L'anima populista della comunicazione politica contemporanea
“Fare politica” è una espressione comune e generica con cui viene comunemente identificata quella attività per la quale un cittadino si pone in posizione di una qualche forma di rappresentanza - a livello di istituzione pubblica o d'interesse pubblico - di una moltitudine più ampia di cittadini.
Chi fa politica struttura la sua attività sulla ricerca del consenso, più ampio possibile, e si avvale dello strumento della mediazione comunicativa. Ovvero, l'abilità di bilanciare i propri convincimenti personali con quelli espressi da quella moltitudine più ampia, al fine di aumentare il c.d. potere di rappresentanza. In altre parole, le opinioni e i programmi di chi produce politica oscillano tra la diffusione dei propri convincimenti e l'inclusione tra queste di quelle provenienti dalla cittadinanza che detiene il potere di accordare fiducia politica e definire l'estensione del mandato di rappresentanza. I poli estremi, seppur teorici, di questo rapporto politico-cittadinanza sono, da una parte, la mancanza totale di mandato (rappresentanza nulla), dall'altra, il consenso totalitario, quindi il mandato da parte di tutto il corpo elettorale attivo. Inoltre, a prescindere dall'ampiezza del consenso soggettivo ottenuto, fare politica significa operare all'interno di una organizzazione partitica dove si definiscono altri rapporti di rappresentanza intrapartitica.
Per questi motivi, si definisce “populista” quel politico che rincorre, assecondandole, le richieste provenienti dai cittadini, strutturando il suo consenso sulla sintesi di quelle istanze, mentre viene definito “statista” quel politico capace di istruire e guidare la formazione delle opinioni dei cittadini.
Quali sono gli strumenti più o meno inconsciamente utilizzati dal politico populista, al fine di massimizzare il proprio consenso politico e ampliare il suo mandato di rappresentanza?
In primo luogo, comunicare una idea significa fare in modo che venga compresa dal maggior numero di cittadini possibili, la maggior parte dei quali privi di competenze specifiche e poco propensi a dedicare troppo tempo alla informazione politica. Innescare la comunicazione politica sui pregiudizi diffusi e sull'odio strutturato aumenta la probabilità di essere ascoltati, piuttosto che insistere su argomentazioni difficili e sfuggenti. Per questo motivo, il principio della semplificazione del messaggio politico è generalmente considerato funzionale al raggiungimento del maggior numero di cittadini. In altre parole, il messaggio politico ottiene la massima diffusione se è tarato sulla massa meno consapevole di cittadini e è strutturato sul combinato disposto delle preoccupazioni e delle frustrazioni che questi vivono quotidianamente. Spesso questa strategia si lega all'identificazione e alla denigrazione di un nemico responsabile della situazione, il quale viene identificato come colui che si pone come ostacolo al raggiungimento di un determinato fine, percepito come migliorativo della propria esistenza. A questo punto il comunicatore politico è incentivato a definire un numero limitato di obiettivi contro i quali concentrare in modo vigoroso ed energico il proprio disappunto. La rappresentazione in modo puntuale e stabile del nemico produce il fenomeno del contagio, per il quale la probabilità che questo si fossilizzi come il reale ostacolo al miglioramento della propria condizione personale aumenta in proporzione alla ripetitività del messaggio. In alcuni casi, il nemico è identificato tra quelli che a loro volta non si considerano controparti politiche. In altri casi, il nemico è un soggetto impossibile da sconfiggere, ma facile da combattere con l'arma della retorica politica. Altro importante strumento utilizzato per attirare consenso è il paradosso o il travisamento. Esagerare la gravità della situazione induce timore e spavento nel cittadino poco consapevole, abbassa le difese intellettuali e razionali delle persone e induce a strutturare un pensiero difficile da rimuovere. Dipingere, appesantendola, una situazione, anche se lontana dal soggettivo universo esperienziale, la farà percepire molto più cogente, quindi meritevole di attenzione, aumentando la fedeltà verso chi l'ha portata all'attenzione dell'opinione pubblica. In questo processo, poco o nullo spazio è dato al controllo dell'attendibilità della notizia, per via delle necessità di pervenire velocemente alla formazione di una opinione spendibile. Altra tecnica utilizzabile dal comunicatore è quella dello streaming di argomenti, ovvero incalzare l'avversario politico citando velocemente dati, situazioni o aneddoti, cambiando l'argomento in modo repentino, così da impedire all'interlocutore di concentrarsi su una falla argomentativa nel proprio ragionamento. Di fronte a una accusa, la risposta deve prevedere lo spostamento dell'attenzione verso altri argomenti di ben più importante significato per il comunicatore politico. L'interlocutore che proverà a chiedere il ritorno ad un argomento precedente, sentirà su di lui il peso di avere in un certo senso interrotto un flusso comunicativo incalzante ed efficace. Spesso la strategia comunicativa di chi vuole parlare alla c.d. pancia della gente, è quella della argomentazione per verosimiglianze, ovvero la convergenza di fonti diverse (non facilmente verificabili) al fine di rendere una opinione quanto più simile a una notizia oggettiva. Infine, la comunicazione di questo tipo deve indurre l'ascoltatore a pensare che l'opinione del comunicatore sia già diffusa e accettata da molti altri, magari in luoghi e situazioni non soggette al controllo da parte dei nemici da combattere, i quali impedirebbero fatalmente la libera circolazione delle opinioni.
In conclusione, il populismo nella comunicazione politica in contrapposto al rigore argomentativo sembrerebbe assai più efficace nel raggiungimento del consenso immediato, proprio perché capace di soddisfare quelle esigenze immediate del cittadino, ovvero, la necessità di avere risposte comprensibili che prevedano un nemico identificabile e distante dal proprio universo esperienziale.