti che abbiamo a disposizione oggi per una loro corretta gestione.

Infatti, la gestione di questi beni richiede un drastico cambio di rotta, che consenta una forma di garanzia più ampia e che garantisca e preservi i medesimi beni per la collettività, con riguardo al presente e per le generazioni future. Si tratta di un cambiamento che per diversi autori è possibile attraverso lo sviluppo di nuovi stili di vita, posizione che del resto si trova condivisa spesso nelle relazioni istituzionali delle varie agenzie per l’ambiente (Ressourcenbericht für Deutschland, 2022; Umwelt-Fussabdrücke der Schweiz, 2018). Si tratta però di una soluzione che richiede tempi lunghi, per cui, in attesa di trovare la risposta a quella che Alexander Langer chiamava “transizione ecologica socialmente desiderabile”, non possiamo nè dobbiamo ignorare quegli strumenti che l’attuale sistema politico economico propone, secondo il principio dell’equilibrio tra benefici marginali, costi marginali sociali e costi marginali privati. I due classici approcci sono quelli della regolamentazione (leggi) e quello dei tributi o altre forme di corrispettivo.

Una politica coraggiosa non deve aver paura di avviare una leale discussione usando, se del caso, anche questi strumenti, nonostante possano essere argomenti scomodi, peraltro spesso affrontati genericamente, o liquidati con facili slogan in talune attività di propaganda.

Le regolamentazioni e i tributi o corrispettivi, anche se alle volte sono stati strumentalmente definti come “pizzo di stato” per attirare consensi, sono in realtà parte integrante di una economia sana, che in ultima analisi non deprimono il mercato ma consentono a quegli operatori che si adattano più rapidamente, di trasformare questo adattamento in un vantaggio competitivo (vedi Antonio Massarutto, Un mondo senza rifiuti).

Sono convinto che una sana economia non possa prescindere dalla correttezza dei rapporti di lavoro e da un ruolo centrale della politica nella sua funzione essenziale di regolatore delle disfunzioni del mercato e questo vale anche a livello locale. Abdicare a questi strumenti significa rinunciare ad una politica e a un economia che tutelino realmente l’ambiente. Questo è il presupposto essenziale perché la campana del titolo possa aver voce per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Così suonerà solo per la parte migliore di noi stessi (personale riduzione della poesia di Adriano Olivetti con cui si aprono le pubblicazioni di Edizioni di Comunità da lui fondate).