Weimar
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Economy | Parallelismi

La crisi di Weimar e quella di oggi

Ogni volta che si paragonano epoche diverse occorre schivare i tranelli della semplificazione e delle facili generalizzazioni.

Da più parti si è paragonata la crisi pandemica ed economica di questi tempi con la crisi che travolse la Repubblica di Weimar (1919-1933), il cui centenario è stato celebrato proprio nell’anno della comparsa del virus sullo scenario globale. L’ordine democratico instaurato in Germania nel 1919 tra le rovine della prima guerra mondiale rappresentò un primo autentico modello di democrazia; fu imitato, da lì a poco, dalla vicina Austria che si dotò nel 1920 di una Costituzione federale, democratica e repubblicana.  
Quel primo ordinamento fu immediatamente lambito dal pericolo. Nel gennaio del 1919 la rivolta armata degli spartachisti segnò la prima e irrimediabile crisi in Germania. Una sorta di “peccato d’origine”: per soffocarla il Cancelliere socialdemocratico Friedrich Ebert si servì della violenza dei Freikorps, i paramilitari che raggruppavano i soldati ritornati dal primo conflitto bellico. Per loro mano furono assassinati i fondatori della Lega spartachista, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Tre mesi dopo, sempre con la mobilitazione armata dei Freikorps, la Repubblica subì il colpo di stato ordito da uno dei capi della estrema destra nazionalista, Wolfgang Kapp. Se la Repubblica non rovinò, lo si deve allo sciopero generale che paralizzò il Paese e al rifiuto della Reichsbank di sostenere i golpisti. Il putsch fallì.

Allora fu fatale per l’Europa e poi per il mondo intero un altro virus, che aveva contagiato la testa degli uomini

La crisi politica era anche crisi economia. Le gravose condizioni di pace firmate a Versailles nel 1919 avevano soffocato l’economia tedesca. Un errore terribile. L’economista britannico John Maynard Keynes parlò di «Carthaginian peace», di pace cartaginese per criticare l’eccesso dei vincitori sui vinti e profetizzò la rapida involuzione della democrazia weimariana in una forma tirannide (un precoce tentativo dispotico, fallito, si ebbe nel 1923 con il putsch di Monaco). L’inflazione divampò nei primi anni Venti e anche se in seguito la crisi si placò, essa raggiunse un nuovo picco con le ricadute europee del disastro di Wall Street del 1929, appena quattro anni prima della presa del potere da parte di Adolf Hitler.
Ora, ogni volta che si paragonano epoche diverse occorre schivare i tranelli della semplificazione e delle facili generalizzazioni. La crisi globale che stiamo vivendo, ad esempio, è stata innescata da un virus. La crisi di Weimar, invece, fu la conseguenza di fatali azioni umane.

Allora fu fatale per l’Europa e poi per il mondo intero un altro virus, che aveva contagiato la testa degli uomini. Secondo questa malattia già da tempo diffusasi in Europa ogni nazione si riteneva superiore alle altre e mirava di conseguenza a soggiogarle, Peggio ancora, si negò un’idea basilare che era stata conquistata con fatica e per molte tribolazioni, si negò cioè che tutti gli uomini fossero uomini. Il principio infetto della superiorità di una nazione sull’altra si identificò con una precisa idea di Stato. Lo Stato di potenza. Quest’ultimo mirava a debellare i nemici esterni e ad imporsi sugli altri Stati, ma ambiva al contempo all’annientamento dei nemici interni. Si affermò inoltre l’idea che in momenti di eccezionale crisi fosse legittima - se non auspicabile - la sospensione dell’ordinamento giuridico e quindi anche dei diritti soggettivi che si erano faticosamente affermati fino ad allora.

...specialmente nell’ora dell’emergenza non possiamo abdicare ai principi fondamentali del nostro vivere insieme né nulla concedere alla fasulla idea che per salvare lo Stato dall’emergenza si possano calpestare le singole persone, il loro diritto

Molti libri sono scritti sull’epoca di Weimar. Molti dei loro autori hanno insistito sulla cronaca (che è cosa ben diversa dalla storia: la cronaca infatti è una raccolta di informazioni, la storia invece presuppone un’interpretazione critica). Altri hanno raccontato la vivacità della cultura, delle università, dell’arte e dell’architettura della Germania weimariana. Altri ancora ci hanno parlato della relativa libertà dei costumi. Qualcun altro ha definito la civiltà di Weimar l’ultimo rivolo della grande tradizione romantica tedesca, degli Schiller, dei Goethe e dei Novalis. Tuttavia, salvo rarissime eccezioni, in questi libri poco e niente si legge della scienza giuridica ai tempi di Weimar. E questa è una grave lacuna, poiché quell’ordine, quella civiltà, anche quei costumi e quella vivacità artistica erano sostenuti da basi giuridiche, da una Costituzione, da un dibattito giusfilosofico, da libri e fantasie scaturite dalle menti dei giuristi. La libertà weimariana fu immaginata da giuristi e da giuristi fu attentata.

La disputa sul diritto pubblico di quegli anni merita oggi particolare attenzione, perché seppur lontana di un secolo è attuale nell’ora dell’emergenza pandemica. Fu negli anni di Weimar che Carl Schmitt, il giurista che fornì l’armamentario giuridico per legittimare l’ascesa al potere di Hitler, iniziò a predicare che in momenti eccezionali occorre riunire tutti i poteri pubblici in una sola persona, un sovrano da solo autorizzato a decidere dello stato di eccezione. Questa teoria sorresse l’interpretazione della Costituzione di Weimar e ne decretò la sua fine in modo ancora più determinante di quanto non fece la crisi economica. A Schmitt si opposero giuristi come Gustav Radbruch e Hermann Heller, che nei giorni di Weimar ebbero la peggio, ma che oggi ci ricordano una lezione imperitura. Ci esortano a ricordare che specialmente nell’ora dell’emergenza non possiamo abdicare ai principi fondamentali del nostro vivere insieme né nulla concedere alla fasulla idea che per salvare lo Stato dall’emergenza si possano calpestare le singole persone, il loro diritto.