“Come torture”
“Sono arrivato con un’imbarcazione dalla Libia, una grande nave tedesca è venuta a soccorrerci. Ci ha portato al porto di Bari... poi a gruppi di 22 siamo stati portati con un autobus in un ufficio di polizia. Ci sono voluti circa 45 minuti... la polizia ci ha chiesto di dare le impronte digitali. Mi sono rifiutato, come tutti gli altri, comprese alcune donne. Dieci poliziotti sono arrivati e mi hanno preso per primo, mi hanno picchiato con un manganello sia sulla schiena sia sul polso destro. Nella stanza c’erano 10 poliziotti, tutti in divisa. Alcuni mi tenevano la mano dietro, alcuni mi tenevano la faccia. Hanno continuato a colpirmi per forse 15 minuti. Poi hanno usato un manganello elettrico, l’hanno messo sul mio petto e mi hanno dato una scarica. Sono caduto, potevo vedere ma non riuscivo a muovermi. A quel punto mi hanno messo le mani nella macchina. Dopo di me, ho visto altri migranti venire picchiati con il manganello. Poi un altro uomo mi ha detto che anche a lui avevano dato la scarica elettrica sul petto. Poi mi hanno semplicemente lasciato per strada, mi hanno detto che potevo andare dove volevo. Sono rimasto lì tre giorni, senza quasi riuscire a muovermi.”
A dichiararlo è Castro, diciannovenne fuggito dagli attacchi del governo sudanese sui civili del Darfur (in cui hanno perso la vita i suoi due fratelli e sua sorella di 8 anni), e poi approdato in Italia nel 2016. Quella del giovane sudanese è solo una delle testimonianze contenute nel rapporto di Amnesty International “Hotspot Italia - Come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti”, pubblicato oggi (3 novembre) e basato su oltre 170 interviste a rifugiati e migranti. L’accusa mossa dall’associazione nei confronti della polizia italiana è quella di costringere i migranti a lasciare le impronte digitali negli hotspot dell’Italia del Sud con la forza. “Determinati a ridurre il movimento di migranti e rifugiati verso altri stati membri - spiega Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International sull’Italia - i leader europei hanno spinto le autorità italiane ai limiti, e talvolta oltre i limiti, della legalità. Il risultato - prosegue de Bellis - è che persone traumatizzate, arrivate in Italia dopo esperienze di viaggio strazianti, vengono sottoposte a procedure viziate e in alcuni casi a gravi violenze da parte della polizia, così come a espulsioni illegali”. Espulsioni e maltrattamenti che, in alcuni casi, riassume il referente di Amnesty International, possono equivalere a torture. Inquietanti, peraltro, sono i dati su coloro i quali non riescono nemmeno a mettere piede nella presunta e agognata terra promessa. A circa due mesi dalla fine del 2016 i migranti morti durante la traversata del Mediterraneo sono stati 3740 (nel 2015, l’anno finora più mortale, furono 3771).
L’“approccio hotspot”
Si tratta di una misura, certificata da un documento diffuso l’8 settembre 2015 dalla commissione europea, per identificare rapidamente i migranti al momento dell’arrivo nei paesi di frontiera dell'Unione europea. La soluzione è stata creata per sostenere i paesi più esposti ai nuovi arrivi, Italia compresa, ma - si legge nel rapporto - coloro che vogliono chiedere asilo in altri paesi - magari perché lì hanno già legami familiari - hanno un forte interesse ad evitare di farsi prendere le impronte digitali dalle autorità italiane, per non rischiare di essere rimandati in Italia in base al cosiddetto sistema di Dublino. Il sistema, dunque, non sembra, secondo quanto attesta Amnesty International, aver prodotto finora risultati efficaci. 1200 sono state le persone ricollocate dall’Italia rispetto alle 40mila promesse, a fronte di oltre 150mila nuovi arrivi via mare quest’anno.
Le denunce
Si parla, nell’indagine che ha raccolto 24 testimonianze di abusi, di “agghiaccianti episodi di violenza”, con l'uso di pestaggi (16 i casi riportati), di bastoni elettrici, elettroshock e umiliazioni sessuali. Fra le vittime anche alcuni minori non accompagnati di 16-17 anni. Una donna di 25 anni proveniente dall'Eritrea ha riferito che un agente di polizia l'ha ripetutamente schiaffeggiata sul volto fino a quando non ha accettato di farsi prendere le impronte digitali. “Ero su una sedia di alluminio, con un'apertura sulla seduta - racconta un uomo di 27 anni -. Mi hanno bloccato spalle e gambe, poi mi hanno preso i testicoli con la pinza e hanno tirato per due volte. Non riesco a dire quanto è stato doloroso”. Amnesty International precisa che sebbene nella maggior parte dei casi il comportamento degli agenti di polizia rimanga professionale e la vasta maggioranza delle impronte digitali sia presa senza incidenti, le conclusioni del rapporto “sollevano gravi preoccupazioni e mettono in luce la necessità di un'indagine indipendente sulle prassi attualmente utilizzate”. Due sono le lettere inviate dall’associazione al ministro dell’Interno Angelino Alfano nelle quali è stata espressa preoccupazione in relazione ai risultati provvisori della ricerca e chiedendo informazioni sull’uso della forza e della detenzione per il rilevamento delle impronte digitali dei nuovi arrivati e sulla riammissione di cittadini di paesi terzi, in particolare del Sudan. Nessuna risposta è giunta dal responsabile del Viminale.
Screening ed espulsioni
La procedura prevede che al loro arrivo, i migranti, vengano esaminati al fine di separare i richiedenti asilo da coloro che sono considerati migranti irregolari. Il metodo consiste in “brevi interviste” condotte dalle forze dell'ordine “che non hanno ricevuto una formazione adeguata e sono chiamati a prendere una decisione sui bisogni di protezione delle persone che hanno di fronte”, sottolinea l’organizzazione umanitaria che critica anche il sistema delle espulsioni. “Sotto le pressioni dell'Unione europea, l’Italia sta cercando di aumentare il numero dei migranti rinviati nei paesi di origine, anche negoziando accordi di riammissione con paesi le cui autorità hanno commesso terribili atrocità”, fra questi il Sudan. “Le nazioni europee possono riuscire a rimuovere persone dal loro territorio ma non possono rimuovere i loro obblighi di diritto internazionale. Le autorità italiane devono porre fine a queste violazioni e assicurare che le persone non saranno respinte verso paesi dove rischiano persecuzione e tortura”, afferma infine de Bellis.