Politics | richiedenti asilo

La giusta accoglienza

La riforma al sistema di protezione dei rifugiati (SPRAR) cui sta lavorando il Governo passa da Santorso, piccolo comune del Veneto. Parola d'ordine: accoglienza diffusa.
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Foto: La giusta distanza

Questo sistema è un modello operativo da molto tempo in Italia”: è un fiume in piena Franco Balzi, una vita nel sociale prima dell'elezione a primo cittadino di Santorso, comune di seimila abitanti nella provincia di Vicenza che aderisce allo “SPRAR”, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati dal quale il Sudtirolo si è autoescluso. Balzi ha lasciato il segno, sostiene chi ha partecipato al recente seminario per amministratori locali organizzato dalla FondazioneAlexander Langer”, allo scopo di portare in Alto Adige esperienze virtuose provenienti da fuori provincia – non sia mai che qualcuno si lasci ispirare. Contatto il sindaco dell'alto vicentino, che mi risponde subito con la prontezza e concretezza dell'amministratore, senza fare storie né attendere le mie domande. Siamo nel Veneto de “La giusta distanza”, pellicola del 2007 di Carlo Mazzacurati; una storia di pregiudizi e mancata integrazione, raccontata anche attraverso le difficoltà di darne conto in modo meramente giornalistico. Balzi ci racconta una storia di buona accoglienza dei migranti, e il suo impegno affinché Roma inverta la rotta intrapresa.

Salto.bz: Sindaco, ci faccia capire, da quanto tempo Santorso fa parte dello SPRAR?

Franco Balzi: Santorso è capofila del progetto SPRAR da 16 anni. Soprattutto nelle regioni che non conoscono questo modello, rischia di essere letto come una novità assoluta, ma non è così. Il tema dei richiedenti asilo esiste da decenni, così come una rete di Comuni italiani che faceva già accoglienza e direi anche integrazione. Sui quattromila posti SPRAR in Italia, nei 13 comuni di cui Santorso è capofila c'erano 39 accoglienze per ottantamila abitanti. È il metodo che fa la differenza, ovvero l'accoglienza diffusa: nuclei di 3-4 persone distribuite tra più comuni. Ciò significa ripartire la responsabilità in doppia prospettiva: tra più comuni coinvolti e con più soluzioni abitative. Niente concentrazione dei 39 in un unico paese o condominio.

Qual è stata la reazione dei cittadini?

Era una presenza tanto ordinaria e fisiologica che non veniva percepita dai cittadini. In Veneto il 10% della popolazione è immigrata, grossomodo 600 persone a Santorso, e quei tre in più non generavano fastidi, perché gestiti con quest'approccio che responsabilizzava più soggetti. Altro elemento fondamentale dello SPRAR è l'interfaccia diretta tra Comune e Ministero degli Interni: il comune è regista anziché spettatore di quanto avviene sul territorio. Importante è anche individuare un soggetto gestore, p.es. una cooperativa sociale con una reale professionalità in quest'ambito, cosa che non s'improvvisa dall'oggi al domani.

Centralità del Comune, interfaccia diretta con il Ministero, un soggetto gestore competente, accoglienza diffusa e su base volontaria, in maniera capillare sul territorio

Come procedeva l'accoglienza a Santorso?

Funzionava bene e in automatico. In questi 16 anni abbiamo seguito più di 400 persone. Tra queste, c'è chi dopo quattro o sei mesi completava il percorso, arrivando a raggiungere l'obiettivo prefissato d'integrazione, magari con un ricongiungimento, che poteva essere in un paese straniero piuttosto che in un'altra provincia, oppure con una collocazione lavorativa, un'autonomia abitativa.

Due anni fa, però, è esplosa l'emergenza. I numeri da gestire erano ben altri...

Situazioni di criticità c'erano già state, si pensi all'esodo dall'Albania. Due anni fa, però, si è passati da duecento a ben 2400 profughi in provincia. Il Prefetto di Vicenza, come altri suoi colleghi, ha chiesto la disponibilità dei sindaci a collaborare per i nuovi arrivi. Il diniego è stato generalizzato: sui 121 sindaci della provincia, 119 hanno detto no. Santorso ha risposto “ne abbiamo già 39, facciamo la nostra parte”. A quel punto il Prefetto ha adottato il modello dei bandi: ha chiesto a cooperative, imprenditori, associazioni e Caritas di essere protagonisti diretti di tale inserimento, chiamiamolo così, proponendo disponibilità sul territorio. Santorso è stato sfortunato perché, fatalità, il Prefetto ha piazzato 98 persone in un albergo della zona industriale (ricorda qualcosa? ndr). Un metodo che definisco emergenziale – d'altronde lo chiamano così anche loro.

Quali sono state le conseguenze dello “stato emergenziale”?

Ha generato allarme nella nostra comunità, che s'è spaventata (“è stato lei sindaco a farli arrivare?”) mentre non ero nemmeno stato informato dal Prefetto, era un'azione non coordinata tra istituzioni. Alla prefettura ho detto che questa soluzione è un disastro, quelle 98 persone saranno seguite da un ente che non ha esperienza alcuna ed è solo lì per business. Si va a danneggiare un percorso virtuoso decennale, nessuno saprà distinguere i profughi da una parte e dall'altra. Il Prefetto credeva che l'emergenza si esaurisse in poco tempo, che fosse in grado di distribuire i migranti altrove. Questo non è avvenuto, anzi, quei 98 sono diventati 2400.

Non coinvolgere il sindaco, concentrare i profughi in un unico luogo e in maniera assolutamente emergenziale, per mano d'un soggetto non competente individuato dall'oggi al domani: tali modalità hanno generato il disastro determinatosi in tutta Italia

Quale risposta alla crisi dei rifugiati ha dato l'alto-vicentino?

A Santorso si è creato un corto circuito: alla prassi che funzionava molto bene si è sovrapposto un altro modello – per colpa di tutti e di nessuno, ovvero a fronte della non disponibilità degli altri sindaci. Ai miei colleghi ho spiegato che dire “no” serve a poco, non risolve i problemi bensì ne creerà degli altri, e responsabilmente dovevamo far qualcosa. Nel 2015 ho consegnato al Prefetto un protocollo d'intesa, che rappresentava una tappa intermedia: controfirmato da 24 sindaci su 32 dell'ambito territoriale dell'Alto Vicentino, riprendeva il modello SPRAR fondato sul principio di volontarietà. È il comune che si rende disponibile, con una quantificazione discrezionale dei posti. Al ministero posso offrire 39 posti, così come 10 o 200, indicativi della potenzialità del mio territorio. Il concetto da me inserito, e condiviso dai miei colleghi, è di responsabilità collettiva.

Se tutti facessimo la nostra parte, in maniera proporzionata alle capacità di ogni singola comunità, l'accoglienza potrebbe funzionare – compresa l'integrazione

Ci spieghi meglio la sua proposta.

Questo principio astratto si tradurrebbe in una formula, 2 per mille, quantificata in modo proporzionale al numero di abitanti: Santorso con seimila abitanti accoglierebbe 12 persone. Ma se 900mila abitanti della provincia di Vicenza, 621 sindaci facessero la stessa mia scelta, le 2400 persone accolte sarebbero equamente distribuite. Ho introdotto questa variabile “di sostenibilità” quantitativa, che permette di fare bene tutti i percorsi di coinvolgimento lavorativo e di superare meccanismi di paura e di ostilità che le comunità di solito hanno come prima reazione, e favorire la conoscenza più oggettiva delle persone. I migranti di vent'anni s'impegnano volentieri in qualcosa di utile, piuttosto che oziare tutt'al più quando si trovano tutti nello stesso albergo.

E cosa ne pensano dalle parti del Viminale?

Questa è diventata una buona prassi a tal punto che il Ministero degli Interni è venuto a saperlo e ha voluto conoscerlo. Il Viminale ha riconosciuto di aver sbagliato tutto in questi due anni, che il modello adottato tramite prefetture non funzionava, era inadeguato e fallimentare. Ho pensato: abbiamo già nel cassetto un modello che funziona, si chiama SPRAR, proponiamolo a tutti gli 8mila comuni italiani! Ciò è avvenuto un mese fa all'assemblea ANCI (Associazione nazionale comuni italiani, ndr) dove sono state presentate ipotesi di agevolazioni per chi accoglie: uno spazio maggiore di manovra sul patto di stabilità e vantaggi sul blocco della sostituzioni personale. Sono tre invece le fasce di riparto ipotizzate: 4-5 persone sotto i 5mila abitanti, 2,5 per mille tra i 5 e 100mila abitanti, 1,5 per mille sopra i 100mila abitanti. Infine si aggiunge la clausola di salvaguardia: nel comune in cui è stata fatta tale scelta, il Prefetto non può fare altri inserimenti, per evitare di incorrere in pianeti paralleli, lo SPRAR e i prefetti. Il piano di riparto dovrebbe uscire dopo il referendum costituzionale.

Con lo SPRAR si salta la Prefettura, il Comune si interfaccia direttamente col Ministero, si restituisce alle amministrazioni un governo di ciò che avviene sul suo territorio, altrimenti restiamo spettatori passivi, veniamo a sapere a posteriori chi e dove è arrivato

Crede che molti sindaci siano del suo stesso avviso?

Ricordiamo che 119 su 121 sindaci – di destra e sinistra – avevano detto di no, non rendendosi conto al pari degli ungheresi o degli inglesi che non ci sono muri o fili spinati che tengano. Credo nell'accoglienza, non la credo indiscriminata, non credo che Santorso possa accogliere e integrare cento o duecento persone. Ma se tutti facessimo la nostra parte, il problema sarebbe gestito bene. Ci vuole l'intelligenza, la passione, le esperienze. L'accoglienza è possibile, non è una bufala, e può trasformarsi in integrazione.

Anche gli abitanti di Santorso credono così tanto nell'accoglienza?

Se facessi un referendum nel mio paese, temo che questa partita la perderei. Molta gente la sera guarda Rete4 ed è bombardata da un certo tipo di messaggi dei suoi colleghi giornalisti, un massacro di titoli negativi. Non c'è la percezione della fattibilità di ciò che le ho raccontato. C'è la paura, c'è il signore disoccupato che chiede aiuto nel mio ufficio di sindaco, e devo abbassare lo sguardo perché non è facile aiutarlo. Ci sarà una guerra tra poveri che mette il sottoscritto nella condizioni sbagliate di far credere – a chi vuole fraintendere – che m'interesso dello straniero africano più che del “mio” concittadino. Possiamo dimostrare di essere un paese civile, trasformare questo problema in un'opportunità di crescita, solidarietà, evoluzione in un'Europa che non rinnega i suoi valori. Se ogni paese d'Europa facesse la sua parte, non lasciando l'Italia da sola nella redistribuzione, e se gli 8mila comuni italiani si dessero una mossa, direi “si può fare”.

Un sindaco si assume la responsabilità di dire “non li voglio”, ma dovrà spiegare ai cittadini perché è costretto a piazzare 200 migranti anziché quei 10 che gli spettavano

Lei è ottimista, scorge dei segnali positivi all'orizzonte?

Ho appena sfogliato l'edizione odierna del quotidiano locale, titolo: “Profughi, aumenta la paura dei vicentini”. Ora le risponderei “boh”. Il mio lavoro sta contaminando di buone prassi altri luoghi: più dimostriamo che è fattibile, più verremo fuori dall'emergenza. Ci aiuterà il padreterno, d'altronde ci ha mandato Papa Francesco che da due anni è di grandissimo aiuto.