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Il figliol prodigo e la fatina punita

Cattivi pensieri all'indomani della presentazione del kolossal "Schwazer a Rio".

Sarà, probabilmente, perché non sono mai riuscito a digerire la parabola del figliol prodigo. Da piccolo, sui banchi della Chiesa di Cristo Re, la ascoltavo incredulo e rabbioso. Poi, più tardi, mi sono state svelate le profonde ragioni teologiche che ne sorreggono l'impianto, ma senza risultato. Continuo ad esser intimamente solidale con il fratello sgobbone, che, dopo aver sudato nella Vigna del Signore, si vede scalzato dal consanguineo sperperatore e nullafacente, ed anche, lo confesso, con il vitello grasso che fino a quel momento era riuscito a sfangarla.

Sarà per questo, ma gli ultimi sviluppi della vicenda Schwazer destano in me notevoli perplessità e una qualche irritazione.
La storia, nei suoi capitoli fondamentali, è abbastanza nota. Il volto fanciullesco del ragazzo di Calice si impone all'attenzione di tutti con la 50 chilometri di marcia alle Olimpiadi di Pechino, nel 2008, vinta stabilendo record e seminando emozioni. Vittoria con le lacrime agli occhi, col pensiero rivolto ad un lutto recente. Un po' sopra le righe, ma a chi, per scelta di vita, passa la gran parte delle sue giornate a camminare con uno stile a dir poco innaturale, si può perdonare questo ed altro.

Il ragazzo sudtirolese entra dunque alla grande tra i miti dello sport e riesce anche ad evitare di dover tornare, come di regola accade ai campioni olimpici di discipline poco note, nell'ombra dell'anonimato, grazie, tra l'altro, alle rivelazioni sulla sua liaison amoureuse con un'altra stella altoatesina dello sport: la pattinatrice Carolina Kostner. È un fotoromanzo dipinto con i colori dei cinque cerchi olimpici, una storia che sembra fatta apposta per incantare anche chi di gare e risultati nulla sa e nulla vuol sapere.

Quando però, nell'agosto del 2012, la sacra fiamma di Olimpia è già accesa nel tripode londinese, si scopre che il ragazzo di Calice non si sosteneva solamente con i canederli e le merendine al latte come tutti pensavano, ma anche con sostanze un po' meno innocenti.

Dramma, scandalo, tempesta mediatica. Sin dalle prime ore, in quei giorni convulsi, appare chiaro, però, che Schwazer si muove sulla base di una ben precisa strategia comunicativa e giudiziaria. Interviste in esclusiva concesse a determinati giornalisti, una conferenza stampa che è un evento mediatico internazionale, la scelta, che lascia qualcuno meravigliato, di un avvocato difensore come il bolzanino Brandstätter, noto sino ad allora più per le altissime relazioni con il potere politico ed economico che per quelle con il mondo sportivo.

In un crepuscolo wagneriano, il giovane Schwazer racconta la sua verità: quella di un doping "fai-da-te", con qualche fialetta contrabbandata dopo un viaggio in Anatolia. Si scusa con tutti, piange ancora, abbandona la divisa dell'Arma e appende al chiodo le scarpette. Con al fianco, almeno per un po', una silente e attonita Carolina si avvia, almeno per quel che possono capire gli osservatori esterni, verso una nuova esistenza, con la ripresa degli studi e qualche lavoretto per tirare su i soldi che gli sponsor non garantiscono più.
Apparentemente.

In realtà, lontano dalla luce dei riflettori, si dipana la vicenda assai diversa che ha il suo fulcro nell'inchiesta condotta dalla magistratura di Bolzano anche attraverso gli investigatori dei Carabinieri. Qui viene alla luce una verità piuttosto lontana da quella raccontata in un primo tempo. Lo si capisce quando, con alcune indiscrezioni pubblicate in modo sempre più incalzante da alcuni organi di stampa nazionale, si viene a sapere che Alex Schwazer sta coinvolgendo nell'inchiesta diversi personaggi del mondo dell'atletica italiana. È anche il momento in cui tra i nomi degli accusati compare quello di Carolina, inchiodata senza possibilità di sfuggire alla responsabilità di aver "coperto" il fidanzato quando cercava di sfuggire ai controlli degli ispettori antidoping.

La cronaca sportiva a cronaca giudiziaria. Le rivelazioni dilagano sulla stampa nazionale e Carolina Kostner, che nel frattempo si sta probabilmente stufando di dover spesso recitare un copione scritto da altri, si trova ad un tratto nell'occhio  del ciclone. Viene interrogata dalla giustizia ordinaria e inquisita, con richiesta di pene molto alte ,anche da quella sportiva. Se qualcuno, come il presidente del CONI, prova a manifestarle umana comprensione, viene sommerso da una raffica di critiche.

Siamo quasi ai giorni nostri. In seguito raggiunto da squalifiche e interdizioni, il giovane Schwazer si proclama sicuro, nell'incredulità generale, di poter tornare quello di un tempo, gareggiando alle Olimpiadi di Rio de Janeiro (agosto 2016). Gli scettici vanno a sbattere in questi giorni contro l'annuncio di una delle più ardite e colossali operazioni mediatiche degli ultimi anni. Al capezzale dell'ex marciatore accorrono come invocati dal suono del pifferaio magico, i personaggi più diversi e inaspettati. C'è il guru dell'antidoping italiano, professor Sandro Donati, da sempre polemico accusatore dei vertici sportivi dell'atletica italiana, c'è addirittura Don Luigi Ciotti dell'associazione Libera secondo il quale  "la collaborazione fra Sandro Donati e Alex Schwazer - citiamo testualmente- può rappresentare davvero un punto di partenza, la base di una marcia dove la tecnica e l’etica, il bene e il bello vanno finalmente di pari passo e lo sport torni a essere un fatto umano, la grande avventura di chi insegue i propri sogni senza dimenticare i propri limiti".

Siamo certi che l'annuncio della colossale operazione che mira a portare Schwazer ai nastri di partenza dei prossimi giochi olimpici e la lettura di questi concetti che l'accompagnano avranno suscitato l'entusiasmo dei giovani marciatori italiani che, ignorati da telecamere e giornalisti sportivi, si stanno allenando con fatica e impegno, giorno dopo giorno, senza poter contare su sostenitori tanto noti ed entusiasti e che ora devono mettere nel conto anche l'ipotesi di dover restare a casa all'ultimo momento per il ritorno, in azzurro, del campioncino perduto.
Ma in fondo è sempre la solita storia. Quella del figliol prodigo , del fratello sgobbone e  del vitello grasso.