Sports | Intervista

“Lo sport è emancipazione”

La trentina Alessandra Campedelli, CT della nazionale femminile del Pakistan e, in passato, dell'Iran e dell'Italvolley Sorde, sarà ospite a Bolzano: “Il futuro dello sport pakistano è incerto. Il Governo non investe più a causa della situazione geopolitica”.
Alessandra Campedelli
Foto: Moradmand/volleyball.ir
  • “Quando vivo un momento di difficoltà, o mi trovo di fronte a un problema, lo affronto trovando nuovi stimoli e nuove sfide da intraprendere. Ho fatto così quando è stata diagnosticata la sordità al mio secondo figlio, quando ho contribuito a costruire il movimento italiano della pallavolo femminile sorde e quando ho allenato le pallavoliste dell’Iran e del Pakistan”. Alessandra Campedelli ha lasciato il segno nello sport femminile italiano e non solo. La plurimedagliata Commissaria Tecnica di Rovereto sarà l’ospite d’onore di questa sera alla Fiera di Bolzano in occasione dell’edizione di WeFairPlay, la manifestazione promossa dal Gs Excelsior che premia i migliori gesti di correttezza sportiva. Dopo l’esperienza con la nazionale italiana di pallavolo femminile sorde, grazie all’indicazione di Julio Velasco, al tempo allenatore della prima squadra della nazionale maschile iraniana, Campedelli ha allenato la corrispondente femminile. Prossimamente, sulla storia della CT, uscirà un docufilm e un libro.

  • Alessandra Campedelli: “La situazione geopolitica ha privato tutti gli sport dei finanziamenti del governo del Pakistan. Il futuro delle atlete è incerto” Foto: Gasperini Fotostudio
  • SALTO: A fine gennaio 2024 ha accettato l'incarico di allenare la nazionale femminile senior del Pakistan. Come sta procedendo il lavoro?

    Alessandra Campedelli: La situazione geopolitica ha privato tutti gli sport dei finanziamenti del governo del Pakistan che, proprio 15 giorni fa, ha scelto di bloccare i fondi stanziati. L’allenatore della squadra di pallavolo maschile è stato mandato a casa. Anche il futuro delle mie atlete è incerto. Fortunatamente collaboro con Empower Sports Academy, una Onlus fondata da alcuni pakistani emigrati in America che vogliono restituire qualcosa al proprio Paese, che ha l’obiettivo di costruire dei piccoli college per giovani ragazze che desiderano studiare e fare sport. Allenare esclusivamente la nazionale senior ha una ricaduta meno impattante sulla società: ci si prepara, si fa il torneo, ma poi finisce lì. Non avviene un vero cambiamento. Non c’è nessun altro beneficio sociale. Lavorando sulle scuole, sugli orfanotrofi, si può offrire alle giovani delle grandi opportunità. 

    Tornerà dalle sue pallavoliste?

    Assolutamente sì. Sono certa di andare in Pakistan a dicembre. Voglio vedere com’è la situazione. Inoltre, ci sono in ballo le riprese di un docufilm che mi è stato proposto: il focus sarà proprio sulla condizione delle donne nello sport.

    Intanto oggi sarà l’ospite d’onore a WeFairPlay.

    Esatto. Sono molto orgogliosa del fatto che abbiano pensato a me per questo tipo di manifestazione. Sono da sempre convinta che lo sport sia uno strumento di emancipazione e che possa trasmettere dei valori, come la lealtà, la correttezza, l’importanza del sacrificio. Lo sport può arrivare a cambiare un Paese. 

    Ha iniziato praticando hockey su prato. Com’è arrivata a far nascere il movimento della pallavolo per sordi?

    E' grazie ai miei insegnanti di scuola che ho imparato ad amare lo sport. Ho capito che grazie a questa attività avrei potuto sviluppare i miei talenti e quelli degli altri. Anche per questo ho sempre praticato sport di squadra. Poi, mi sono avvicinata alla pallavolo perché il mio secondo figlio è sordo. I medici gli hanno consigliato di evitare attività in cui si rischia di prendere una botta in testa. E, così, anche io ho conosciuto la nazionale sordi di pallavolo. Trovare qualcuno che avesse le stesse difficoltà ha fatto stare bene mio figlio: non era più lo “sfortunato fra gli udenti”. Allo stesso tempo io ho iniziato ad allenare la nazionale femminile sorde. È stata un’esperienza totalizzante.
     

    "Le pallavoliste italiane sorde hanno deciso di eseguire l’inno di Mameli nella lingua dei segni, così da essere partecipi. Hanno iniziato a copiarci tutte le altre nazionali"


    Con la nazionale femminile sorde ha portato a casa successi importanti, non solo sportivi…

    Contro ogni aspettativa, nel 2017 le ragazze hanno un argento ai Giochi Olimpici per Sordi, perdendo in finale contro il Giappone. Oltre alla medaglia hanno ottenuto una visibilità enorme, che ha fatto sì che il movimento crescesse sempre di più. Durante quella manifestazione, prima di ogni partita veniva fatto ascoltare l’inno nazionale ma, chiaramente, le atlete non lo potevano sentire e stavano ferme in mezzo alla palestra senza fare nulla. Di conseguenza, le nostre atlete hanno deciso di eseguire l’inno di Mameli nella lingua dei segni, così da essere partecipi. Da quel momento lo hanno iniziato a fare tutte le nazionali. È stato bello aver avviato questo rituale inclusivo.
    E poi sono arrivate altre due medaglie, nel 2018 l’argento ai Campionati Europei under 21 e nel 2019 l’oro con le senior. È nato un vero e proprio movimento.

  • Alessandra Campedelli con le pallavoliste iraniane: “Durante gli allenamenti erano vestite molto coperte dentro alle palestre a 50°C senza aria condizionata. Gli uomini vivono in hotel a 5 stelle” Foto: privat
  • Grazie anche all’intervento del mitico Julio Velasco, che per 3 anni ha allenato la nazionale maschile dell’Iran, le è stato proposto di allenare la squadra femminile. Che periodo è stato? Ha riscontrato delle difficoltà di natura religiosa negli allenamenti? 

    Allenare la squadra femminile è completamente diverso da allenare quella maschile. In Iran le donne percepiscono la religione come qualcosa di opprimente. D’altronde sono obbligate a portare il velo e, anzi, ho visto atlete essere allontanate dalla nazionale perché si truccavano o si vestivano in maniere considerate inaccettabili. Durante gli allenamenti le pallavoliste dovevano stare perennemente coperte: c’erano 50 gradi e la palestra non aveva l’aria condizionata. Le stanze riservate alle ragazze sono piccole e scomode. Al contrario, i colleghi uomini hanno molti comfort, i medici, i fisioterapisti e vivono in hotel a 5 stelle. C’è una disparità enorme.
     

    "Eticamente non potevo accettare di collaborare con un Governo sanguinario che condanna a morte i giovani manifestanti pacifici"


    In seguito alla morte di Masha Amini, la ragazza morta nel 2022 dopo essere stata picchiata a sangue da parte della polizia religiosa a causa del velo indossato in maniera scorretta, che ha dato il via a numerose proteste, ha deciso di rinunciare all’incarico.

    Non ero più sicura a stare in Iran. Eticamente non potevo accettare di collaborare con un Governo sanguinario che condanna a morte i giovani manifestanti pacifici. Andare via è stata una scelta che ha segnato sia le ragazze che me in prima persona. È stata la prima volta in cui non sono riuscita a portare a termine un mio obiettivo, una sfida. E, allo stesso tempo, non ho potuto fare nulla per le ragazze, che sono tornare nella loro quotidianità fatta di obblighi e imposizioni.

  • La nazionale femminile del Pakistan: grazie allo sport e allo studio un'atleta non si è dovuta sposare in età preadolescenziale. Foto: privat
  • Com’è, invece, la situazione culturale in Pakistan?

    È un Paese povero. E questa povertà è uguale tra uomini e donne. Le pallavoliste spesso non avevano energie per allenarsi perché in mensa non c’era abbastanza cibo per sfamare tutti. Ogni allenamento, oltretutto, mancavano dai due ai tre componenti della squadra perché avevano malattie intestinali, spesso causate dalla qualità dell’acqua e del cibo. 
    Vivono in condizioni di povertà. Quando, a giugno, hanno fatto una trasferta di tre settimane in Italia sono state bene e nessuna si è ammalata. 
    La religione, inoltre, è vissuta e vista in maniera differente. In Iran è vista come qualcosa da cui liberarsi appena si può, in Pakistan come un culto religioso, un vero e proprio bisogno. Ad esempio, le pallavoliste pakistane hanno sempre fatto il Ramadan, nonostante potrebbero evitarlo per motivi sportivi. Infatti, in quel periodo, si allenavano dalle 22 alle 2:30 di notte, altrimenti di giorno non avrebbero potuto alimentarsi dopo l’allenamento e neppure bere l'acqua.

     

    "Attraverso lo sport si può costruire una società più equa, più aperta e accogliente."

     

    C’è un episodio in particolare che l’ha segnata?

    Ricordo la vicenda di una ragazza che, oltre a coprirsi con il velo, indossava anche una maschera per coprirsi il volto. Non svolgeva in modo eccelso gli allenamenti, anche perché faticava a respirare. Insomma, stavo per mandarla a casa. Allora mi raccontò che grazie allo sport era riuscita a uscire di casa senza prima essersi sposata, magari a 13 anni d’età, con un uomo. Era l’unica della sua famiglia ad aver avuto una opportunità del genere. Mi disse che se fosse tornata a casa sarebbe stata costretta a sposarsi. Scelsi di tenerla in squadra. Non è stata una decisione frutto delle valutazioni che ho fatto come CT della nazionale, ma io ho voluto aiutarla.

    A cosa pensa quando torna in Italia?

    Mi rendo conto di quanto siamo fortunati qui. Abbiamo le risorse per fare molto meglio di quanto facciamo. Lo sport è entrato nella nostra Costituzione ed è stato riconosciuto come un elemento di crescita psicofisica di ogni persona. Spero che ora questo principio si concretizzi. Io ci credo: attraverso lo sport si può costruire una società più equa, più aperta e accogliente nei confronti del diverso.