Society | Dopo l'incendio di via Grandi

Le nuove Pompei

A Prato come a Bolzano, i recenti roghi appiccati alle abitazioni nelle quali risiedono i lavoratori immigrati pongono urgenti domande sul tipo di società e di relazioni umane e lavorative che abbiamo costruito.

Sulla pagina facebook del consigliere comunale di Bolzano Claudio Degasperi (Lega Nord) si legge: “Tante, troppe segnalazioni di cittadini esasperati. Sull'immigrazione urge un intervento concreto. Diamo una risposta. Il buonismo evidentemente ha fallito”. L'esasperazione dei cittadini è però solo un pallido riflesso delle fiamme che ardono nei dormitori dei cittadini. Cittadini che, secondo Degasperi e quanti la pensano in modo simile, rappresenterebbero in ultima istanza la causa di quell'esasperazione. Ma di “buonismo” difficile trovare traccia, piuttosto morti (o morti mancate), desolazione e il senso che a fallire qui siano più o meno tutti.

A Bolzano si è sfiorata la tragedia, come si suol dire. Sarah Gambardella, dirigente della squadra mobile della Questura, non smentisce l'ipotesi di dolo - “lo indicherebbero le circostanze, il luogo e l'ora in cui si sarebbe verificato l'incendio” - ma mantiene ancora apertissimo l'esito delle indagini (i Vigili del fuoco non hanno ancora comunicato il risultato dei loro rilievi). Resta il tempo per considerazioni generali, sulle condizioni di vita di molti lavoratori immigrati e su un clima d'incomprensione che si sta facendo sempre più largo tra la popolazione, disposta talvolta a scambiare una bottiglia incendiaria per una soluzione più tollerabile della cosiddetta "tolleranza buonista".

Adriano Sofri, sulle pagine di Repubblica, ha pubblicato oggi (2 novembre) un articolo che ci parla dei “bottoni di Prato”: “Sul pavimento nero di acqua e cenere erano i bottoni: centinaia, migliaia di bottoni disseminati di ogni misura e colore. Archeologia contemporanea, un tappeto di bottoni alla deriva per una Pompei di cinesi a Prato” (l'articolo integrale sulla pagina facebook di Sofri). Una lettura consigliata, per tutti quelli che portano la soluzione ripiegata in tasche chiuse con bottoni dei quali ignorano la provenienza. A Prato come a Bolzano.

 

 

 


 

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Gianluca Trotta Mon, 12/02/2013 - 15:14

Ottimo commento, Gabriele. C'è qualcuno (una classe di politichetti mezzemaniche che può sopravvivere solo facendo appello al ventre degli elettori) che da anni soffia sul fuoco. Anche a loro va attribuita la responsabilità morale di qualunque gesto si violenza si consumi nei riguardi di lavoratori immigrati.

Mon, 12/02/2013 - 15:14 Permalink
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Stefania Squassoni Mon, 12/02/2013 - 20:52

Io proprio non riesco a vederlo il "buonismo" di cui parla quel consigliere comunale di Bolzano. Vedo piuttosto tanto opportunismo. E tanto razzismo, non solo quello spudoratamente dichiarato da qualcuno, ma anche quello più latente, insito però in alcune scelte gestionali di scaltri imprenditori e, a volte, anche nei nostri comportamenti. Basta ascoltare, a questo proposito, le dichiarazioni degli imprenditori intervistati in un servizio di Annozero del 2009, dedicato a un'inchiesta a cura di una giornalista del Sole 24 Ore, Silvia Pieraccini, sul cosiddetto "distretto parallelo" operante nella Cina di Prato. Le dichiarazioni degli intervistati sono, infatti, una manifestazione di quell'opportunismo consapevole, implicitamente, razzista, correlato ad una logica del profitto incurante delle condizioni di schiavitù in cui versano i lavoratori immigrati e della assoluta mancanza di legalità che caratterizza il "distretto parallelo"di Prato. Qui un estratto del servizio: http://www.youtube.com/watch?v=XdPLaU4qt78
Ricordo anche un'interessante inchiesta della Gabanelli sulle luci e ombre della moda italiana che "comincia in passerella e finisce a Prato, nei laboratori" dove lavorano gli "schiavi del lusso": http://www.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-132f40c7-4377-4f83-a37f…
Tutti sapevano, quindi. A Prato si è realizzata una tragedia annunciata, una tragedia italiana. Lo Stato è, infatti, presente e attivo con tutti i Suoi Poteri nei confronti di chi mette in atto forme di protesta contro lo sfruttamento del lavoro o dell'ambiente, come in Val di Susa, per esempio, e, in casi come questi, pur sapendo, latita.

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