Manchester by the sea
Prendete una delle più terribili tragedie che possano accadere a un essere umano e comprimetene il trauma in un afflato di sobrietà, senza scene madri, catarsi, la pornografia del dolore che soddisfa le pretese del melodramma. Il risultato è una storia sulla complessità del perdono e la psicologia della perdita, infilata dentro questo meraviglioso, imperfetto film di Kenneth Lonergan che è Manchester By The Sea. Casey Affleck, fratello del più noto Ben, che oltre al Golden globe ha vinto il premio come miglior attore protagonista agli ultimi Oscar, interpreta Lee Chandler, un modesto tuttofare ricattato dall’impossibilità di elaborare un lutto e che a un certo punto si trova a dover tornare nella sua città natale, la Manchester-by-the-Sea del titolo, a badare al nipote Patrick (Lucas Hedges) dopo la morte del fratello (Kyle Chandler). Il ritorno nella cittadina del Massachusetts e l’incontro con Randi, l’ex moglie (Michelle Williams), riporteranno in superficie i vecchi demoni, impossibili, per Lee, da sopportare mentre pianifica il suo annichilimento attraverso la convivenza con l’assenza soffocando ogni redenzione.
Il film appoggia la sua forza sulla recitazione dimessa di Affleck, la compattezza stilistica, il tocco laico che non lascia spazio ad alcuna spiritualità consolatoria, l’autenticità che riflette l’insanabile assurdità della vita. L’apoteosi del “mai una gioia”, in sintesi. La mancanza dell’amplesso del dolore, la tristezza di cui è permeato il film, i piani temporali fra il passato e il presente calibrati a tal punto da sfumare l’uno nell’altro, la ricerca della compiutezza negli interstizi lasciati vuoti dai sentimenti lasciano tuttavia un senso di frustrazione che non tutti sono disposti ad accettare. Noi però sì, e non per indulgenza. Ma per una forma di riconoscenza al coraggio.
Curiosità: Casey Affleck, che già aveva dato ottime prove attoriali nei film The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford) e Gone Baby Gone, ha diretto il mockumentary I’m Still Here che racconta delle conseguenze della decisione dell’attore Joaquin Phoenix di dedicarsi alla musica hip-hop. Phoenix restò nella parte, anche nella vita reale, per due anni. Roba che andò ospite al David Letterman Show, con un vagone di chili in più e una barba lunga e trasandata snobbando le domande del conduttore con l’aria di uno che è appena uscito da San Patrignano. Nel settembre 2010, dopo l’uscita del film, ritorna da Letterman e chiarisce che il motivo del suo comportamento nella precedente apparizione e l’annuncio di voler interrompere la sua carriera di attore erano, toh, uno scherzo. Ci siete cascati, tutto un inganno. Fessi noi che ci abbiamo creduto. Qualcuno l’ha giudicata una mossa incosciente che gli poteva costare sul serio la carriera, a parere di chi scrive è stato uno sfacciato colpo di genio.
Una battuta: “I can’t beat it”.